Le cattedrali, mostra personale di pittura dislocata in due sedi: la Conestabo Artgallery e la galleria Vetrina. In mostra sei grandi tele, affiancate da piccole icone a tecnica mista, che rappresentano il mondo cattolico, ortodosso, ebraico e islamico.
Base per il progetto preannunciato, potrebbe avere la sua premessa nel passo del vangelo di Tommaso "Il Regno di Dio non è negli edifici di pietra e cemento" poiché Gesù pensava "al Tempio del proprio corpo", non ad una struttura di cemento, colma di ricchezza.Si tratta di un pretesto per un ragionamento più ampio che tocca ricchezza/privazione guerra/mercato, una riflessione anche su di se, essere sociale. Pretesto che viene offerto dalla mostra Le “Cattedrali” di Boris Fernetich presso la CONESTABO ARTGALLERY in via della Fonderia 5. L’idea è quella non di una conferenza vera e propria ma di un’azione all’Agit Prop. Un sistema quest’ultimo d’informazione rapida ed efficace, poiché, dopo l’azione gli spettatori, proseguivano inconsapevoli lo “spettacolo”, continuando a riflettere sul tema comunicato. Un tema generalmente a carattere sociale, accadeva all’epoca della Repubblica di Weimar.L’intervento vorrebbe anche essere un test per un modo nuovo di comunicare meno rapido di uno spot più efficace, anzi un antidoto.
Una cattedrale è una chiesa cristiana, spesso di notevoli dimensioni, sede del vescovo diocesano. Anche se il termine è spesso usato per indicare una chiesa imponente, una cattedrale, o più correttamente una "chiesa cattedrale" (ecclesia cathedralis in latino), è la chiesa che ospita il "seggio" di un vescovo. Da tale seggio, chiamato cathedra, deriva l'aggettivo "cattedrale", che ha con il tempo assunto la valenza di un nome. Un altro nome con cui si indica la cattedrale è ecclesia mater, per indicare che è la "chiesa madre" di una diocesi. Data la sua importanza è anche detta ecclesia major. Sempre a causa del suo ruolo di principale "casa di Dio" in una regione, la cattedrale era chiamata anche Domus Dei, da cui deriva il termine italiano duomo (ed il corrispondente Dom in tedesco). Una sfida importante quindi quella delle “Cattedrali” di Boris Fernetich .
Ma qual è il ruolo e il conseguente significato che Boris Fernetich attribuisce alle sue “Cattedrali”. Boris Fernetich è uomo attento e sensibile ai mutamenti sociali, egli ha avuto la fortuna di vivere in prima persona una delle più importanti rivoluzioni di civiltà, qual’è stata la riforma manicomiale voluta e diretta da Franco Basaglia. Boris tutt’ora è parte attiva in azioni verso chi ha più bisogno e vive ai margini, non funzionali quindi al bello giovane e vincente, simbolo di successo in questa società. Sei tele, grandi "cattedrali" nella loro imponente espressione esteriore. Accostate ad esse delle piccole icone che ci rimandano all’interiorità oggi prevalente e diffusa. Il dentro ed il fuori un rimando che ci invita a ripensare a noi stessi. Una ferma denuncia, dell’ipocrisia, dell’avidità, trasversale credo imperante.
E’ il momento del dio Mammone trionfante, quello che stiamo vivendo, con tutti i suoi nessi e connessi. Così come le cattedrali gotiche sono dei veri e propri libri di pietra, per tramandare conoscenze che solo poche persone iniziate a simboli ed a codici particolari, avrebbero potuto comprendere, così Boris ci propone questa sfida progettuale: la sua narrazione di una società alla fine, non una delle tante e inascoltate denuncie, ma cronaca di un’epoca da tramandare. Così come, edificare le cattedrali non significava soltanto glorificare la grandezza di Dio, ma anche servirlo con il proprio lavoro per gratificare l'anima che un giorno si troverà al suo cospetto, Boris, ci offre attraverso il suo consolidato uso di colori cangianti e fortemente espressivi, l’opportunità di una riflessione. Sta a noi quindi scoprire a quale dio si pensa.
Ogni “Cattedrale” …… ne ricorda una diversa manifestazione. Sei tele a tecnica mista di grande valenza socio politica nonché di notevole interesse stilistico esse rappresentano il mondo cattolico, quello ortodosso, quello della riforma, l’ebraico e l’islamico mondi che a Trieste hanno convissuto in prosperità, tranne la nera parentesi del ventennio e dell’infame guerra in particolare. Le grandi rappresentazioni delle “cattedrali”, sono solari così com’è giusto che siano e preferiamo pensarle, nella loro imponenza celebratrice. Coloratissime, quelle di Boris, dei colori della cartellonistica, nell’esposizione, esse sono affiancate da altrettante rappresentazioni più piccole, ma fondamentali per il significato che portano. Infatti, le “cattedrali”, vengono rappresentate aperte squarciate, mettono in evidenzia al loro interno le storie atroci e dure.
Le stesse storie alle quali ci ha abituati quotidianamente il potere mediatico. Storie di guerre che quotidianamente ci vengono proposte talvolta addirittura esaltate. Le “Cattedrali” ora ci sono qui proposte "smascherate", rappresentate nella loro attuale contemporaneità. Boris, infatti che è uomo consapevole del proprio tempo, non si lascia trasportare dalla celebrazione estetica dei monumenti. Le chiama “a rapporto” per la loro imponenza, per il carico di storia e di sentimento, per ciò che esse rappresentano, un invito forte alla riflessione verso le diverse comunità che avviene tramite la rappresentazione delle”chiese madri”. Un invito all’attenzione per una cronaca quotidiana fatta di orrori e ingiustizia, affinché non ci si abitui e si reagisca contro ogni sorta di menzogna e soppruso. Usando un linguaggio iconografico, forte, efficace, esplicito, ci narra la tragedia massima: LA GUERRA, di fatto negazione della vita e della bellezza (con buona pace dei futuristi). Le chiese madri (cattedrali come si sarà ben compreso in senso lato) sorelle nel monoteismo, rappresentano esse stesse l’invito ecumenico rivolto alle diverse comunità ad associarsi, nell’unico e fondamentale grido comune condivisibile: PACE.
Sei tele, coloratissime che richiamano ad una pop art ricca rivisitata attuale ma europea. Coloratissime con strisce d’acetato, plastiche colorate trasparenti, dripping* ed oro, opere da osservare con attenzione poiché nulla appare per caso e la visone d’insieme è solo un aspetto marginale dell’opera. L’oro, nella rappresentazione sacra ha da sempre significato spiritualità. Pensiamo all’ultraterreno delle icone bizantine dove l’immagine è codice, l’oro sottolinea l’extraterritorialità della rappresentazione rispetto al mondo naturale all'umano. Nell’istallazione, in via Udine, l’oro delle "Cattedrali della Comunicazione", ricorda al contrario, quella storia parallela e meno nobile delle razzie. L’oro delle guerre sante, (ma quando mai possono dirsi sante le guerre) l’oro delle conquiste dei nuovi continenti che veniva razziato e fuso. Così come ora attraverso una comunicazione malandrina i frutti del lavoro, le risorse primarie, vengono sottratte con diversa rapidità e senza apparente spargimento di sangue, attraverso il clik del computer, un lampo e grandi e piccoli patrimoni spariscono.
Così, i grandi comunicatori, bestie nere del depistaggio, vivono consapevolmente la nostra quotidianità ci inseguono e ci ascoltano. Novelli confessori acquisiscono la conoscenza e ci giocano, come predicatori del nuovo medioevo e laddove non giungono direttamente, innescano bombardamenti mediatici, overbooking di comunicazioni senza possibilità di verifica e di riflessione. Comunicazioni che non equivalgono a conoscenza, non lasciano tracce profonde, evidenti ma solo confusione una confusione determinata da ritmo e quantità e tutto, tutto appare sempre diverso, in ragione di … del mercato. Ma un uomo laico e attento al sociale come Boris Fernetich, non può venir meno a quello che per molti è il simbolo della crescita della coscienza critica e del riscatto sociale la “Cattedrale” laica per eccellenza: la fabbrica. Mito in disuso anch’esso.
La fabbrica, quella zampillante di fiamme e nera di fumi, quella alla quale ci si reca onestamente, di buon mattino, per onorare il pane per se e per la propria famiglia, quella dei sacrifici e delle morti bianche, che qui alla CONESTABO ARTGALLERY viene riproposta con grande carattere espressivo. Cimelio di un passato glorioso, come si diceva allora: frequentato da persone col desiderio di pane e lavoro, pace e giustizia.
Inaugurazione: venerdì 4 giugno alle 19.30
Conestabo Artgallery
via della Fonderia 5, (primo piano), Trieste
Vetrina
via Udine 2/1, Trieste
mar-ven 17-19.30 o su appuntamento
Ingresso libero