Al centro della ricerca di Daniel Buren vi e' la volonta' di rovesciare i modelli dati mediante la moltiplicazione dei punti di vista, ma anche il capovolgimento delle prospettive attraverso interferenze visive. Loris Cecchini presenta 'Solidsky', una mostra personale dove nuovi cicli di opere ed elementi eterogenei si alternano in una poetica del disegno, della materia fisica e virtuale. Kader Attia si interessa da sempre alle dinamiche che regolano i rapporti tra est e ovest del mondo. In questa personale presenta un'installazione nel giardino di Galleria Continua dal titolo Holy Land. La personale di Hans Op de Beeck si compone, invece, di un'opera video e di una serie di nuove sculture a forma di tavolo sulla cui superficie sono appoggiati oggetti diversi.
Daniel Buren
Circa il ritorno di una svolta - Iscrizioni, lavoro situato, versione IV, giugno 2010
Daniel Buren torna ad esporre negli spazi di Galleria Continua di San Gimignano con Circa il ritorno di una svolta - Iscrizioni, lavoro situato, versione IV, giugno 2010.
Artista di fama internazionale, Buren è uno dei maggiori esponenti delle neo-avanguardie artistiche della fine degli anni sessanta e degli anni settanta. Valendosi di uno "strumento visivo" invariabile - l’alternanza di strisce verticali bianche/colorate di 8,7 cm – l’artista indaga da oltre 40 anni i rapporti fra l’opera d’arte, il luogo in cui prende corpo e lo spettatore.
L'azzeramento dei modi tradizionali del fare arte, la scelta del definitivo abbandono della figurazione in favore di un'arte astratta, l'elemento concettuale sono aspetti predominanti dell'arte di Daniel Buren.
Al centro della sua ricerca la volontà di rovesciare i modelli dati mediante la moltiplicazione dei punti di vista ma anche il capovolgimento delle prospettive attraverso interferenze visive. L’opera di Daniel Buren propone una lettura critica dell’oggetto d’arte affrontando tematiche relative alla visibilità dell’opera e alla definizione del suo statuto.
Per ricostruire la storia di Circa il ritorno di una svolta - Iscrizioni, lavoro situato, versione IV, giugno 2010 è necessario tornare al 1986, quando Buren concepisce per il cortile del Palais-Royal di Parigi Les Deux Plateaux, un’opera permanente costituita da una serie di colonne disposte in un'area di 3.000 metri quadrati. Durante la fase di costruzione si apre un acceso dibattito sull’intervento di Buren e sul concetto di integrazione di arte antica e contemporanea. I passanti, a cui l’artista volutamente non vuole negare la vista sul cantiere delimitando il perimetro dello scavo con un transennamento ad altezza d’uomo, partecipano alla querelle riportando i loro commenti sull’esterno della staccionata.
Nella mostra realizza nel 1988 a “Le Magasin” di Grenoble, Autour du retour d’un détour – Inscriptions, Daniel Buren, utilizzando il vecchio transennamento del cantiere, crea un percorso che riproduce quello del Palais-Royal. I visitatori hanno accesso alle sale espositive esclusivamente attraverso un corridoio che definisce a sua volta una porzione interna dell’opera. Sulla parete esterna della transenna, quella che delimita il camminamento, si leggono le scritte dei passanti; lungo la parete interna, Buren interviene con strisce a contrasto bianche e rosse.
Daniel Buren individua nello spazio platea di Galleria Continua il luogo per presentare in situ Autour du retour d’un détour – Inscriptions che in questo nuovo contesto diventa Circa il ritorno di una svolta - Iscrizioni, lavoro situato, versione IV, giugno 2010.
Daniel Buren nasce a Boulogne-Billancourt (Parigi) il 25.03.38. Vive e lavora in situ.
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Loris Cecchini
Solidsky
Dopo Dotsandloops, l’ampia rassegna antologica presentata in Italia dal Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato e, in Francia, dal MAM Musée d'Art Moderne di Saint-Étienne, Loris Cecchini torna ad esporre negli spazi di Galleria Continua di San Gimignano con Solidsky, una mostra personale espressione di progettualità inedite, nuovi cicli di opere dove elementi eterogenei si alternano in una poetica del disegno, della materia fisica e virtuale.
Solidsky (letteralmente Solid solido, Sky cielo) si offre come suggestione poetica lasciando aperta a un’interpretazione multipla l’insieme di immagini di cui attiva la memoria. Di cielo solido si parla nell’Antico Testamento, una cupola ruotante poggiante su pilastri che accoglie sole, luna e stelle. Per le nuove generazioni Solidsky è sperimentazione elettronica musicale, per Loris Cecchini è anche la marca di uno dei materiali con cui lavora. Il significa di Solidsky non va cercato tanto nelle strette griglie della stratificazione semantica, quanto piuttosto, nell’interpretazione di molteplici forme di visualizzazione, dove la costruzione di diversi livelli di realtà genera morfologie fluttuanti, sospese nella dimensione solida ed evanescente del linguaggio artistico di Cecchini.
Solidsky mette in scena un mondo in bilico tra la narrazione biografica e l’artificio. Le opere che Cecchini presenta in questa mostra indagano la materia, quella fisica e quella metafisica; parlano della natura dei materiali, della natura in senso poetico quanto organico, biologico e molecolare. Come spiega l’artista in queste opere “frammenti di natura si alternano all’elaborazione della materia progettuale, in un continuo riferimento alla natura, alle strutture architettoniche in una sorta di osmosi espressiva, in cui le materie e i materiali si astraggono per rendersi pura presenza, pura materia sensibile, rapporto osmotico tecnologia-natura”.
I comportamenti delle onde, le vibrazioni e altri fenomeni fisici sono le suggestioni di base di alcuni inediti Gaps, calchi in resina che fuoriescono dalle pareti della galleria e che, come variazioni improvvise della superficie architettonica, creano cortocircuiti visivi. Il tema dell’abitare, dell’architettura come progettualità spaziale e formale, come contenitore, come luogo si incontra nel nuovo ciclo di Rainbows Trusses (Le capriate arcobaleno). Si presentano come strutture/sculture capaci di declinare in forme minimali di paesaggio natura e artificio aprendoci a riflessioni sul concetto di rappresentazione, di scultura, di livelli di realtà, di trasformazione della materia. Porzioni di archi, travi e capriate acquistano evanescenza nella trasparenza del plexiglass e policarbonato, schegge di architettura si smaterializzano nei giochi di luce che attraversano la materia. All’interno trovano posto elementi naturali -spugne, coralli, forme organiche e morfologiche, nuclei primitivi che rimandano tanto al mutamento quanto alla riformulazione di memorie private- così come cespugli, tronchi e rami di edera realizzati da fusioni in bronzo o ottone.
L’attitudine di Cecchini ad elaborare poeticamente la realtà spaziale e la materia si ritrova anche nel nuovo ciclo The Polychromesandsessions: campiture geometriche di colore incastonate in frammenti architettonici. In queste opere l’estetica minimale e rigorosa della struttura si incontra con l’elemento caldo, emotivo e familiare della sabbia che, mescolata a pigmento puro, si stende come affresco sul muro, in un susseguirsi di toni e stratificazioni. Attraverso un processo di riscoperta e astrazione l’artista si appropria del gesto irripetibile della pittura. L’uso della sabbia, inoltre, mette in campo una serie di altre immagini: la sabbia presente nella morfologia strutturale dei coralli, la sabbia come elemento base della costruzione in edilizia, ma anche il silicio nella produzione dei chip in elettronica ed ancora la sabbia che scandisce il tempo in una clessidra.
Costruzione e misura, configurazione e funzionamento, disegno e stratificazione sono i termini su cui si sviluppano The Arbitrary Rules, dedicati all’idea di misurazione continua e agli strumenti analogici del disegno: anche qui diagrammi di paesaggio ed elementi schematizzati graficamente, rielaborazioni di goniometri, righelli, squadre, si sovrappongono in composizioni astratte dove l’indagine si fa sospesa e fluttuante, in un continuum che rielabora forme e modalità di processo mentale, in una sorta di indagine che sta tra l’apparato scientifico e la libertà del processo creativo.
L’interesse di Loris Cecchini per la tecnica e l’indagine delle frontiere più estreme della tecnologia e dell’informatica sono alla base dell’installazione interattiva realizzata in collaborazione con l’ingegnere Stefano Coluccini e la Stack! Studios.
Presentata a Solidsky in anteprima assoluta, questa opera rappresenta il frutto di lunghe ricerche e sofisticate tecnologie applicate capaci di coniugare l’elemento naturale, l’acqua e i cicli lunari, al mondo virtuale e a quello dell’intelligenza artificiale. La presenza fisica del visitatore altera e modifica lo stato dell’opera determinando variazioni cromatiche e attivando un flusso continuo di materia che scorre inaspettatamente rapida e cristallina piuttosto che densa e lenta.
Loris Cecchini è nato a Milano nel 1969. Vive e lavora in Toscana. Fra gli artisti italiani affermati nell’ultimo decennio è uno dei più apprezzati a livello internazionale. Ha tenuto mostre personali in spazi museali come il Centro Gallego de Arte Contemporaneo di Santiago de Compostela (2000), la Fondazione Bandera di Busto Arsizio (2000), il Kunstverein di Heidelberg (2001), la Fondazione Teseco di Pisa (2002), il Museo Casal Solleric di Palma di Maiorca (2004), Quarter di Firenze (2004), il Palais de Tokyo di Parigi (2004, 2006 e 2007), lo Shanghai Duolun MoMA (2006), il PS1 di New York (2006), Dotsandloops, Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, Prato (2009), Loris Cecchini, Musée d’Art Moderne de Saint-Etienne Métropole, Saint-Etienne (2010). Ha partecipato a rassegne prestigiose e numerose mostre collettive fra le quali la XIII Quadrienale di Roma (1999), Video Virtuale - Foto Fictionale al Ludwig Museum di Colonia (1999), Futurama. Arte in Italia 2000 al Centro Pecci di Prato (2000), la Biennale di Taiwan a Taipei (2000), la Biennale di Valencia (2001), la 49° Biennale di Venezia (2001), Arte all’Arte a Colle Val d'Elsa (2001), Leggerezza al Museo Lenbachhaus Kunstbau di Monaco (2001), Ouverture al Palais de Tokyo di Parigi (2002), De Gustibus al Palazzo delle Papesse di Siena (2002), Orizzonti al Forte Belvedere di Firenze (2003), Le opere e i giorni alla Certosa di Padula (2004), Object versus design al Musée d’art moderne St.Etienne Metropole (2004), Spazi atti al PAC di Milano (2004), Premio per la giovane arte italiana 2004-2005 - Padiglione Venezia alla Biennale di Venezia (2005), la XII Biennale Internazionale di Scultura di Carrara (2006), la VI Biennale di Shanghai (2006), Artempo a Palazzo Fortuny di Venezia (2007), The Freak Show al Musée d'Art Contemporain di Lione (2007), la XV Quadriennale di Roma (2008). Nel 2010 segnaliamo Forward>>Looking, MACRO FUTURE, Roma, Antroposfera, nuove forme della vita, Palazzo Re Enzo, Bologna, In Context, Goodman Gallery Project Space, Arts on Main, Johannesburg, Living Rooms, Château de Chamarande, Centre d'Art Contemporain, Chamarande.
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Kader Attia
Holy Land
Galleria Continua è lieta di ospitare nei suoi spazi espositivi Holy Land, la prima mostra personale dell’artista franco-algerino Kader Attia a San Gimignano.
Internazionalmente considerato come uno dei giovani artisti più significativi del panorama contemporaneo, Kader Attia ha già esposto in importanti istituzioni in Spagna, Germania, Israele, Svezia, America, Inghilterra e, in Francia al Palais de Tokyo e al Musée d'art contemporain de Lyon.
Attia si interessa da sempre alle dinamiche che regolano i rapporti tra est e ovest del mondo, ai conflitti di identità che nascono da una società multietnica e globlalizzata. Partendo dalla pluralità della sua formazione culturale, Kader Attia affronta il complesso rapporto tra Europa e immigrazione analizzando una serie di problematiche storiche e contemporanee: a partire dalla politica coloniale francese, fino al confronto tra la cultura nord africana -sradicata dal suo contesto d’origine- e la seducente cultura del consumo professata dall’occidente. Perfettamente incastonato in questa dualità, il suo lavoro riflette il disagio e il fallimento della mancata integrazione.
Kader Attia rivendica la differenza come valore. Utilizzando media diversi -dalla fotografia, al video, alla installazione spesso resa con un linguaggio simbolico ed un’estetica minimale- l’artista indaga sul concetto di diversità, sia questa culturale o religiosa, sessuale o socio-politica. Le sue opere esplorano le tensioni, i traumi, le paure insite nella nostra società.
In questa personale Kader Attia presenta un’installazione nel giardino di Galleria Continua- Holy Land che dà anche il titolo alla mostra- ed un’opera inedita Open your Eyes, doppia proiezione di diapositive installate nello spazio Torre della galleria.
Realizzata nel 2006, Holy Land viene esposta per la prima volta nell’ambito della Biennale delle Canarie: l’artista colloca 45 specchi lungo un tratto di spiaggia dell’isola di Fureteventura. Le sagome degli specchi, che ricordano certe finestre gotiche e le architetture musulmane o bizantine, si insediano nel paesaggio creando una dissonanza di forma e significato. Questi elementi artificiali nel contesto naturale della spiaggia alludono inoltre alla vanità umana e al suo desiderio di dominio sulla natura.
Gli specchi che fronteggiano creano un effetto che Attia definisce così: “da lontano gli specchi risplendono ma più ti avvicini meno diventano allettanti perché riflettono la realtà”. Se da un lato il riferimento alla piaga dell’immigrazione clandestina è decisamente evidente –non dimentichiamo che le coste spagnole costituiscono uno dei primi attracchi possibili per i clandestini che cercano il loro El Dorado in Europa- dall’altro la riflessione di Kader Attia trascende il contesto storico geografico e sociale per spostarsi sul piano della coscienza individuale: lo specchio costringe ad un confronto col proprio ego, “Restare per 5 minuti davanti a uno specchio guardando alla propria coscienza senza mentire, è impossibile” sostiene l’artista. Migrare fa parte dell’inconscio collettivo, è un retaggio storico, è l’istinto di sopravvivenza che si confronta con la natura. Il problema nasce quando l’immigrazione si trasforma in fenomeno culturale: il candidato all’esilio, supportato anche da una serie di falsi messaggi dei media, sogna un mondo che esiste solo nel suo immaginario ed inevitabilmente si scontra con una realtà decisamente meno edulcorata.
Kader Attia installa Holy Land nel giardino di Galleria Continua: 21 specchi che si affacciano sulla campagna toscana trasformando questo spazio in un luogo che si interroga sulla memoria e sulla Storia e commenta “quest’opera rappresenta una riflessione da un punto di vista politico, filosofico e psicoanalitico sul reale desiderio di immigrare.” Gli specchi di Attia, che nella forma ricordano in ultimo anche le lapidi dei cimiteri, riflettono l’immagine di un mondo globalizzato che ha perso la sua identità culturale e in cui l’identità del singolo si sottomette alle leggi del consumo e della omologazione.
Open your Eyes (2010) si pone a metà tra il racconto di un’esperienza personale e la Storia. L’installazione si compone di una serie di immagini d’archivio proiettate l’una di seguito all’altra e realizzate dall’artista durante il soggiorno in Congo e, successivamente, nelle sale di alcuni musei in America e Belgio. Open your Eyes traduce sul piano artistico un’urgenza che Kader Attia ritiene primaria, la necessità di riappropriazione culturale. Quello che l’artista opera è un confronto tra due diversi modi di concepire l’estetica e l’etica: quello del mondo Occidentale costruito sul mito della perfezione e della simmetria e quello dei mondi non occidentali, come l’Africa ma anche l’India e l’America Latina, che si rifanno invece all’idea di funzionalità e non-simmetria. “Ho creato questa esposizione di diapositive con l’intento di separare, riparare, riappropriare … l’obbiettivo è rivelare che nel gap culturale tra Nord e Sud del mondo esiste la possibilità/impossibilità di un dialogo tra Modernità e tradizione. Lontano dal mito della perfezione, l’arte forse è la sola cosa capace di dare un senso al non-senso della relazione. …Un infinto processo di riappropriazione che potrebbe essere un loop”.
Kader Attia nasce nel 1970 nei sobborghi parigini di Seine-Saint-Denis da famiglia algerina. Attualmente vive e lavora a Berlino. Attia trascorre l’infanzia tra la Francia e l’Algeria, formandosi tra il melting pot culturale del quartiere in cui vive a Parigi, il Maghreb islamico e il mondo degli ebrei Sefarditi algerini. La visione multiculturale del lavoro di Kader Attia affonda le radici nel trascorso personale dell’artista: i conflitti inter-culturali vissuti fin da bambino così come gli anni trascorsi in Congo, in Venezuela e Algeria sono elementi che affiorano costantemente nella sua ricerca. Kader Attia realizza la sua prima mostra personale nella Repubblica del Congo nel 1996, da quel momento l’ascesa verso l’establishment artistico internazionale non conosce arresti. In Italia espone per la prima volta nel 2003 nell’ambito della 50° Biennale di Venezia curata da Francesco Bonami. Nel 2005, invitato a prendere parte alla 8° Biennale di Lione, espone uno dei suoi lavori più celebri Flying Rats, una gabbia contenente 150 piccioni che divorano sagome di bambino fatte con mangime per uccelli. Nel 2007 realizza la sua prima personale negli Stati Uniti, Momentum presso The Institute of Contemporay Art (ICA) di Boston. Tra i progetti più recenti le personali Square Dreams al BALTIC Centre for Contemporary Art di Newcastle (2007) e Black & white: signs of times al Centro de Arte Contemporaneo di Quarte in Spagna (2008), dello stesso anno la residenza al IASPIS di Stoccolma in Svezia. Nel 2009 prende parte alla Triennale di Parigi (La Force de l’Art) e alla Biennale dell’Havana, cura inoltre la mostra Periferiks al Centre d’Art de Neuchâtel in Svizzera. Premiato alla Biennale del Cairo nel 2008, vince nel 2010 l’Abraaj Capital Prize e il Smithsonian Artist Research Fellowship Program. Tra gli eventi del 2010 segnaliamo inoltre la sua partecipazione alla Biennale di Sydney, alla Biennale di Busan in Corea e alle mostre al Centre Georges Pompidou di Parigi, all’Arab Museum of Modern Art di Doha in Qatar, alla Haus der Kunst di Monaco in Germania.
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Hans Op de Beeck
Still Lifes
La nuova mostra personale dell'artista multidisciplinare belga Hans Op de Beeck si compone di una serie di nuove sculture e di un’opera video.
Still Lifes è un nuovo ciclo di opere costituito da sculture in forma di tavolo sulla cui superficie sono appoggiati oggetti diversi riuniti in modo associativo. Sculture a grandezza naturale che riproducono oggetti di uso quotidiano come un frutto, una bottiglia, un libro, una tazza di caffé, un pacchetto di sigarette o ancora un tris di dadi, sono combinati con oggetti in scala ridotta, mobili o modellini di forme architettoniche fittizie. Il piano del tavolo è usato come un piccolo palcoscenico, una piattaforma sulla quale l’artista dà vita a mondi minuti, silenziosi e intimi. Queste sculture in forma di tavolo, tutte realizzate con lo stesso gesso sintetico grigio monocromo, fanno riferimento alla nostra vita quotidiana così come all’eredità della tradizione pittorica. L’insieme degli oggetti riprodotti nelle diverse scale riportano alla memoria la Wunderkammer (“camera delle meraviglie”) rinascimentale, il silenzio delle nature morte di Giorgio Morandi ma anche le composizioni per associazione di René Magritte che mettono in discussione lo status del reale. Inoltre, l’utilizzo del gesso grigio ricorda gli oggetti rinvenuti negli scavi archeologici di Pompei.
Il video Staging Silence (2009) si basa su archetipi astratti che indugiano nella memoria di Hans Op de Beeck come comune denominatore dei tanti luoghi pubblici simili che l’artista ha sperimentato. Le immagini video sono ridicole e serie al tempo stesso, proprio come l'eclettico insieme di immagini che anima la nostra mente. La decisione di realizzare il film in bianco e nero esalta questa ambiguità: la natura spontanea del video richiama alla mente l’eredità della commedia grottesca ma anche la suspense insidiosa e il deragliamento latente del genere noir.
Il titolo si riferisce alla messa in scena di questi decori sonnolenti dove lo spettatore, in assenza di persone, può proiettare se stesso come protagonista solitario. Le immagini della memoria appaiono come miscele sproporzionate di informazioni reali e di fantasia che in questo film si materializzano agli occhi dello spettatore attraverso ritocchi anonimi e mani improvvisate. Delle braccia appaiono e scompaiono in maniera casuale manipolando oggetti banali, rappresentazioni in scala e luci artificiali in località alienanti tuttavia ancora riconoscibili. Questi luoghi non sono altro che decori animati per possibili storie, suggestioni di visioni evocative per lo spettatore.
Hans Op de Beeck nasce a Turnhout nel 1969. Vive e lavora a Brusseles.
L’artista costruisce e mette in scena luoghi urbani e famigliari, contemporanei e fittizi, situazioni e personaggi che risultano estremamente familiari allo spettatore: angoli isolati dedicati alla riflessione o spazi affollati, talvolta popolati da goffi personaggi che in parte ci mostrano come viviamo oggi, i percorsi che seguiamo e il modo in cui cerchiamo, con grande inettitudine, di gestire il tempo, lo spazio e gli altri.
Incomunicabilità, attesa, perdita sono i temi che ricorrono nelle opere dell’artista belga. Una vena melanconica sembra accompagnarlo così come un gusto romantico che si codifica nella ripresa di alcuni stereotipi di rappresentazione del romanticismo che Op de Beeck reintroduce come valori attuali.
Numerose le mostre personali e collettive di livello internazionale a cui Op de Beeck ha preso parte in questi anni. Aichi Triennale 2010 (Aichi), Galleria Continua / Le Moulin (Boissy-le-Châtel), Palais de Tokyo (Parigi), MARTa Herford (Herford), Hangar Bicocca (Milano), Centre Pompidou (Parigi), Reina Sofia (Madrid), Scottsdale Museo d'Arte Contemporanea (Arizona), Towada Art Center (Towada), ZKM (Karlsruhe), MACRO (Roma), 6° Biennale di Shanghai (Shanghai), Kunstverein Hannover (Hannover), Whitechapel Art Gallery (Londra) e PS1 (New York) sono solo alcuni degli spazi prestigiosi in cui l’artista è stato invitato ad esporre.
Tra le mostre personali: Le Grand Café - Centre d'Art Contemporain (2010); nel 2009 Location (6), Art Unlimited, In Silent Conversation with Correggio, Galleria Borghese e Staging Silence, Galleria Continua / Beijing; nel 2008 Biennale di Singapore, Repubblica di Singapore; nel 2007 Location (6), Westergasfabriek (Holland Festival), Amsterdam, Olanda, Circumstances, Rogaland Museum of Fine Arts, Stavanger, Norvegia. Sempre per le personali citiamo, infine, Extensions, Treasury of Saint Peter, Leuven, Belgio e Centraal Utrecth Museum, Utrecht, Olanda (2007); Video in tutti i sensi - My Brother’s Gardens, Fondazione Bevilacqua La Masa, Venezia (2006); T-Mart, MuHKA, Museum of Contemporary Art, Anversa, Belgio (2005).
Per ulteriori informazioni sulla mostra e materiale fotografico:
Silvia Pichini responsabile comunicazione
press@galleriacontinua.com
mob 347 45 36 136
Immagine: Loris Cecchini
Inaugurazione domenica 6 giugno 2010, 11-18
Galleria Continua
Via del Castello 11, San Gimignano (SI), Italia
orario: da martedì a sabato, 14-19
ingresso libero