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D’ARS Anno 55 Numero 220 primavera 2015



Il museo sottomarino

Stefano Ferrari

Le sculture subacquee di Jason deCaires Taylor



periodico di arti e culture contemporanee - fondato nel 1960


SOMMARIO N. 220

– tristezza e sottomissione. una lettura de la soumission di michel houellebecq | franco berardi bifo

– lo zero e l’arte contemporanea | laura migliano

– katherine n. hayles my mother was a computer| loretta borrelli

– global direct | andrea tinterri

– transmediale 2015 | clara carpanini

– a bouquet of lovers | dalia del bue [www.aspirinalarivista.it]

– corsia 3 | roberto stradiotti  [illustrazioni: cristian grossi]

– too early too late. le strategie del dolore | lorenzo taiuti

– milano the place to be? | francesca cogoni

il museo sottomarino. le sculture subacquee di jason decaires taylor | stefano ferrari

– fuoco nero. materia e struttura attorno e dopo burri | loretta giudici

– riso amaro. la compagnia astorritintinelli fra poetica dell’attore e immaginario | laura gemini

– birdman or (the unexpected virtue of ignorance) | giordano bernacchini

– il successo del biopic, il cinema che riscrive le vite | elena cappelletti

– wim wenders. l’atto di vedere | eleonora roaro

– urano si quadra a plutone: si plachi ogni guerra in nome degli dei | viola lilith russi
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Vicissitudes, 2006. Grenada, West Indies. Foto: Jason deCaires Taylor

The Silent Evolution, 2010. MUSA Collection, Cancun/Isla Mujeres, Mexico. Foto: Jason deCaires Taylor

Vicissitudes (particolare), 2010. Grenada, West Indies. Foto: Jason deCaires Taylor

Ho scoperto Jason deCaires Taylor sulla copertina di un cd: Ukulele Songs(2011) di Eddie Vedder, il cantante dei Pearl Jam.[1] Per deformazione professionale, la foto sulla cover mi ha subito colpito: ritrae una scultura adagiata sul fondo del mare, un uomo seduto davanti a una macchina per scrivere. Dunque, non una reliquia perduta dell’antichità classica, ma un’opera contemporanea. La scultura, che s’intitola The Lost Correspondent, è esposta assieme a molte altre nei fondali dell’isola di Grenada, Mar dei Caraibi, dove nel 2006 Taylor ha inaugurato il primo museo sottomarino del mondo.
Quarant’anni, di padre inglese e madre guianese, un diploma in scultura al London Institute of Arts, fotografo subacqueo e istruttore di diving, Taylor ha cominciato a progettare il parco nel 2004, dopo che l’uragano Ivan aveva spazzato le coste del Sudamerica decimando la barriera corallina. Le figure, tutte calchi degli abitanti del posto, sono fatte di una particolare miscela di cemento per uso marino, sabbia e microsilice, che assieme danno un particolare tipo di calcestruzzo a pH neutro, fatto per durare centinaia d’anni. Altre sono realizzate in un composto inerte a base di ceramica e vetro, non soggetto a reazioni chimiche. Questo perché le sculture di Taylor non sono solo dei manufatti artistici, ma anche – e prima di tutto – un progetto scientifico: dei supporti artificiali che favoriscono l’attecchimento di coralli, alghe e spugne, stimolando la formazione di nuove barriere coralline (lui le chiama Underwater Living Installations).

Ad oggi, il museo conta 65 sculture (tra cui c’è anche Vicissitudes, una delle sue opere più note, che vedete in queste pagine). Nel 2009, Taylor ha inaugurato un secondo sito a Cancun, Messico: il Museo Subacuatico de Arte (MUSA), che raggruppa per ora 20 installazioni permanenti, per un totale di oltre 500 pezzi (450 dei quali compongono The Silent Evolution, che da sola occupa una superficie di 420 m2). Un terzo parco, il Museo Atlántico, è attualmente in fase di costruzione a Lanzarote, Isole Canarie (riserva della biosfera UNESCO dal 1993) e ospiterà 10 nuove installazioni e 300 sculture. Sarà già parzialmente visitabile dalla prossima estate, ma i lavori termineranno solo alla fine del 2016.
Intanto, la trovata di Taylor sembra funzionare benissimo. Nel giro di pochi anni, molte figure si ritrovano già completamente ricoperte di vegetazione. Parallelamente, la flora marina agisce sull’aspetto delle sculture, aggiungendovi colore e dettagli: le alghe trapiantano delle folte chiome verdastre sulle teste; i coralli le vestono con abiti e cappelli coloratissimi, blu, rosa, fucsia, bianchi, arancioni. Di fatto, ci si ritrova di fronte a fisionomie sempre nuove, in costante mutazione. Pesci e turisti nuotano tutt’attorno incuriositi, trasformando la scena in un tableau vivant.[2] Ecco, l’aspetto più interessante delle sculture di Taylor sta proprio in questo scambio alla pari tra artista, visitatore di turno e Madre Natura, nel quale tutti danno e ricevono qualcosa, contribuendo a fare dell’opera quello che è.
A quelli del National Geographic, le sculture di Taylor sono piaciute tanto che, nel 2011, hanno dedicato loro addirittura due pagine sullo speciale intitolato Wonders of the World. Per il suo impegno a favore dell’ambiente, il nostro è anche diventato un beniamino di Greenpeace, che nel dicembre 2010, in occasione della conferenza sui cambiamenti climatici organizzata dalle Nazioni Unite a Cancun, ha allestito una perfomance subacquea attorno a The Silent Evolution, nella quale dei ragazzi vestiti con abiti di tutti i giorni, si immergevano e interagivano con le sculture. Ovvero, ciò che ci ritroveremo a fare sul serio se l’innalzamento delle acque degli oceani proseguirà senza sosta.

In molti hanno paragonato l’opera di Taylor a quella di Antony Gormley e certamente i due hanno diversi punti in comune: l’uso abituale del calco (per Gormley, sempre quello del proprio corpo, in ferro); la sperimentazione attorno alla figura umana; la propensione per le dimensioni ambientali. Ma gli Iron Men di Gormley restano degli elementi aggiunti al paesaggio, sempre ben riconoscibili come dei manufatti artistici; mentre gli Aquamen di Taylor – e questa è la loro caratteristica più distintiva – si confondono e si fondono con esso fino a diventarne parte integrante, fino addirittura a scomparire alla vista, rendendo invisibile l’operato del loro autore.
Spesso e volentieri, Taylor collabora con università e istituti di ricerca. È il caso di The Listener (2012), progettato in collaborazione col Music Research Institute dell’Università del North Carolina-Greensboro. Si tratta di un corpo interamente ricoperto di calchi di orecchie, al cui interno è sistemato uno speciale microfono sottomarino che registra i suoni del reef ventiquattr’ore su ventiquattro. Esempio di “monitoraggio acustico passivo”, il sistema servirà ai ricercatori per studiare la propagazione delle onde sonore sott’acqua. La sua ultima fatica s’intitolaOcean Atlas ed è un altro primato: alta 5 metri e pesante 60 tonnellate, sarebbe la più grande statua (intenzionalmente) sommersa al mondo. Il colosso raffigura una ragazza inginocchiata nell’atto di sostenere simbolicamente sulle proprie spalle la superficie dell’Oceano – come faceva Atlante con la volta celeste nel famoso mito greco – chiara allegoria della responsabilità dell’uomo nei confronti dell’ambiente marino. Commissionata dalla Bahamas Reef Environment Educational Foundation, fa parte di una serie di sculture che andranno a formare un museo sottomarino a largo della costa occidentale dell’isola di New Providence, con opere di Taylor e di altri “scultori sottomarini”, sempre più numerosi.
Se vi abbiamo incuriositi, vi consigliamo di visitare il sito ufficiale dell’artista – corredato da splendide foto di tutti i suoi lavori e approfondimenti scientifici – e quello della Jonathan LeVine Gallery di New York, la sua galleria di riferimento. Interessante anche il volume The Underwater Museum. The Submerged Sculptures of Jason deCaires Taylor(Chronicle Books, 2014), disponibile in versione cartacea o digitale.


[1] Vedi la puntata di Cover Story su www.darsmagazine.it.