Il progetto ArteFacta intende chiarire alcuni dei rapporti esistenti tra architettura ed opere in essa esposte. L'ipotesi di lavoro e' quella di seguire alcune tendenze recenti dell'arte, in particolare lo sviluppo delle modalita' installative, rimeditate in presenza di un luogo storico (S.Gregorio).
Sintesi teoricritica
Il progetto ArteFacta intende chiarire alcuni dei rapporti esistenti tra architettura ed opere in essa esposte. L'ipotesi di lavoro e' quella di seguire alcune tendenze recenti dell'arte, in particolare lo sviluppo delle modalita' installative, rimeditate in presenza di un luogo storico (S.Gregorio).
Rispetto a sedi espositive convenzionali (musei e gallerie), generalmente asettici e anonimi contenitori dell'oggetto artistico, il luogo storico non puo' essere considerato indifferente e dunque anestetizzato.
Questo appare coerente con l'urgenza dell'arte attuale di riconsiderare i rapporti tra opera e spazio che la ospita, procedendo in ultima istanza alla ridefinizione del concetto stesso di opera.
L'opera d'arte si espande oltre il proprio bordo, la pittura oltre la cornice entra in contatto diretto con l'architettura.
E lo scambio di significati e' reciprocita'fino ad un grado elevato di integrazione.
ArteFacta e' il risultato di uno sforzo congiunto tra il pittore Chavin e l'operatore (est)etico IV, e' intermediazione/-ferenza tra parola scritta e fatti artistici.
Essa parte dal dato sensibile trasportato dalla pittura, esplicitando attraverso l'uso sintonico di spazio interno ed esterno motivi e relazioni cromatici.
Riflettere le tendenze attuali in termini di spazio espositivo significa incorporare esso nell'insieme degli oggetti-atti a mostrarsi. Se non si vuole piu' un invo-lucro passivo di eventi, occorre estrarre materia storica dall'ambiente rendendo visibili le strutture locali anche nella loro dimensione temporale.
Lo spazio deve essere elicitato, sensibilmente e in modo unitario portato a muoversi con il visitatore, componendo rinnovata monumentalita'.
La facciata dell'ex-chiesa e' frontalmente statica, bilanciando le spinte laterale dell'ex-pretura e verticale del campanile.
Catalizzatore del dinamismo esterno e' il modello di colore RGB kleiniano (Rosa, Giallo-oro, Blu) scelto per s-velare alcuni fori e finestre degli edifici.
I materiali tecnoplastici sono monocromi industriali, pigmenti polimerici concentrati in accensioni di colore. Al di la' della loro forma-rettangolo che li pone in similarita' al quadro o alla finestra, questi schermi reimpostano lo sguardo addomesticato riflettendo la luce al negativo, evidenziando tutte (e sole) le superfici non coperte ovvero le architetture strutturali.
Occludere una finestra significa sciogliere la finzione riproduttiva pittorica, presentando non gia' pitture ma finestre reali sulla pittura, a rovesciamento della metafora.
E' un richiamo esplicito agli oggetti pittorici allestiti internamente, al loro geometrismo variabile che viene giustificato e letteralmente pianificato. Le antifinestre sono staccate dalle pareti e disposte sul piano, divergenza ortogonale tra funzione e finzione. C'e' un legame causale (e non casuale) tra la parte esterna ed interna dello spazio espositivo di ArteFacta.
Le linee verticali in prospettiva degli elementi architettonici vengono ribaltate sul piano degli elementi orizzontali-superficiali (le pitture). Il tramite con cui lo spazio fisico progettato storicamente continua nell'universo privo di profondita' raffigurato nei quadri di Chavin e' il colore. Esternamente, esso e' scattered, separato e ridistribuito secondo una punteggiatura ed un ritmo visivi. All'interno, e' invece imploso e trattenuto dal bordo-cornice.
Cio' che e' rilevante per ArteFacta e' l'aver dato un quadro coerente di interrelazione tra le evidenze sensibili. La parte interna risulta come un conflusso di cio' che la circonda (nello stage operazionale di ArteFacta e, per esteso, nel reale), e viceversa la tavolozza dell'artista e' stata rovesciata e defenestrata. La metafora di visitazione che accompagna internamente lo spettatore e' quella delle isole di colore.
Nell'oceano dell'esistenza, il transitare non piu' fisico si evolve al piccolo raggio di volute derive incerte, peregrinazioni in quella ''pratica solare dell'arte ... [che] viene assunta come un movimento affermativo, come un gesto non piu' di difesa ma di penetrazione attiva, diurna e fluidificante''.
''Una solarita' visiva che significa possibilita' di realizzare opere fatte ad arte'' : esse ricercano lo sguardo entro un percorso che le pone nell'apparente svantaggio di essere viste dall'alto in basso.
Recuperare lo scarto dell'essere rappresentazioni di pitture, debolezze di tecnica e forma di vizi incurati e' il tentativo e forse l'approdo di tale viaggio. Le basi su cui poggiano le pitture di Chavin sono una variante in loco dell'objet trouve', parte dell'ambiente ma al contempo perfettamente estranee.
Il loro peccato originale e' di sostenere lo sguardo rivolto alle opere, proteggendo meccanicamente l'edificio storico ma segnando la distanza in modo netto tra contenente e contenuto, tra affreschi ed intonaci preesistenti e le pitture attuali. Scheletri pesanti di confinamento e separazione, tali supporti dovevano essere almeno un po' umiliati, indotti a disattendere la loro funzione asfittica e l'inerzia che annulla la percezione dello spazio interno.
Come se un terremoto li avesse fatti cadere. Senza perdita di una mediazione tra luogo e opere, che coerentemente vengono presentate atterra (o quasi). Questi moduli 6:9 (per la forma che assumono accoppiati) divengono piattaforme attive di deriva, incorporando anche una installazione di tutti gli scritti (incluso il presente) prodotti per ArteFacta. A significare ulteriormente del comune contesto di viaggio e transito di immagini e parole.
Dover parlare di pittura. Evitarne l'abuso, e voler parlare dell'arte di Chavin cercando di seguirne i movimenti per indovinarne le fattezze, proprie del sogno. Che nome hanno questi oggetti ? Sono dei senza titolo, dotati di una certa liberta' di ricevere e di dare significati. Pitture come superfici specifiche, ma anche in senso piu' esteso, dunque colore. E' bene pensarle da subito come nomadiche, secondo quella tendenza nata in pittura e divenuta una sorta di koine' comportamentale nei vari linguaggi.
Transitare negli stili per una limpida e primitiva indifferenza a regole preimposte. Meno memoria (forse), piu' spinta ad idee visive inconsuete. Sapore domestico, antieroico, esecuzione frammentata e sul lungo periodo, ma senza ricerca di perfezione. Sintesi e semplificazione formale.
Non c'e' bisogno neanche piu' del pennello : la manualita' e' diretta, il colore e' tattile in senso proprio, percepito non solo visivamente. E' possibile incontrare le tracce del sangue stesso, sangue d'artista fuoriuscito e mescolatosi ad altre tonalita'. Sfregamento che genera calore momentaneo (e interiorizzabile) sulla superficie.
Non si voglia ridurlo ad un calcolo concettuale, ad una grammatica del tatto e del tocco che si sostituisca alla visione. Semmai, una tecnica di approssimazione, istintuale vicinanza al proprio oggetto non piu' separato dal corpo, o per lo meno creato da una meccanica piu' intima.
L'arte di Chavin nasce dalla grafica, una posizione ''minoritaria'' riscattata dal gusto (e dal gesto) sperimentale : il rischio di fare in fretta e male versus le cautele di un arazzo geometrizzante, di una disciplina autoimposta.
Le figure non sono mai intere, bastano parti connotative che possano appiattirsi e disporsi superficialmente secondo piacere o dolore. Non c'e' storia : lo sguardo ritrae l'attuale e lo riproietta in senso utopico, componendo per strutture oltrefisiche, preparando terreni, margini di salvazione, sollevando solitudine ed inquietudine a dignita'.
Oggetti pittorici orientati fortemente al futuro divengono (f)atti comunicativi che non possono mancare il loro destinatario. Il massimo dell'apertura interpretativa si volge in certezza empatica, in comunione del tempo sociale.
Iniziare un quadro per Chavin significa preparare un discorso su cio' che ci sta accadendo, attraverso una narrazione figurata, adottando punti di vista eterogenei : spirituali, poetici, emotivi, razionali, pratici, ironici, semplici o comuni. Forse non manca talora di essere un baro, ovvero di celare sotto gli strati del colore la risposta alle nostre urgenze, perche' forse (vuole dirci) l'ovvieta' dell'intimo bisogno deve motivare la ricerca d'ognuno e non lo specialismo d'artista.
Egli rimette insieme l'accozzaglia sparsa della propria identita' sotto gli stimoli del presente, che richiede per inverso di possedere piu' espressioni sfaccettate, piu' soluzioni di adattamento. Ne risulta una complicazione irradiante di tentativi e prove empiriche, secondo il personalissimo immaginario non-unitario preparato alla sfida del molteplice.
Brainstorming del gusto (e dello scrivere giusto), costruzione delle immagini-pigmento un poco alla volta, a piccoli morsi sulla temporalita' dilatata di chi ha sacralizzato la propria visione interiore. L'impronta delle dita come segno genetico apre all'entusiasmo di scoprire le proliferazioni di cio' che e' creativo, la formazione del nuovo sulla base codificata del proprio essere storico.
ArtPa e' un'ipotesi di lavoro collaborativo tra la pittura di Chavin e le applicazioni di IV. Questo processo di interscambio, originatosi in corrispondenza del Progetto BAC (1999), culmina nella sua pienezza e confluisce nell'esposizione ArteFacta.
Il rapporto di reciprocita' puo' essere visto instaurarsi come tra contenuto e container, essendo gli oggetti pittorici la base materiale, probatoria della operazione concettuale. ArtPa assume un primo significato genetico : la parentela, la vicinanza biologica rendono quasi naturale la fisiologia (o la patologia) della parole (di queste parole) che discende dai (f)atti pittorici. IV dice : chi potrebbe ricavare margini di analisi entro lo spazio domestico in cui si e' sviluppata la pittura del padre se non IV stesso? L'autorizzazione a parlarne (a generare un testo critico per essa) si completa nella resa fotografica, nella falsa riproducibilita' che si fa parziale distorsione di senso.
Un risultato collaterale (ma ben accetto) di ArtPa e' la tratt-azione della pittura in termini estranei ad essa, connettendo attitudini ed esperienze distanti. All'interno di S.Gregorio e' stata predisposta una piccola videoinstallazione, un loop di immagini restituite dal monitor che funge da alter-schermo pittorico. La breve sequenza dal sonoro sincopato si compone di scatti fotografici per dettagli su alcune opere di Chavin, che vengono filtrate in digitale e assimilate nei processi macchina.
ArtPa inizialmente procede per copiatura, appropriazione visiva e parziale incorniciamento che rei-scrive l'immagine. E' in fondo un atteggiamento genetico, quello di derivare nuove immagini ricavandole direttamente dal tessuto originario della pittura, che viene scrutata e avvicinata all'obiettivo con effetto dermografico. La materia organica della pittura puo' essere letta nel suo codice costitutivo e ritradotta in linguaggio macchina, nella forma interpolata di pixel.
Oltre a fattori strettamente genetici, ArtPa e' sensibile ai condizionamenti dell'ambiente.
La video-installazione alterna alle precedenti immagini altre di natura contestuale all'ambiente domestico, che appare segnato indirettamente dal lavoro in pittura.
Infatti, l'energia impiegata in un certo punto (la superficie dipinta) e' sottratta ad altre sottoregioni abitative, avendosi un progetto, un ordine all'interno della cornice ma disordine e trascuratezza altrove.
ArtPa raccoglie i dati inerenti e circostanti il lento e frammentato processo pittorico, sregolato o accelerato in dipendenza dello stato d'animo, registrando minimi spostamenti fisici di strumenti ed oggetti ausiliari.
L'assenza di ordine si mostra come accumulazione e incontro fortuito che in se' non ha piu' il bello lautremontiano, quanto la rimotivazione dei tempi morti, degli scarti energetici, ora recuperati nel ciclo della creativita' complessiva della vita.
L'approccio analitico di ArtPa e' la spinta iniziale alla piu' estesa progettualita' di ArteFacta.
Esso e' un riappropriarsi e un ridipingere la pittura che inizializza un processo di scomposizione non solo iconica, ma anche degli interstizi lasciati vuoti nel transito creativo. L'analisi in componenti primarie e' diretta secondo una temperatura non piu' cromatica, ma mentale.
ArtPa e' finalmente la modalita' interconnettiva tra teoria di pittura e operazione concettuale intesa come sua estensione. C'era bisogno che il set di oggetti pittorici acquisito in ArtPa si innestasse sul nuovo concetto di luogo espositivo. E' possibile immaginare i moduli 6:9 come interfacce di ribaltamento che permettono l'osservazione di tali rapporti ambientali.
Metaprodotto di funtori endoesencratici - per utilizzare la definizione matematica di un insieme i cui elementi interni ed esterni sono intimamente correlati.
La soluzione generale dell'allestimento interpreta l'evento come cerebrazione di pittura : convivere con essa in ogni tipo di spazio (abitativo, espositivo) e sotto diverse declinazioni linguistiche. Se ArtPa si intrude nello spazio implicito e quotidiano, ArteFacta investe il proprio contenuto dell'aura di cio' che e' monumentale e pubblico, conciliando tale dimensione con il divagare coloristico di Chavin.
Il movimento e' adesso inverso : da una sua parte si arriva alla sostanza intera del progetto. ''La totalita' degli intenti e dei risultati e' determinata dal contesto'' , recita in un acuto saggio Angelo Bertani, giungendo fino alla conclusione che non esiste un lavoro site-specific migliore del site-itself. L'opera site-specific, pensata contestualmente al luogo in cui viene esposta, risulterebbe pressoche' nulla se commisurata linearmente ad esso e alla sua insistenza storica. Bertani non si reprime davanti alla forza esercitata da siti storici detentori di potere definitorio dell'opera d'arte. Questo sistema gerarchizzato puo' raggiungere nuovi equilibri se l'opera si pone l'obiettivo di interrogare l'architettura in senso esteso, ricavando un proprio ruolo e giustificazione in essa. ArteFacta ha trovato stimoli in questo, promuovendo uno studio delle proporzioni armoniche (infra)strutturali di S.Gregorio e contestualizzando ricerche parallele in pittura e co-scienza critica. Volendo in qualche modo ritrovare la classica formula di un -ismo per ArteFacta, occorre riconoscere la piattaforma coerente nella frammentarieta' contemporanea. L'essere desueto di un formalismo che in passato raccoglieva su di se' manifesti d'intenzioni e dichiarazioni di poetiche comuni, e' un limite e forse un rischio.
Ma ArteFacta lascia trasparire la propria azione e comportamento artistici con implicita complicita'.
L' ismo di S.Gregorio e' prodotto della specificita' locale, del qui-e-ora (hic et nunc).
Non e' fuori luogo, dunque, riferirsi a tale genius loci parlando di CAMPANILISMO, tuttavia spogliando questo termine dell'accezione negativa comune.
In arte, il linguaggio deve seguire l'immagine e non viceversa. Cio' che vi e' di monumentale e comunicativo, concentratore di memorie collettive capace di rilasciare energie positive per un progresso culturale e', in un'unica icona-simbolo, il campanile di S.Gregorio.
La dimensione tempo-spaziale del progetto viene esaltata da questo richiamo circum linguistico, che peraltro e' associabile anche ad un intervento complementare di IV. Si tratta del Tentativo di Decostruire una Torre d'Avorio.
Il problema d'identita' e autocoscienza, e il rapporto con gli edifici (pubblici) storici confluiscono in questo lavoro che in qualche modo ridistribuisce il peso dei vari elementi di ArteFacta. La torre d'avorio e' per antonomasia distacco, rifugio dal mondo che ci circonda nel suo rifiuto senza possibilita' di conciliazione. IV considera tale torre esistente a tutti gli effetti, stimolando la veridizione di questa messa in scena. In una saletta al piano superiore vengono esposti i disegni preparatori, esattamente nel luogo indicato dagli stessi come in fase di smantellamento.
Una sorta di cortocircuito ci porta dove non dovremmo essere oppure, per l'ultima volta, nel palazzo del potere di un cinico egoista.
Il tentativo e' quello di soverchiare le barriere autoimposte per una ricongiunzione con l'ambiente sociale e culturale piu' vasto e vitale.
Si tratta di una operazione collocabile tra il site-specific architettonico e la boutade del gioco di parole, del senso figurato : due luoghi comuni che collimano e si influenzano reciprocamente.
L'immagine dell'autoreclusione, dell'interlocuzione davanti ad uno specchio, del 'parlarsi addosso' viene ripresa in un secondo intervento interno, ad opera di Simone Berti.
La rivisitazione di un suo precedente lavoro di mail-art e' stata predisposta appositamente per ArteFacta.
Intitolata Omonimia, quest'opera consiste in due pannelli bianchi recanti un'unica parola scritta (OMONIMO-OMI§ªOMO) disposti simmetricamente rispetto all'entrata (che, del resto, corrisponde all'uscita). Il lavoro di Simone Berti e' una riflessione sull'identita' personale, nel desiderio di conservarla ma anche nella necessita' di continui adattamenti a richieste di pluralita'.
Multistratificazioni, atteggiamenti diversificati all'occorrenza, fino ai molti nomi che abbiamo a disposizione nella comunicazione elettronica, velata, priva di un volto.
All'interno di S.Gregorio, questi oggetti che si autoriferiscono attraverso il loro stesso nomen rimarcano tale condizione rispetto ai quadri di Chavin, che sono totalmente privi di un titolo, di una identita' certa. La scelta di Simone Berti fa da legante tra le libere interpretazioni di Chavin e il timore autoreferenziale di IV.
Finalmente, ArteFacta raggiunge un livello di complessita' linguistica sufficiente per perpetrare un'incidenza sul dibattito artistico attuale, che in questo caso si fa racconto dialogato tra opere esposte ed edifici storici.
Ivan Dal Cin
ex-chiesa S.Gregorio
via Garibaldi 69
Sacile (PN)