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Intervista (1999 - 2000) Anno 4 Numero 19 Estate 1999



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A che punto è con il suo nuovo trittico?

Mi sembra che sia cominciato bene. È costruito sulla celebre poesia di Lorca, quella in cui il verso ?A las cinco de la tarde? - ha presente?- si ripete in continuazione. È una poesia molto lunga e molto bella, sul suo amico torero che si lascia uccidere. Non vedo una corrida da tanto - in vita mia m?è toccato di vederne tre o quattro - ma basta una a segnarti lo spirito.

E a riportarti molto, molto indietro...

Riporta a tempi antichissimi, fino a Micene, quando si praticava quella prodezza atletica del salto fra le corna del toro. Certo, si tratta di cose molto diverse, naturale, ma in questo spirito io trovo che la poesia di Lorca sia estremamente evocativa.

Perché parla della morte?

Sì, della morte. Ma della morte alla luce del sole, che mi fa scaturire un fiume di immagini. Mi chiedo se alla fine il dipinto avrà qualcosa a che fare con Lorca, di certo è un punto di partenza.

Degas dell?arte totalmente compiuta come di un ?crimine perfetto?.

Amo Degas. Penso che i suoi ?pastelli? siano fra le cose più grandi mai eseguite. Ben più grandi dei suoi dipinti. Certi quadri non sono nulla, al confronto. Strano, ma per me Van Gogh s?è molto avvicinato alla verità, quando ha detto - non ricordo le parole esatte - in una delle sue straordinarie lettere al fratello, che leggo e rileggo: ?Quello che faccio forse è menzogna, ma riesce a evocare la realtà con più precisione?. È una cosa complessa. Dopo tutto, non sono i pittori che si definiscono realisti, ad arrivare ad evocare al meglio la realtà. L?altro giorno ho visto un quadro straordinario di Monet in una mostra qui a Londra. Non l?avevo mai visto dal vivo e neppure in riproduzione. Era una delle sue vedute del Tamigi, ma nulla è distinuguibile, come se tutto lo spazio fosse invaso dai moscerini. È un espediente straordinaraiamente inventivo, e pertanto molto reale, una sorta di caligine di ali di moscerino su tutto il Tamigi.

Non è che ci sia molto che la interessa nell?arte contemporanea, vero?

Vero. In Frank Auerbach vedevo un pittore assolutamente rimarchevole, e amo molto i nuovi lavori di Lucien Freud. Ho sempre cari i suoi ritratti degli esordi, come la mia testa che ha dipinto nel 1952 e che si trova alla Tate Gallery. Ma per trovare qualcosa che davvero mi attrae, in questo secolo, devo risalire a Picasso. Non amo le sue ultime opere, anche se oggi si dice che siano tra le sue cose più belle. Il periodo che più mi interessa è la fine degli anni Venti e l?inizio degli anni Trenta - ha presente quelle scene di spiaggia a Dinard, dove si vedono quelle tre strane figure che chiudono dietro di sé le cabine. Quei quadri sono una fonte inesauribile di sensazioni, al di là delle loro straordinarie invenzioni formali. Sono come le corride. Una volta che le hai viste, restano impresse nel tuo spirito.

In questi giorni pensavo a una possibile mostra sulla ?Scuola di Londra?, più che altro come a un mezzo per riunire i sei artisti. Anche perché mi sembra che siano emersi da una certa epoca e da un certo ambiente, che ci sia quindi una forma di interazione tra di loro.

Per me non si tratta assolutamente di una ?Scuola?. Gli americani, forse, avevano una scuola espressionista astratta, ma l?ultima vera scuola è stata l?impressionismo, quando si è formato un gruppo di gente che non cercava di fare la stessa cosa ma che era interessata al medesimo modo di accostarsi al colore e di evocare le cose.

E quindi era un gruppo dai legami molto vaghi.

Sì, era anche molto vago.

Al punto che Degas aveva poche cose in comune con Renoir e Cézanne. Eppure vi sono state molte influenze reciproche, all?interno del gruppo. Anche tra di voi c?è stata un?influenza considerevole.

Non mi pare.

Il fatto che lei abbia dipinto figure molto forti, in un periodo in cui tanti artisti erano diventati astratti, è stato molto importante per gli altri pittori di quella famosa esposizione.

Io credo che la gente della Scuola di Londra sia sempre stata figurativa. Non credo di avere in qualche modo esercitato influenza.

Sei pittori figurativi, dei quali cinque erano legati alla Gallerie delle Belle Arti di Helen Lessore.

Sì, in effetti.

A conti fatti, non sono sicuro che il termine ?scuola? non designi altro che degli artisti che, di massima, condividono gli stessi interessi. Quando lei pensa ai legami esistenti fra gli impressionisti, alcuni di loro hanno studiato insieme.

Tra voi sei ancora di più.

Sì, ma in modo diverso, perché Helen Lessore non aveva soldi, neanche un quattrino. E giocava il ruolo di Vollard. Così lei mostrava solo la gente che la interessava, e aveva fatto della sua galleria un luogo dove quegli artisti volevano e potevano esporre, da giovani.

Doveva apparire molto retrogrado dipingere figure in quel periodo.

Non credo lo fosse davvero, perché ci son sempre stati pittori figurativi, senza soluzione di continuità, anche quando si stava sviluppando l?astrattismo. Dopotutto, c?erano Giacometti, Balthus, Picasso. Di fatto, i pittori più interessanti son sempre stati figurativi. Solo gli americani hanno cercato di impegnarsi esclusivamente nell?astrazione.

Auerbach e Kossoff, credo, si vedevano ossessionati da qualche cosa di cui ci si era sbarazzati, che gli altri consideravano un vecchio gioco.

Non credo che fosse così. Quando ho visto per la prima volta il lavoro di Frank Auerbach, ho creduto qualcosa di veramente nuovo e stimolante. Vi erano delle meravigliose teste, di una materia spessa. Eppure all?epoca non arrivava a vendere. Mi chiedo talvolta quanta gente abbia davvero occhi per la pittura. Acquistano quando un artista è celebre - e forse quando non crea più i lavori migliori. E invece, quando c?è qualcosa di nuovo e di meraviglioso, nemmeno lo vedono.

Ritiene che la pittura si sia fatta più interessante, qui a Londra? Personalmente mi sembra difficile trovare altri sei pittori tanto significativii in un altro paese. Motivo in più per parlare di Scuola. Per attirare l?attenzione sul fatto che Londra è divenuta, nel corso degli ultimi anni, un centro artistico - ed è la prima volta, in effetti. Oggi, qui, si sente che c?è più inventiva, non le pare?

Sì, credo di sì. Credo che ci sia stata sempre molta inventiva, in questo paese, ma non nella pittura; piuttosto nel dominio tecnologico. Ed ecco ora che arriva un gruppo di persone interessanti anche in pittura. Ma questo paese è sempre stato pieno di inventiva.

Al confronto Parigi, oggi, pare incredibilmente morta, almeno nell?invenzione pittorica.

Ma anche qui non è che ci sia nulla di nuovo. Ciò che avverto è che la figurazione - in pittura - sta ritrovando una formidabile vitalità ora che abbiamo attraversato questo periodo molto deprimente e decorativo dell?astrattismo. Non solo in Inghilterra, dappertutto.

La gente sembra assolutamente affascinata dalla pittura. Altrimenti non si spiegano le lunghissime code all?entrata dei musei, e i prezzi così alti...

Magari lo sono proprio a causa dei prezzi enormemente alti. È certamente uno dei motivi. Non dico che sia il motivo che affascina i pittori, ma certamente il pubblico.

Può darsi, ma io non credo che la gente vada nei musei solo perché sanno di trovare quadri che valgono milioni di dollari. Credo piuttosto a una vera fascinazione, come i tifosi di una partita di calcio...

Io più che altro credo che sia un passatempo. I tifosi di calcio son molto più entusiasti, quando vanno a vedere una partita, di quanto non lo sia il pubblico delle gallerie.

Beh, non è che facciano la ?Ola? o facciano a botte.

Non ancora...

Lo lasciano fare agli artisti...

Ha, ha ha...

(1987)

Francis Bacon (1909/1991), dublinese trasferitosi a Londra, diretto discendente del filosofo, è sicuramente uno dei più grandi maestri della pittura del Novecento. Colto, sofisticato, ma anche irriducibile maledetto?, sperperone, ?marchettaro?, alcolista e tossicodipendente. Le quotazioni dei suoi dipinti sono tra le più alte del mecarto dell'arte, vicine a quelle di Picasso, che di lui ebbe a dire: ?L'unico pittore vivente, di fronte ai cui quadri mi sento ancora uno scolaro?.