Luigi Veronesi
Francesco Jodice
Mark Borthwick
Liliana Dematteis
Laura Gasparini
Marinella Paderni
Elio Grazioli
Il chiostro di San Domenico ospita tre mostre per Fotografia Europea 2010: la prima personale in Italia dell'eclettico Mark Borthwick, film-maker, musicista e fotografo inglese noto soprattutto nel settore della fotografia di moda; Francesco Jodice, fotografo particolarmente sensibile al tema della natura mutevole della citta', autore di un progetto voluto da Car Server insieme al Comune di Reggio Emilia, e Luigi Veronesi con una mostra che si snoda tra i numerosi percorsi di ricerca che l'autore ha intrapreso durante la sua carriera di pittore, illustratore, grafico, scenografo e fotografo.
Mark Borthwick
a cura di Elio Grazioli e Studio Blanco
"Saluta La Dia", da un’iscrizione dedicata al vivere il momento e trascorrere la vita come un verso / ascoltare il vibrare di un’effimera voce / significa trovarsi al centro del presente / come accade con la complessità e le sfaccettature della natura, la feconda concezione del nulla, dell’inesistenza fa fiorire una stupenda opportunità. "La luce", ciò di cui una fotografia si appropria, il risultato ultimo dei colori che, spontaneamente, portano a vibrare una qualunque fonte di luce naturale. Luce che passa poi all’immagine come donata, una sorgente. Un verso che ti risuona nel cuore e sprigiona le tue voci interiori. Il cuore diviene così un’arte, ha una voce per seguire questa concezione e condividerla. Il pensiero che sia lo slancio la linfa della natura umana. Come quando il mio spirito avventuroso è arrivato, non ero altro che un pellegrino dell’amore, proteso a divorare queste ore d’amore fiorito. (Mark Borthwick - 2010)
"Saluta La Dia"
Is an image,
Of translayion giv'ing forth ay vibraytion
(An image that has no 'know'ing)
"un'known"
There for give's in
As ay giv'in
As in ay gift
That flower's to devour these hour's
Is the vertue of ay salutaytion
There for eye salute' the day
An her light that eminently lead's the way
(Will Shine - 1978)
Mark Borthwick (Londra, 1966) vive e lavora a New York. Considerato uno dei più influenti fotografi della sua generazione ha scattato per tutti i più influenti magazine ("i-D", "Interview", "Vogue", "Liberation", "Purple", "Self Service", "Another Magazine", "The Face"...) e designer (Martin Margiela, Comme des Garcons, Yohji Yamamoto, Hussein Chalayan, Nike, Bless).
A metà strada fra un fotografo di moda anticonformista e un artista che "casualmente" ha a che fare con la moda, Borthwick ha decisamente segnato il suo tempo, lanciando un nuovo modo di approcciare la fotografia fashion, creando una sua poetica fatta di scatti intimi ed analogici, spesso sovraesposti, in cui gioca nei rimandi fra natura, capo, persona, luce.
La maggior parte di tali esposizioni ha carattere collettivo, tali ritrovi sono il modo di instillare un’energia che, con la sua vicinanza alle persone riprese in casa loro, mentre cucinano, suonano oppure ascoltano musica, arriva al momento opportuno per riunire la gente ed ispirare tutti ad aggregarsi, a divenire parte del gruppo… In questo modo il concetto di vita come arte, arte dei singoli, riceve autentica linfa vitale... e ne trasuda energia condivisa e compartecipata da tutti… con il loro impegno.
Le sue mostre sono caratterizzate da un approccio naif ed hippie, in cui l'artista fa performance musicali ed happening, coinvolgendo altri musicisti e la collettività in genere.
Nel corso della sua carriera, Borthwick ha scattato il "who's who" della scena creativa internazionale: Bjork, Patti Smith, Chloe Sevigny, Kim Gordon, Cat Power, Dash Snow, Maurizio Cattelan, Sinead O'Connor sono solo alcuni degli artisti ripresi nel corso di una carriera ventennale. Ha recentemente pubblicato per Rizzoli USA il volume "not in fashion", testimonianza imprescindibile della sua arte avantgarde, espressa anche tramite poemi e collage.
Ha esposto in tutto il mondo: Haus der Photographie Deichtorhallen, Amburgo; Fotomuseum Winterthur; Colette, Parigi; Viaux Gallery for Fashion Photography e Gallery Neu a Berlino; Half Gallery e Journal, New York, Mameg, Los Angeles.
Numerose le mostre in Giappone attraverso la sua galleria Junko Shimada.
Sabato 8 Maggio ore 12.00 – Piazza Casotti
L’incanto degli occhi
Elio Grazioli presenta Mark Borthwick, Alessandra Spranzi e Richard Wentworth
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Francesco Jodice
a cura di Marinella Paderni
in collaborazione con Carserver
Gli equilibri tra paesaggio urbano e paesaggio umano sono al centro della ricerca artistica di Francesco Jodice, che indaga la natura mutevole della città contemporanea nelle sue relazioni tra le persone e le “pietre” – termine a cui ricorre l’artista per indicare le realtà “solide” urbane, quali le architetture, le infrastrutture, le tecnologie.
Per Fotografia Europea 2010 Francesco Jodice interpreta il tema del ritratto ambientato in auto e del nuovo concetto di mobilità condivisa (car-sharing) con una serie di grandi fotografie in cui l’auto, ritratta in scala 1:1, incarna la sua realtà di “luogo” dove trascorriamo parte della nostra vita e dove impariamo a percepire il paesaggio, cogliendo i cambiamenti veloci dell’ambiente e dei contesti attraversati. L’auto vista quale elemento antropologico, e non solo come mezzo di spostamento, che genera una sorta d’incanto per la sua centralità nelle vite delle persone, attorno a cui ruota una nuova consapevolezza del suo utilizzo.
Nato a Napoli nel 1967, vive a Milano. Nel 1997 si laurea in Architettura. La sua ricerca investiga le mutazioni nei paesaggi sociali comparando fenomeni simili in diverse parti del mondo attraverso fotografia, film, mappe e testi. Nel 2000 è co-fondatore di Multiplicity, un network internazionale di artisti e architetti. Nel 2004 viene nominato Professore di Teoria e Pratica dell’Immagine Tecnologica alla Facoltà di Arte e Design dell’Università di Bolzano e nel 2005 Professore di Antropologia Urbana Visuale presso Naba (Nuova Accademia di Belle Arti) di Milano. Nel 2008 riceve l’incarico dalle UN per realizzare un cortometraggio in occasione del 60° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.
Ha partecipato a: Documenta Kassel, La Biennale di Venezia, Bienal de São Paulo, Liverpool Biennial, ICP Triennial of Photography and Video New York e ha esposto i suoi lavori presso Tate Modern Londra, Reina Sofia Madrid, Castello di Rivoli Torino, Maison Européenne de la Photographie Parigi, e Bard College N.Y.
Tra i suoi progetti di ricerca in corso: What We Want; Secret Traces; Citytellers.
Lo sguardo di Francesco Jodice analizza la fenomenologia delle società odierne con l’intento d’intercettare i fenomeni che sottendono l’urbanesimo contemporaneo e rendere manifeste le trasformazioni socio-culturali in atto. La sua è una fotografia di natura concettuale, indiziaria, che interviene sul tempo e sulla sparizione sempre più accelerata della realtà all’interno delle metropoli, una fotografia praticata – come sostiene l’artista – quale forma di “resistenza etica” in contrapposizione all’entropia e al mutare incessante delle cose.
Per l’artista il paesaggio urbano è il luogo di proiezione dei desideri più o meno consci delle persone, le quali ne modificano le forme, le strutture e i significati con i loro comportamenti. Rispetto al filone italiano della fotografia concettuale di paesaggio, Jodice si distingue per aver intrapreso una metodologia di lavoro molto originale, che non si limita all’ambito del fotografico, ma che si basa sulla contaminazione continua con altri modelli culturali desunti dall’antropologia, dalla geopolitica, dall’architettura e dall’urbanistica. Questa pratica lo porta a collaborare di frequente con architetti, studiosi, sociologi e a sperimentare progetti dove la fotografia è una parte del discorso contaminandosi con altri linguaggi.
Con un lavoro particolare sulla luce e sull’inquadratura, Jodice restituisce un’immagine non descrittiva ma sintetica della condizione urbana, per certi aspetti quasi onirica e trasfigurata, sospesa tra il reale, il mitico e il visionario.
Sabato 8 maggio ore 18.00 - Piazza Martiri del VII luglio
Conferenze
Visioni di città - Il paesaggio dei flussi
Intervengono Francesco Jodice, Stefano Boeri e Marinella Paderni. Conduce Massimiliano Panarari.
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Luigi Veronesi
a cura di Liliana Dematteis e Laura Gasparini
L’esposizione di Luigi Veronesi intende presentare la parte dedicata alla ricerca e alla grafica legata all’editoria fotografica della collezione di Liliana Dematteis donata alla Fototeca della Biblioteca Panizzi. La mostra si snoda tra i numerosi percorsi di ricerca che l’autore ha intrapreso durante la sua carriera di pittore, illustratore, grafico, scenografo e fotografo a partire dal 1936 agli anni cinquanta del novecento.
L’eccezionalità dell’esperienza di Luigi Veronesi nell’arte italiana e in quella europea, è quella di aver saputo coniugare la pittura e la fotografia come linguaggi complementari e non antagonisti nel campo della pratica artistica. Il tema principale della sua ricerca è stato quello dello spazio, uno spazio difficile da catturare e quindi da descrivere. La sua ricerca antesignana rispetto alla realtà artistica italiana ha spaziato verso le ricerche di Man Ray, Moholy-Nagy, El Lissitzkij e Rodčenko.
La collezione di Liliana Dematteis costituita da fotografie, bozzetti grafici, libri d’artista, manuali di tecnica fotografica e cinematografica da lui progettati graficamente, permettono di apprezzare pienamente l’idea di sperimentazione dell’autore dove la luce, insieme allo spazio, diventano elementi essenziali per la nascita di nuove immagini. In mostra saranno esposte circa 50 fotografie astratte, i bozzetti fotografici di scena, gli esecutivi grafici delle copertine della rivista Ferrania e una trentina di volumi relativi alla fotografia e al linguaggio cinematografico di cui Veronesi ha progettato la grafica e l’impaginato.
Luigi Veronesi nasce a Milano nel 1908.
Compie studi tecnici e si perfeziona in disegno industriale per tessuti, ma contemporaneamente studia con il professor Violante, insegnante all’Accademia Carrara di Bergamo, da cui apprende il mestiere di pittore. A metà degli anni venti conosce Raffaello Giolli che lo introduce nel gruppo degli intellettuali che gravitano intorno alla rivista “Poligono”.
Intanto, grazie anche alla passione del padre, si occupa di fotografia sperimentando la tecnica off camera del fotogramma. Conosce in quegli anni Lazlo Moholy-Nagy ed il suo lavoro di sperimentazione globale sulla pittura, sulla fotografia, sul film; fin dal 1936 e parecchie volte a seguire, Veronesi lo riconoscerà come suo maestro insieme a El Lissitsky e Kandinsky.
Nel 1932 compie il suo primo viaggio a Parigi dove conosce Fernand Leger e Georges Vantongerloo; nel 1934 aderisce al gruppo francese di Abstraction-Creation e tiene la sua prima mostra di xilografie non figurative alla Galleria del Milione insieme a Joseph Alberts, partecipando in seguito alle collettive degli astratti italiani (Bogliardi, Fontana, D’Errico, Ghiringhelli, Licini, Melotti, Reggiani e Soldati) che gravitavano intorno a quella galleria, da cui si allontana per motivi ideologici dopo la morte di Edoardo Persico, nel 1936.
Nel 1939 realizza una mostra personale alla Galerie L’Equipe di Parigi, ove espone alcuni dipinti realizzati su tela emulsionata con fotogrammi, tempere ed olii; le sperimentazioni intorno alla fotografia ed al fotogramma, lo portano all’utilizzo di questo mezzo anche negli studi di scenografie e costumi per il teatro (collabora in quegli anni con il Teatro di Palcoscenico e numerose sono le scenografie per la regia di Paolo Grassi, Giorgio Strehler ed altri). Dal 1938 si occupa di cinema e realizza, a partire dall’anno successivo numerosi film astratti, alcuni dei quali a colori, che ottiene dipingendo a mano la pellicola.
Nel 1949 aderisce al Mac, Movimento Arte Concreta partecipando da quell’anno a tutte le mostre del gruppo e, a partire dagli anni cinquanta, si fa molto intensa la sua attività espositiva, con il primo invito alla Biennale di Venezia del 1954, fino alla sala personale nell’edizione del 1986.
Veronesi svolge anche, con passione, una intensa attività didattica che lo vede docente molto amato ed ambito prima a Venezia al Corso Superiore di Industrial Design, poi all’Accademia di Brera a Milano e infine alla Nuova Accademia di Milano.
Grandi retrospettive delle sue opere sono state tenute al Palazzo Reale di Milano, all’Institut Matildenhohe di Darmstadt e poi allo Sprengel Musem di Hannover, al Museum Bochum e alla Stiftung fur konstruktive und konkrete kunst di Zurigo.
Muore a Milano nel 1998.
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Immagine: Mark Borthwick, Us Two, Costa Rica, 2007
© Mark Borthwick
Inaugurazione: venerdì 7 maggio 2010 alle 19
Chiostri di San Domenico
Via Dante Alighieri 11 - Reggio Emilia
Aperto il 7 maggio dalle 19.00 alle 24.00; sabato 8 e domenica 9 maggio dalle 10.00 alle 23.00.
Dal 10 maggio al 13 giugno aperto da martedì a venerdì dalle 20.00 alle 23.00; sabato, domenica e festivi dalle 10.00 alle 23.00. Chiuso lunedì.
Aperto la mattina su richiesta per le scuole.
Biglietto unico per accedere a tutte le mostre: 10 €. Riduzione: 7 €