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Count-Down (1998 - 2000) Anno 2 Numero -3 Giugno 1999



Oculi

di Cino Zucchi



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Photo Robert Frank

Dalle filastrocche infantili ai trattati d'architettura cinquecenteschi, l'analogia tra edificio e corpo umano rimbalza in una serie di metafore non particolarmente fantasiose. Palladio compie una curiosa analogia tra i ripostigli e gli spazi di risulta degli edifici e le "parti vergognose" del corpo umano, che con il loro funzionamento permettono di manifestarsi alle sue porzioni "nobili"; Boullée paragona la mancanza di simmetria di un edificio ad un volto deforme. Se il paradigma del corpo umano è continuamente evocato nella teoria architettonica, la struttura edilizia è spesso presa a modello per spiegare la nostra fisiologia. Un'eloquente figura del trattato di anatomia di Tobias Cohn, il Maasseh Tobiyyah del 1707, paragona il corpo umano ad un edificio di quattro piani.
Ma l'anti-naturalismo moderno nega ogni esistenza animistica della casa. Essa diventa un oggetto trasparente, semplice contenitore climatizzato da cui godere visione panottica sul paesaggio. La transitività visiva del pan de verre si oppone alla teoria classica della mimesi, riassumendola: la natura vista non ha più bisogno di essere rappresentata.
Nell'empireo dell'astrazione moderna l'aria è rarefatta, e a non tutti piace la sua gelida salubrità; e le figure scacciate tornano talvolta come incubi. Amitiville horror, il paradigma cinematografico della casa maledetta - la casa che vive e pensa, la casa con gli occhi - non è altro che un esemplare casuale di villino vittoriano. Se l'iconofilia classica onora l'espressione simbolica, tra le maglie dell'iconofobia moderna riappare ciclicamente l'espressione di tipo fisiognomico. Dopo la Babele dei linguaggi, e la conseguente inutilità dei dizionari, si parla a cenni; si aggrotta le sopracciglie, si sorride. Le forme del moderno, non potendo più essere testi (il Ceci tuera cela proferito da Hugo constata il decesso dell'edificio-enciclopedia) sono leggibili solo come gesti.
Se la casa astratta, la casa macchina, asserisce l'assenza di figura come ideale estetico, le figure rientrano sotto forma di espressioni facciali.
Jacques Tati, nel suo film Mon oncle, anticipa inconsapevolmente Jane Jacobs o Peter Blake nella crudele satira del villino moderno. Sfondo delle sue rarefatte gag visive, un minuto giardino astratto alla Burle Marx protegge una superaccessoriata caricatura della casa Schroeder, dove una pingue coppia piccolo borghese organizza cocktail parties per collocare il cognato scapolo, l'antimoderno Tati in persona. E quando Tati rientra con le scarpe in mano, gli oblò illuminati della casa si trasformano in occhi, e le teste affacciate dei parenti in oscillanti e minacciose pupille.
Le case ci guardano. Villa Horner di Adolf Loos a Vienna, la villa in Wilbrantgasse 3 a Vienna di Josef Frank, villa Schwob di le Corbusier, villa Bouilhet a Garches di Gio Ponti, villa Conti a Barlassina di Asnago e Vender, appaiono specchi deformanti della facies della felicità borghese. Nell'odierna obsolescenza delle ideologie, la polemica tra tetto piano e tetto a falde ci appare talvolta come una lite tra parrucchieri, quella tra finestra verticale e fenetre en longueur una disputa tra visagisti. Un ignoto inquilino ha addolcito le squadrate finestre di uno dei prototipi abitativi lecorbuseriani di Pessac con delle fioriere-lacrime, simbolo revisionista del fallimento delle utopie moderne. Ma forse, esse volevano solo dire che anche le case hanno un cuore.
Solo l'estetica settecentesca, e dopo di lei inaspettatamente Adolf Loos, ha avuto il coraggio di comparare architettura e moda: il non so che, la grazia, categorie comuni alle cronache mondane e alla Baukunst.
Le case, come le persone, hanno fascino. Come il Nautilus per il capitano Nemo, essi sono proiezioni corporee del proprietario, esoscheletri artificiali della personalità.
Nel Benjaminiano "sex-appeal dell'inorganico" - con cui Perniola ha scaltramente titolato un suo saggio di estetica "feticista" -, vediamo continuamente occhi nelle finestre e finestre negli occhi. Oblò, occhi, oculi, uniscono case, corpi, macchine.
Ma oggi cerchiamo lo scarto, il clinamen, la devianza, nell'ideale estetico dello strabismo di Venere. Gli occhi storti di queste villette d'autore ci ricordano il "non c'è bellezza senza deformità" di Baudelaire, l'ammissione del brutto nella sensibilità moderna.
Gli occhi, lo specchio dell'anima.