Le forme regolari e semplici, le calde tonalita' cromatiche, le figure statiche, il segno definito e vivace, i piani e i volumi spesso inclinati caratterizzano le opere di Tornese. Ogni scena e' una rappresentazione dei suoi sogni in cui il protagonista incontrastato e' l'uomo.
a cura di Marinilde Giannandrea
Le forme regolari e semplici, le calde tonalità cromatiche, le figure statiche, il segno definito e vivace, i piani e i volumi spesso inclinati caratterizzano le opere di Fulvio Tornese. Ogni scena, pur nell’ingenuità di linee e segni, è una rappresentazione dei suoi sogni in cui il protagonista incontrastato è l’uomo e il suo io che in un continuo confronto tra mondo interiore ed esteriore cerca di caratterizzare l’identità del suo “essere”, tratteggiato in un omino-gigante che girovaga nello spazio in direzione orizzontale, verticale e obliqua, con indosso un grande e goffo abito. Una figura goffa e imponente inserita in un ambiente surreale molto distante dalla sua intima realtà.
Nell’opera Twister l’omino levita in aria sospinto da un tornado che tutto avvolge e aspira nel suo flusso vorticoso anche ciò che è stabile e fisso. Pure nel dipinto Sempre lì l’omino è una figura-aquilone che plana nello spazio etereo tra instabili elementi urbani.
In Mr Led, invece, è un omino-dirigibile che rientra nel suo pianeta con gli occhi sgranati di stupore. In Siniscalco, al contrario, è un omino-omone che, infagottato in un grande soprabito, è inchiodato nel suo civico dominio su cui regna incontrastato con la bacchetta e con la mano-tentacolo per meglio agguantare.
Ma chi è, cosa attende, cosa cerca l’omino in paltò di Tornese, che vive in un ambiente urbano in cui l’assenza di ogni regola prospettica lo rende sensibilmente ironico, fiabesco e fantastico? Il goffo omino è probabilmente la proiezione di ansie e di desideri, di paure e di illusioni di un essere sicuramente fragile e smilzo, celato nelle sembianze del gigante e a tradire la sua gracilità sono la minuscola testa che schiude esilmente dal bavero, i piccoli piedi e le minute mani inermi che spuntano lungo i fianchi del suo impermeabile. E’ certamente un timoroso omino-testuggine pronto a sottrarsi agli attacchi esterni rincasando nel suo carapace. E di cosa ha paura? Forse della realtà sociale odierna in cui non trova quell’io con il quale confrontarsi? O forse ha paura di quello spazio atopico, così anonimo nel quale l’io si annulla?
La ricerca del suo simile, al quale aggregarsi per formare un gruppo con il quale dirigersi verso la “meta ignota”, è certamente il motivo per cui si aggira in uno spazio irreale così come accade all’omino di Ti-incontrerò che quatto quatto vaga nel vuoto in attesa che le sue braccia-pinne si trasformino in ali per spiccare il volo per incontrare i suoi compagni di viaggio. E la spiegazione è nell’installazione Una sola moltitudine formata da diciotto omini che, come uno stormo solitario, in cerca della riva su cui svernare, vola sospeso in uno spazio etereo, guidato da un istinto primordiale, verso spiagge ancestrali e primigenie su cui riposare. E’ forse questo il reale destino che Tornese liricamente indica con un linguaggio onirico espresso in colori e in simboli che variano da sogno a sogno, da tela a tela. Ogni opera di Tornese ha un suo tono cromatico che esprime un’atmosfera fiabesca, onirica, ma anche ansiosa, che vagamente rimanda all’arte della nuova figurazione degli anni Ottanta di sapore surrealista.
“Sono creature leggere, sono ospiti su questa terra. La loro dimensione è in totale contraddizione con la loro presenza. Sono grandi ma inconsistenti e fanno sempre fatica. Hanno una massa enorme che si muove su leve piccole. Vivono situazioni tipiche degli umani, ma sembra che vivano vite altrui. Hanno forme e fattezze accennate, appena abbozzate. Non potranno mai fare parte del consesso umano a pieno titolo. Si cercano tra di loro, ma tranne qualche coincidenza non riescono ad incontrarsi. Si danno appuntamenti ma uno dei due non si presenta. E l’altro dopo un poco abbandona la scena.” (Fulvio Tornese)
“[…] C'è un mito profondo e ricorrente nella cultura mediterranea, quello dei Giganti che vogliono scalare l’Olimpo ma sono sconfitti dai fulmini di Giove. L’opera di Fulvio Tornese rievoca con le sue colossali figure l’antico mito greco ma i suoi giganti sono una stravagante compagnia in bilico tra favola e realtà, sospesi sull’orlo della vita che vivono della palpabile consistenza dei loro sogni in una continua ebbrezza celeste. L’artista ci pone di fronte ad una semplice verità: il linguaggio concettuale può coesistere con quello poetico e la pittura diventa strumento non per entrare in contatto con le cose, ma per interrogarle nella loro essenza.
La leggerezza e la fantasia che caratterizzano i suoi lavori non devono ingannarci, i quadri sono sottoposti a un’accurata regia, indagati e faticosamente ricercati a testimonianza di un lavoro artigiano che si concentra assiduamente sulla materia, sulla linea e sul colore. Nelle costruzioni di volumi risuona la sua natura d’architetto ma nella pittura, che pratica con passione da sempre, Tornese mette in opera una meta-realtà che è fatta di paesaggi, di oggetti e di personaggi fantastici. Proprio il paesaggio, protagonista assoluto della sua precedente produzione, ora tende a farsi da parte; “Ti-incontrerò” è l’opera di confine, all’aeroplanino, che sfrecciava nel cielo, sono spuntate le gambe ed è costretto ad arrancare faticosamente nel nulla.
La metamorfosi non si è definitivamente compiuta e gli uomini di “Una sola moltitudine” (titolo tratto da Pessoa) sono ancora indecisi su cosa diventare a dispetto della loro consistenza volumetrica che si consolida sugli sfondi e lungo le linee dell’orizzonte. La vita reale di Tornese scorre su binari di concreta normalità, sostenuta dalla moglie Carla, compagna di una vita e suo nume tutelare, eppure nelle immagini giocose e nelle sagome, che oscillano sui leggeri steli di alluminio, si coglie un sotteso senso di solitudine e d’incompiutezza, una febbre segreta che coincide con l’ansia della pittura.
L’antico mito dei giganti si è installato ironicamente nella frattura tra l’io e il mondo ed è diventato una chiave di lettura dell’incertezza esistenziale del presente [...] Marinilde Giannandrea
Fulvio Tornese nato a Lecce nel 1956. Vive e lavora a Lecce. Architetto e pittore, collabora come progettista presso l’Università del Salento. Nel 2007 è stato uno dei tre artisti selezionati per partecipare alla mostra organizzata dall’Ambasciata Italiana in Kuwait in occasione dei 50 anni dei “Trattati di Roma” e recentemente ha partecipato alla V Edizione del Festival Internazionale di Arte Contemporanea di Pechino.
Senso Plurimo parte dall’idea che l’arte contemporanea contenga una promessa di pluralità che ci affranchi dagli inganni di chi dirige il nostro immaginario visivo e il nostro pensiero estetico in una direzione unica e univoca. Gli artisti in mostra non appartengono a un gruppo omogeneo ma esprimono visioni molteplici, sono un insieme apparentemente dissonante che segnala il cambio di paradigma culturale in atto e offre l’occasione per analizzare territori di pensiero che si ramificano in topografie articolate delle quali non conosciamo gli sviluppi.
Ufficio stampa Paola Pepe
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Inaugurazione 18 Marzo 19.30
Cantieri Teatrali Koreja
Via Guido Dorso 70, Lecce
Ingresso libero