Attraverso oltre 70 opere, tra dipinti, sculture, disegni, oggetti di design, fotografie e stampe, la mostra analizza l'evoluzione degli ideali utopici nel pensiero e nella pratica artistica occidentale moderna, prendendo in esame una serie di casi studio dalle confraternite ottocentesche fino alle avanguardie del primo dopoguerra. Sono presi in esame i Primitifs francesi, i Nazareni tedeschi, i Preraffaelliti inglesi, l'eclettico artista inglese William Morris con il movimento internazionale dell'Arts and Crafts, la Cornish Colony americana, il Neo-Impressionismo francese, il De Stijl olandese, il Bauhaus tedesco e il Costruttivismo russo. A cura di Vivien Greene.
a cura di Vivien Greene
Dal 1 maggio al 25 luglio 2010, la Collezione Peggy Guggenheim presenta Utopia Matters: dalle
confraternite al Bauhaus, a cura di Vivien Greene, Curator of 19th- and Early 20th-Century Art al Guggenheim
Museum di New York. Attraverso oltre 70 opere, tra dipinti, sculture, disegni, oggetti di design, fotografie e
stampe, la mostra analizza l’evoluzione degli ideali utopici nel pensiero e nella pratica artistica occidentale
moderna, prendendo in esame una serie di casi studio internazionali rivelatori dei molti aspetti che l’utopia
assume se adottata dai movimenti artistici, dalle confraternite ottocentesche fino alle avanguardie del primo
dopoguerra. I movimenti interessati sono i Primitifs francesi, i Nazareni tedeschi, i Preraffaelliti inglesi,
l’eclettico artista inglese William Morris con il movimento internazionale dell'Arts and Crafts, la Cornish
Colony americana, il Neo-Impressionismo francese, il De Stijl olandese, il Bauhaus tedesco, per arrivare al
Costruttivismo russo. La mostra annovera prestiti dai più importanti musei del mondo, dal Metropolitan al
Solomon R. Guggenheim, dal Moma al Brooklyn Museum di New York, dalla Tate Britain al Victoria and
Albert Museum di Londra.
Il percorso espositivo ha inizio a cavallo tra Sette e Ottocento quando sorgono gruppi di artisti con fini
utopistici articolati, che si autodefiniscono confraternite e compiono uno sforzo consapevole per formare
comunità ideali. Tali confraternite sono spesso caratterizzate da un’opposizione al modernismo, dall’assenza
di un progetto politico definito, da tentativi di riforme di tipo idealistico e individualistico. Aspirano a vivere
un’esistenza pura, talvolta monastica, e a rimanere intoccati dai mali esterni. In alcuni casi il loro appartarsi è
provocato da sentimenti religiosi nati in opposizione alla crescente secolarizzazione della Chiesa cristiana nel
corso dell’Ottocento, in altri dalla ricerca del “primitivo”, dell’immergersi nella natura, del ritornare a uno
stato di armonia incontaminata. È questo il caso dei Primitifs francesi, la cui arte si rifà al primitivismo
dell’arte greca arcaica, etrusca e al Quattrocento italiano, con soggetti che richiamano scene intensamente
emotive tratte dai racconti di Omero, dai poemi di Ossian e dall’Antico Testamento. Similmente fanno i
Nazareni tedeschi, con artisti come Friedrich Overbeck e Franz Pforr (Il Conte d’Asburgo e il prete,
1809-1810), che si ispirano al primo Rinascimento, dipingono scene religiose allo scopo di risvegliare la fede
attraverso l’arte, e subiscono il fascino delle forme rinascimentali plastiche di Raffaello.
Come i Primitivi e i Nazareni, anche i Preraffaelliti guardano al passato, affermando la propria fedeltà all’arte
e alla filosofia dell’epoca che precede Raffaello, in cui dominavano le corporazioni. Annoverano artisti come
William Holman Hunt, John Everett Millais e Dante Gabriel Rossetti, la cui produzione privilegia le nitide
narrazioni pittoriche nello stile del Quattrocento italiano, scegliendo soggetti tratti dalla storia e dalla
letteratura medievali, dalle opere di William Shakespeare e dalle storie religiose, per evocare epoche in cui
cavalleria, purezza d’animo e moralità regnavano sovrane.
Con l’avanzare del progresso ottocentesco si verifica, in reazione alla sempre maggiore meccanizzazione e
disumanizzazione causata dal lavoro industriale, un ritorno all’artigianato. Tale recupero si accompagna alla
concomitante consapevolezza che arte, architettura e design possono rivestire un ruolo nel riformulare il modo
in cui la gente vive, e dunque possono servire a migliorare la società. Tra i maggiori promotori di questa
filosofia c’è William Morris, artista legato, insieme a Edward Burne-Jones (Elaine, 1870), ai Preraffaelliti:
ispirandosi ampiamente alle teorie di John Ruskin, diviene progenitore del movimento Arts and Crafts, delle
arti e mestieri, proponendo un sistema che segua il modello della produzione collettiva sull’esempio delle
corporazioni medievali.
Col finire del secolo, in seguito all’avvento di ideali di sinistra, molti movimenti, tra cui in Francia i
neoimpressionisti, adottano ambizioni utopistiche di natura politica, facendo della propria arte strumento di
difesa dei diritti dei lavoratori e di critica nei confronti del capitalismo. Nelle proprie opere, i
neoimpressionisti descrivono un mondo idealizzato, di stampo progressista, in cui lavoro, arti e attività
ricreative si fondono in una società unificata, e utilizzano una tecnica pittorica divisionista, vagamente basata
su teorie scientifiche, fondendo metodi contemporanei e descrizioni idealiste. Mentre Camille Pissarro
dipinge paesaggi bucolici e cicli pastorali di vita contadina, che ritraggono i lavoratori armonicamente inseriti
nel ritmo della vita di campagna, con un linguaggio più impressionista, Paul Signac ed Henri-Edmond Cross
(Gita, 1895) dipingono nello stile ispirato alle teorie divisioniste, prendendo spunto per le proprie immagini,
dal vocabolario visivo pastorale classicheggiante.
All’inizio del Novecento si osserva un cambiamento nelle finalità dei gruppi utopistici in via di formazione.
Con l’avvento dell’astrazione e specialmente dopo gli orrori della Grande guerra, si verifica una svolta verso
un’idea di verità incarnata in pure forme astratte che vengono equiparate all’armonia.
I fondatori di De Stijl, un piccolo gruppo di artisti, architetti e poeti olandesi capitanati da Theo van
Doesburg (Contro-composizione XIII, 1925–26) credono che le proprietà formali di architettura, arte e
design possano contribuire a creare un senso di armonia negli e tra gli individui. Per dare vita a un linguaggio
visivo di livello universale, gli artisti De Stijl creano dipinti basati su forme geometriche bidimensionali, diversi
per dimensioni e gamma di colori. La speranza del De Stijl di rivoluzionare le relazioni sociali e la cultura
mediante un linguaggio artistico di forme “ridotte” è riscontrabile nei movimenti che nascono in quel periodo,
in special modo nel Bauhaus, scuola pubblica d’arte, architettura e design, fondato a Weimar nel 1919,
dall’architetto Walter Gropius. La scuola riunisce i principali artisti e designers dell’avanguardia in un gruppo
di lavoro che si propone di ricostruire la società del dopoguerra grazie all’arte e al design. Tra i maestri del
Bauhaus, in mostra a Venezia, spiccano Vasily Kandinsky (Dipinto blu, 1924) e Joseph Albers (Concatenato,
1927).
Anche Lenin e i bolscevichi, che assumono il potere in Russia dopo la rivoluzione del 1917, inseguono una
visione utopica, sebbene incentrata sulla ridefinizione dei rapporti tra le classi sociali. Tuttavia, in campo
artistico, Lenin sostiene gusti estremamente conservatori e preferisce la cultura borghese dell’Ottocento
europeo alle poetiche radicali dell’arte non-oggettiva dei costruttivisti. A differenza di Kazimir Malevich ed El
Lissitzky, idealisti convinti che la forma possa rappresentare visioni grandiose, Vladimir Tatlin, Alexander
Rodchenko (Parti di automobile AMO, 1929), e altri artisti, che si definiscono costruttivisti, sono più
interessati ai materiali tangibili come portatori di valore. Agli inizi degli anni ’20, la visione del partito
comunista e dell’avanguardia costruttivista si incontrano, e gli ideali utopistici insieme alla produzione
culturale cominciano così ad essere messi al servizio di programmi politici. L’appoggio dato a obiettivi politici
finisce, tuttavia, per limitare questi gruppi mettendo in luce i problemi inerenti ai loro progetti.
Il percorso espositivo termina proprio con gli inizi degli anni '30 del Novecento, quando l'ascesa del fascismo
portò alla chiusura, nel 1933, del Bauhaus a Berlino e lo stalinismo ridisegnò i progetti del costruttivismo
Russo in Unione Sovietica. Ciononostante gli esperimenti utopistici persistono, dalle colonie e dai collettivi di
artisti fino alle comunità ecologicamente autosufficienti, dando vita ai numerosi capitoli di una storia che ci
conduce fino ai giorni nostri.
La mostra Utopia Matters: dalle confraternite al Bauhaus, è accompagnata da un esaustivo catalogo
illustrato, edito da Guggenheim Museum Publications (New York) con saggi della curatrice Vivien Greene,
del noto studioso Russell Jacoby e del celebre storico del design Victor Margolin.
La mostra gode del sostegno della Regione del Veneto e delle Intrapresae Collezione Guggenheim.
Hangar Design Group ha curato l’immagine coordinata per la comunicazione. Clear Channel, Radio
Italia e Corriere della Sera sono media partner.
Immagine: El Lissitzky (1890 - 1941), Senza titolo, 1919–20 c. Olio su tela, 79, 6 x 49, 6 cm
The Solomon R. Guggenheim Foundation Collezione Peggy Guggenheim, Venezia 76.2553.43 ©El Lissitzky - by SIAE 2010
Ufficio stampa:
Alexia Boro / Maria Rita Cerilli
tel: 041.2405.404/415 fax: 041.5206.885 e-mail: press@guggenheim-venice.it
Conferenza stampa: venerdì 30 aprile, ore 12, roof terrace
Collezione Peggy Guggenheim
701 Dorsoduro 30123 Venezia
orario d’apertura: 10.00-18.00; chiuso il martedì
ingresso: euro 12; euro 10 senior oltre i 65 anni; euro 7 studenti; gratuito 0-10 anni