Adriano Campisi
Carla Crosio
Roberta Fanti
Eliana Frontini
Luciano Massari
Daniela Nenciulescu
Sergio Ragalzi
Fiorenzo Rosso
Claudio Rotta Loria
Silvia Ruata
Valter Luca Signorile
Maria Vittoria Berti
Sculture e installazioni di 11 artisti. L'esposizione e' una sorta di riassuntiva panoramica sulle possibilita' del coinvolgimento spaziale del quotidiano senso dell'esistere. Le opere, con il loro corpo, portano con se' un senso, non soltanto psicologico, ma di approfondimento del rapporto uomo-ambiente, uomo-azione, uomo-partecipazione.
a cura di Maria Vittoria Berti
Si inaugura venerdì 23 aprile alle ore 18 in Santa Chiara a Vercelli. Si tratta di un'iniziativa parallela alla mostra "Peggy e Solomon R. Guggenheim: le avanguardie dell'astrazione", attualmente allestita all'Arca della chiesa di San Marco. "Contemporaneo 3D" è promosso da Studio Dieci City Gallery con il patrocinio dell'assessorato alla Cultura del Comune di Vercelli. La mostra riunisce 11 artisti che propongono sculture e installazioni. Sono: Adriano Campisi, Carla Crosio, Roberta Fanti, Eliana Frontini, Luciano Massari, Daniela Nenciulescu, Sergio Ragalzi, Fiorenzo Rosso, Claudio Rotta Loria, Silvia Ruata, Valter Luca Signorile. Curatrice dell'evento è Maria Vittoria Berti.
A sottolineare l'eccezionalità dell'evento, che coinvolge artisti di livello internazionale, in occasione della vernice il grande portale d'ingresso della chiesa barocca trasformata da decenni in spazio espositivo, sarà aperto, per permettere al pubblico l'ingresso diretto da Corso Libertà, un dato significativo per il territorio (non era infatti mai accaduto prima). L'arte, spalanca, è il caso di dire, lo porte chiuse, e naturalmente questa lettura simbolica non è casuale.
Tseto di Maria Vittoria Berti
Il tentativo di riproporre il mondo nella sua tridimensionalità è, per l’arte, cosa oramai del tutto acquisita. Non si tratta solamente di ragionare sulla scultura, poiché essa ha costruito un suo ambiente autoctono, cominciando da se stessa ed assolvendosi al suo interno, ma di riflettere, invece, a partire dalla superficie bidimensionale e di capire come essa abbia cercato uno spazio “profondo” senza per questo farsi scultura ed entrare in quell’ambito.
Penso a Lucio Fontana, a quella sua ossessione per lo “sfondamento” e per l’ “oltre” ma, spingendomi coraggiosamente, penso anche a Pollock, che cambiò la percezione dello spazio in cui vive e si crea l’opera d’arte. Annullando ogni distanza uomo-quadro, spettatore-parete, ammirazione-oggetto del desiderio, egli tolse alla tela l’aura di contemplazione di cui era da sempre stata investita. La guardò orizzontalmente, la mise a terra e le danzò sopra ed intorno, ed essa diventò quasi oggetto fisico a più dimensioni. Ed ancora possiamo ricordare Bob Morris, e quelle sue “L Shapes” che non erano sculture, ma oggetti da viversi, quasi come sintetiche costruzioni da utilizzare per farvi sopra un pic-nic, per riposarsi da camminate stancanti, o perché i bambini vi giocassero agli indiani e cowboys come su fortini immaginari.
Le possibili citazioni sarebbero moltissime e molte e diverse le esperienze, a mostrarci che la sensibilità dello spazio non può essere solamente inscritta all’interno del concetto “scultura”. C’è dunque uno scarto, uno sfasamento che è quindi venuto il momento di definire e che chiameremo, oggettivandolo, “3D”. Esso ha un corpo, si configura come “verità” prospettico-visiva, è fruibile da ognuno dei propri lati eppure, alla scultura, non è assimilabile. Incarna invece quello spostamento dell’arte da una dimensione divina ad una umana, a portata spaziale ed emotiva dell’uomo, nella quale esso possa ritrovare familiarità psicologica in un rapporto paritario ed orizzontale. 3D si intende allora simile all’ “installazione” od, ancor meglio, riassume quel passaggio tra la bidimensionalità, tipica del quadro, e lo spazio a tutto tondo che ci comprende in quanto uomini, ci accoglie e non ci impone alcuno sguardo severo dall’alto di un qualche cielo irraggiungibile.
E’ il senso di “contemplazione” che fa lo scarto. Nella scultura chi guarda è ancora sottoposto all’aura dell’opera, ne è distante, al di sotto. Nel 3D così inteso, invece, ogni cosa è a portata del nostro tatto, della propaggine fisica degli arti, è partecipe con noi di ogni emotività e noi ne sentiamo la vicinanza, ci somiglia, ci coinvolge, ci abbraccia in un rapporto fisico che non ha più nulla a che vedere con il silenzio immoto di un oggetto considerato quasi “divino”. In qualche modo si azzerano le distanze. Vi si aggiunge inoltre un certo senso di impellenza, una necessità umana di concretizzare il proprio essere in rapporto al mondo che, oggi più che mai, si fa troppo veloce e sfuggente.
Cos’altro cercare dietro a tutto ciò se non l’attuale bisogno di testare la nostra esistenza, di partecipare e di “farci” partecipare? La grande paura dell’esclusione è il motore. La grande paura di venire confusi in un mondo che sfugge e che ha perso il nostro ritmo. Tutto deve includerci, e non può prescindere da noi, né ignorarci. Il “fuori”da noi ed il nostro corpo devono trovarsi in un unico ambiente, un habitat ideale. E questa ansia di essere capiti, coinvolti e compresi sta modificando il nostro rapporto con le cose. Le vogliamo vicine, simili, vibranti delle nostre stesse passioni, lacrimose degli stessi dolori. Vogliamo riportarle a noi e richiamarle dal fluire veloce. E’ qualcosa di più urgente che mai.
Per significare questa urgenza, ho preferito chiamare la mostra Contemporaneo 3D piuttosto che Installazione Contemporanea. Perché è di questi tempi, di questi giorni, che voglio rendere immagine e compendio. E’ dei nostri palpiti in corso. “Installazione” è invece un termine che viene oramai da percorsi già storicizzati. Non è stata la semplice ricerca di un sinonimo. E’ stato il tentativo di rendere quel bisogno tutto contemporaneo di impellenza e di comprendere anche quelle opere presenti in mostra che, per diversi aspetti, superano l’arte installativa, o che si collocano su sottili confini.
L’esposizione è una sorta di riassuntiva panoramica sulle possibilità del coinvolgimento spaziale alla luce del nostro quotidiano e presente senso dell’esistere. Una figurata relazione tra l’interiorità ed il mondo esterno. Le opere, con il loro corpo, portano con sé un senso, non soltanto psicologico, ma di approfondimento del rapporto uomo-ambiente, uomo-azione, uomo-partecipazione. Ognuna di esse propone un luogo dell’anima, vivifica in tutte le dimensioni il nostro pensiero e lo rende tangibile e concreto. Vi possiamo vedere le forme della nostra malinconia, quelle dei nostri incubi, il ritmo del nostro respiro, la memoria di noi lasciata nel nostro passato.
Vedere ciò che si prova, guardare il pensiero e dare ad esso sostanza, è una sorta di esorcismo terrifico ma rassicurante. E così camminiamo tra le varie parti di noi stessi, tra le nostre molteplici riflessioni, ne ascoltiamo il rumore e ne vediamo la concretezza.
Possiamo sentirli, quei fili metallici tagliarci la schiena, sui letti di Carla Crosio, dove lasciamo le impronte di ciò che è perduto e che da letti d’amore si fanno letti di mancanza, su cui ogni notte abbandoniamo il nostro dolore come un ornamento, e lì rimane, e lì tutti lo vediamo, perché la materia che l’opera ha loro dato, non sparisce più. Ed i frammenti di pensiero della Fanti, le catene con cui siamo puniti dalla severità dell’educazione e della storia, la ricerca di perdono e l’impossibilità del suo raggiungimento stanno, luminosi, tra la terra ed un vicino orizzonte, e li guardiamo con il nodo alla gola di chi non può più negare, né essere assolto dai propri peccati.
Allora, solo allora, possiamo scaricare la nostra angoscia sul mondo, e liberarcene di un poco, perché non è più solamente nostra, né immateriale prodotto della fantasia oscura, ma è davanti agli occhi, come epifania che si manifesta in tutte le sue dimensioni. Non è più nemmeno l’immaginaria bidimensionalità del quadro, che ci costringe ad uno spazio illusorio. Non c’è più distanza. Neppure il tempo passato può rimanere lontano ed immateriale. La nostra vita in tutti i suoi cambiamenti, che pare non lasciare segno né orma né memoria, è richiamata all’evidenza dagli oggetti della Frontini o dall’opera, fatta di lunghi capelli, di Valter Luca Signorile. Entrambi costruiscono reliquie di una quotidianità altrimenti destinata alla dimenticanza, e strappano dall’oblio le tracce umane disperse nel cammino della storia di sé e di tutti, materializzando la testimonianza del nostro passaggio attraverso i giorni, i mesi e gli anni. E’ come ritrovare il passato, che si credeva nube perduta, sotto forma di oggetto richiamato a vivere.
Anche Sergio Ragalzi lavora sulla traccia, ma forse è meglio dire sull’assenza, spinto non dal moto della ricerca del passato ma, al contrario, dall’evidenza di quanto esso lasci involontariamente di sé. Toglie la persona dai suoi stessi abiti, e di essa altro non resta che un simulacro privo di anima, ed impronte capaci di raccontare intere storie. Sono i segni del vivere privati della vita, ciò che rimane di noi nel mondo. Quel mondo poliedrico ed inadatto, che l’uomo fatica a piegare. Gli artisti lo guardano non nelle sue forme distratte, ma nelle forme che esso prende in noi, sottolineate da Daniela Nenciulescu negli oggetti metallici presi dalla realtà e semplicemente trasposti in altro ambito così da sottolinearne la presenza fisica e le reali forme, o nelle elaborazioni di Fiorenzo Rosso che ne mostra aspetti che non avremmo mai visto se non portati all’evidenza dai suoi interventi studiati e complessi.
Ci sono anche luoghi ideali del cuore e dell’anima, mondi densi della poesia di cui abbiamo bisogno per vivere, sintesi sognata di natura e vita. Sono le isole di Luciano Massari, rifugi essenziali e delicati, approdi sereni di cui si vagheggia come ultimi lidi da raggiungere in un tempo a venire.
Respiri sereni, leggeri ed impalpabili aliti di vento, sono le strutture esili di Adriano Campisi, che pare quasi voglia farci sentire la sottigliezza del vivere, la sua delicatezza, il suo appena percettibile battito provvisorio. Si materializza così un equilibrio organizzato ma labile, che sembra sul punto di infrangersi, dando immagine al terribile umano senso di precarietà.
Claudio Rotta Loria lavora invece sull’esperienza della terra, sul bisogno di prendere coscienza del territorio e del globo perché le misure, una volta calcolate, rientrino sotto il dominio del controllo umano, e non siano più vagheggiamenti su immensità spaventose, senza definizione nel cosmo e senza confini.
E, se l’arte è sempre esperienza, ascoltiamo il suono di una batteria fatta di pietra. Possiamo ripeterlo e ripeterlo, ogni volta che vogliamo suonarla, è lì per noi. Silvia Ruata ci fa giocare, come sempre, e così evidenzia il duplice aspetto delle cose, quel lato oscuro e dissonante che si cela anche in ciò che saremmo certi di conoscere e che a tutta prima ci pare ameno. Ma né tamburi, né musica e né piatti sentiremo da quello strumento, piuttosto un suono sordo, piuttosto uno stridore.
Attraverso il lavoro di questi artisti passiamo attraverso di noi. Camminiamo dentro le cose che si credevano immateriali ed effimere ed invece si sono fatte concrete e pesanti. Ad ogni passo saremo testimoni del nostro tempo come individui che partecipano al mondo ed al suo battito. Porteremo con noi tutto ciò che ci compone e che non sia solamente carne. Saremo parte di ognuna delle voci che si vedranno sotto forma di opere, che saranno le nostre consolazioni dalla paura, la nostra condivisione di anima e timore e bellezza e pensiero, i nostri veicoli all’oltre, al mondo indiviso. Troveremo ogni cosa nel nostro percorso, ed ogni cosa sarà come noi e parte di noi, con simbiosi, senza distacco.
Questo significa Contemporaneo 3D.
Maria Vittoria Berti
Info: STUDIODIECI info@studiodieci.org
CARLA CROSIO Tel. 393.0101909 carlacrosio@gmail.com
Inaugurazione 23 Aprile 2010, ore 18
Auditorium Santa Chiara
corso Libertà 300, Vercelli
Orari:
dal martedi' al venerdi' 16,30-19,30, sabato e domenica 10,30-12,30 e 16,30-19,30
il 17 e 18 maggio 9-13 e 14-19. 25 aprile e 1 maggio chiuso
Ingresso libero