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Ferrara
corso Ercole I d'Este, 3
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Giorgio Cattani e Gabriele Croppi
dal 28/5/2010 al 9/10/2010
tutti i giorni su app. 16-20

Segnalato da

Maria Livia Brunelli




 
calendario eventi  :: 




28/5/2010

Giorgio Cattani e Gabriele Croppi

MLB Home Gallery, Ferrara

In mostra dipinti che sembrano fotografie e fotografie che sembrano dipinti. Accanto alla Ferrara di Cattani, dalle atmosfere alla Antonioni, emerge la New York hopperiana fotografata da Croppi. Due citta' distanti, ma rese vicine dalla diversita' di uno sguardo.


comunicato stampa

Dipinti che sembrano fotografie e fotografie che sembrano dipinti. Accanto alla Ferrara di Cattani, ritratta ad olio in un suggestivo virato-seppia dalle atmosfere “alla Antonioni”; emerge la New York hopperiana fotografata da Croppi, in cui la visione istantanea assume un’imprevista lentezza pittorica. Due città distanti, ma rese vicine dalla stessa diversità di uno sguardo.

Intervalli di luminosità contrastati da neri profondi,persone e cose che lottano per emergere dal buio che li assorbe, rumori smorzati o del tutto assenti.Forme che premono al nostro occhio per vincere la battaglia della scena ma che restano inghiottite da ombre inquietanti,quasi una metrica o,meglio,un pentagramma in cui prevalgono le pause sui recitati o partiture silenti che non conoscono ancora i tempi e i modi di un’esecuzione pubblica.

In questo suo ultimo lavoro Gabriele Croppi riesce nell’intento (e,forse,nella magia) di ridurre al silenzio una delle città più caotiche e rumorose del mondo,quella New York per lo più esaltata,dai vari media,nei suoi aspetti più dinamici,coloristici e folcloristici : costringendo l’osservatore ad ascoltare le sue pause piuttosto che i fragori delle suggestioni architettoniche che via via si susseguono.

E vi riesce ,come in tutta la sua precedente produzione ,con un linguaggio al tempo stesso “colto” e umbratile,”citazionista” e carico di pathos :un linguaggio che obbliga il pubblico a una lettura in due fasi,una prima emotiva e una seconda razionale.
Eppure,proprio la presenza costante di elementi realistici ,fortemente connotativi (dal Chrysler Buillding ai billboards delle strade di Manhattan) qui ripresi,per la prima volta,con estrema nitidezza di particolari,con uno spietato “tutto a fuoco” serve a farci comprendere che siamo di fronte a un nuovo capitolo della poetica del nostro autore, a un’aggiunta significativa al suo universo immaginale.Infatti,se l’effetto di stupore e di “sospensione” del precedente lavoro,da “Fughe” a “Borges y yo” fino a “Visioni” veniva raggiunto attraverso l’uso prolungato del mosso e dello sfocato(capaci di creare quella dimensione onirica del “paesaggio interiore” ,così spesso sottolineata dai critici),con le immagini di New York lo “straniamento” si compie mediante una puntigliosa messa a fuoco di tutti i particolari dell’immagine :nella convinzione ,sottolineata dallo stesso artista,che in “quel particolare medium che è la fotografia la dimensione metafisica sia rafforzata da un linguaggio estremamente realistico o addirittura iper-realistico” (G.Croppi-comunicazione privata).

Viene subito da chiedersi se in un’operazione siffatta,complessa e consapevole,Gabriele Croppi non intuisca una possibilità di ripensare lo statuto stesso della fotografia,rinnovando l’invito a riflettere su quella peculiare ambiguità (e falsità) del linguaggio fotografico,così tante volte rimarcata dalla critica ,da Roland Barthes al recente lavoro di Michele Smargiassi Un’autentica bugia.
La risposta,di senso positivo,rappresenta però soltanto una delle molteplici sfaccettature che New York-Metafisica di una città sottopone alla nostra attenzione e sarebbe profondamente errato ridurre la sequenza di immagini a una sterile operazione metalinguistica o ad uno semplice tentativo di identificazione dei caratteri peculiari della fotografia rispetto alle altre forme d’arte.
Fedele,come sempre, a un’estetica che rifiuta,in eguale misura,sia il formalismo sia le strettoie dell’arte concettuale,Gabriele Croppi ribadisce,come abbiamo già ricordato in apertura ,la sua grande capacità di accogliere una fenomenologia molteplice,fatta di riferimenti colti,ricordi di pittura e letteratura,con un senso della temporalità inteso come sovrapposizione e collisione di momenti diversi.

Sarebbe molto noioso e accademico voler elencare tutte le influenze figurative presenti nelle opere in esame :dallo stretto legame con la pittura metafisica (De Chirico forse su tutti : si noti ,ad esempio,come l’immagine della ragazza sdraiata sulla panchina rappresenti una citazione quasi letterale dell’Arianna dormiente della Malinconia del1912) ai paesaggi urbani di Sironi fino ,ovviamente,ai cityscapes di Edward Hopper,letto da Croppi nella sua duplice valenza di artista “realista” ,almeno per come è sempre stato presentato dalla critica d’arte ,e “metafisico”,soprattutto se osservato con occhio europeo (faccio notare,per incidens,che lo stesso Hopper ,in una celebre intervista,rifiutava di essere considerato realista,ricordando,con Renoir,che “l’essenziale di un quadro è ciò che non si può spiegare” Hopper-Scritti,interviste,testimonianze p.67).

Ai fini del nostro discorso mi sembra più utile tentare l’azzardo di un parallelismo fra le immagini di New York e un celeberrimo quadro di De Chirico ,Mystère et mélanconie d’une rue del 1914,dove compare un’ombra che si allunga sulla strada deserta,in mezzo alla fuga prospettica delle arcate,ma non vediamo il corpo da cui dovrebbe provenire.In una sua acuta analisi Jean Clair rileva l’aspetto fantasmatico e perturbante delle ombre dissociate : “La méthode des ombres portées qui ,dans la perspective classique,permettait de confirmer la réalité du corps materiel qui en était la source,il la detourne de telle sorte que c’est l’ombre,désormais,en tant quell’elle devient apparition,entità spectrale,fantasma,qui devient le signe de l’absence de réalité-poussée par fois ad absurdum lorsque sur le tableau se dessine isolée l’ombre inquiétante d’un corps inexistant”(Jean Clair-Malinconia –Gallimard P.100).

Sono osservazioni,queste,che si applicano senza fatica anche al nostro artista.Spingendo alle estreme conseguenze il procedimento delle ombre dissociate, Gabriele Croppi sembra avvertire la labilità del mondo oggettivo e le risonanze interiori di cui sono capaci i toni scuri e il vuoto.
Il colore nero,così dominante in tutto il lavoro,lungi dall’essere una semplice cifra stilistica,andrà visto allora come un procedimento drammatico(nel senso etimologico del termine) che ci riporta semmai all’affermazione di Henri Michaux :”il nero riporta al fondamento,all’origine/Base di sentimenti profondi.Dalla notte proviene l’inesplicato,il non dettagliato,il non riconducibile alle cause visibili,l’attacco di sorpresa,il mistero,la religione,la paura…e i mostri,quelli che fuoriescono dal nulla,non da una madre “(Henri Michaux-Emergences-Résurgences, Skira).

All’opposto delle ombre cinesi che si limitano a delineare uno spazio e a suggerire un profilo,i neri profondi di Croppi diventano automaticamente narrativi ,vere e proprie scritture dell’angoscia,dell’ansia,della paura.Inizio di un viaggio (mentale) attraverso il tunnel dello spirito e della psicologia con un forte senso di vertigine per la condizione umana,ridotta,in queste immagini,a fantasmi di volti inafferrabili,di passanti pietrificati inghiottiti dalle ombre (o forse dall’Ombra in senso junghiano),in uno spazio che li schiaccia e li sovrasta:uno spazio in cui sono vittime ed estranei nel medesimo tempo.

Impossibile,a questo punto,non avvertire echi letterari e,in particolare modo,una profonda consonanza con l’opera di Kakfa,a mio parere fonte di ispirazione principale (quanto inconscia?) di quest’ultimo lavoro di Croppi.Ma difficile anche non pensare a tanta letteratura del Novecento,dall’esistenzialismo di Sartre e Camus al teatro dell’assurdo di Beckett e Ionesco :autori diversissimi fra di loro ma accomunati dalla volontà di riflettere sul senso di smarrimento,irrealtà,alienazione ed estraneità della condizione umana. E capaci di postulare l’irriducibile anonimato dell’essere al mondo.

Mi permetterò allora di citare ,come epigrafe del mio discorso, una poesia di Emily Dickinson :
There is a solitude of space/A solitude of sea/A solitude of death,but these/Society shall be/Compared with that profounder site/That polar privacy/A soul admitted to itself-/Finite infinity (Ha una sua solitudine lo spazio,/solitudine il mare/e solitudine la morte-eppure/tutte queste son folla/in confronto a quel punto più profondo,/segretezza polare/che è un’anima al cospetto di se stessa-infinità finita”( Emily Dickinson Tutte le poesie –Mondadori p.1580)
La solitudine assoluta e radicale dell’anima che dialoga con se stessa.
E’questo il significato ultimo che le fotografie di New York (con le loro persone senza nome ,che guardano lontano o verso il nulla)consegnano alla nostra attenzione.
Ancora una volta paesaggio interiore. Ancora una volta viaggio e riflessione sullo spazio: espace du dedans.

Inaugurazione su invito sabato 29 maggio dalle 18 alle 22

MLB – Maria Livia Brunelli Home Gallery
Corso Ercole I d’Este, 3 - Ferrara
orari: tutti i giorni su app. 16-20
ingresso libero

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