Ritratti assoluti. Alla base delle opere dell'artista c'e' un'idea statuaria e monumentale, volti che giganteggiano sulla tela bianca nella tensione di riuscire a rappresentare la personalita' interiore dei soggetti.
“Ogni ritratto dipinto con sentimento è un ritratto dell’artista, non del modello. Il modello è soltanto il pretesto, l’occasione.”
Le parole che Oscar Wilde fa dire a Basil davanti al ritratto di Dorian Gray affiorano prepotenti davanti ai quadri di Daria Paladino, le riconosciamo in primis nella scelta dei soggetti, tutti protagonisti di ambienti artistici. “Voglio che vengano fuori potenti” dice Daria Paladino “Se potessi li farei ancora più grandi”. Alla base c’è un’idea statuaria e monumentale, volti che giganteggiano sulla tela bianca nella tensione di “riuscire a rappresentare la personalità interiore dei soggetti, nella loro unicità e grandezza, che spesso trova limiti nella dimensione della tela”.
La programmatica dichiarazione di intenti di Daria Paladino è coerente alla sua opera, che nel rapporto con lo spettatore fa un ulteriore passo avanti dando ai suoi personaggi posizioni scenografiche, tagli particolari, ‘megalomani’ nel loro contesto, imponenti. Li vuole invadenti, e raggiunge lo scopo non soltanto con un gioco di dimensioni, ma con un’altra importante caratteristica: quei volti ti osservano ovunque tu vada.
Giulio Paolini con ‘Giovane che guarda Lorenzo Lotto’ ci ha insegnato che ogni personaggio ritratto ci guarda, come una volta ha guardato chi lo ritraeva. Questa l’interessante operazione che Daria Paladino conduce, fra gli altri, su Basquiat, Chuck Close, Enzo Cucchi, Marina Abramovic, Damien Hirst, Francis Bacon, rassegna di grandi della pittura fra cui inserisce il grande Memmo Mancini, il mito di tutti gli artisti, il “coloraio” che dispensa materie prime e consigli. “E’ la mia guest star” dice Daria Paladino. Sceglie lui, non Picasso, che pure ritrae in più di un’occasione, né Andy Warhol, di cui cerca l’anima togliendogli la corona della fama: il suo volto è troppo noto, e allora l’artista elimina gli occhi, ritrae la parte inferiore del volto dall’alto verso il basso, include una inedita porzione del corpo. Un taglio di tipo fotografico, mondo che l’artista omaggia anche con l’intenso ritratto del fotografo Claudio Abate, attraversato da luci e ombre.
Ma nonostante i tanti legami con il linguaggio fotografico, prima fonte dei suoi ritratti, per trovare l’anima in un volto Daria Paladino sceglie la via della pittura perché “La fotografia è troppo bidimensionale” dice guardando uno dei suoi personaggi ritratti “Non ti guarderebbe mai come ti guarda lui”.
Sintesi dal saggio di Laura Cherubini per il catalogo della mostra
Inaugurazine 13 maggio ore 19
Pio Monti arte contemporanea
piazza Mattei 18 - 00186 Roma
Orari: lunedì - sabato 11-13 e 16-20
ingresso libero