Uno spaccato sulla giovane arte contemporanea a Torino. In mostra le opere di Guglielmo Castelli, Costanza Costamagna, Yael Plat, Massimo Spada. A cura di Maria Cristina Strati.
a cura di Maria Cristina Strati
Codice sorgente è un termine usato in informatica per definire, in parole povere, il dna di un sito web. Nel nostro contesto il termine è inteso invece nel doppio senso del linguaggio, o codice che origina il discorso e la ricerca artistica, così come la sorgente da cui scaturisce l’opera e che dona vita al progetto di ogni singolo autore. Il senso del sorgere ha anche a che fare con la giovane età degli artisti coinvolti, tutti all’inizio della loro carriera e quindi colti nel momento produttivo dell’originarsi di un linguaggio e di un percorso artistico, che ha già però una sua precisa e peculiare identità.
Così come il codice sorgente definisce ante litteram il successivo sviluppo di un sito web, gli artisti presenti in questa mostra sperimentano liberamente linguaggi vecchi e nuovi, muovendosi agilmente in diversi contesti e dando forma a progetti autonomi e originali. Codice Sorgente è infatti un progetto espositivo che coinvolge alcuni tra i migliori giovani artisti che vivono e lavorano a Torino, tutti studenti o ex studenti in questa città.
Nell’odierno contesto artistico si assiste inoltre ad una sorta di polemica che oppone gli epigoni dell’arte povera a forme d’arte “ricche” come la pittura o il disegno. Questa mostra vuole mostrare la fragilità di tale questione, mettendo a confronto i diversi generi e linguaggi espressivi per come essi sono interpretati da artisti appartenenti alla nuovissima generazione. Si osserva infatti che, in molti casi, un artista ricorre a modalità linguistiche e a codici espressivi diversi all’interno del suo stesso percorso, che si identifica sempre in modo chiaro per indole, obiettivi ed intenti.
L’idea è dunque fornire uno spaccato sulla giovane arte contemporanea a Torino: a prescindere dai pregiudizi stilistici, per lavorare sulla varietà dei possibili generi artistici considerandoli tutti linguaggi di pari interesse e dignità. L’attenzione è posta infatti sul linguaggio espressivo e sul diverso uso che ciascun artista ne fa. L’obiettivo è valorizzare il dialogo tra le diverse forme artistiche, identificando una visione dell’arte e del suo linguaggio al di là di ogni mera distinzione “politica” di generi.
In altre parole, vogliamo sostenere che in arte molto spesso, come voleva Wittgenstein, davvero il significato è l’uso. Per molti artisti della nuova generazione i materiali poveri, utilizzati in forma di installazione, oppure tradizionalmente “ricchi”, come la pittura o il disegno, rispondono in egual modo alle svariate esigenze stilistiche, rivelandosi di volta in volta utili alla realizzazione del singolo progetto. Si individua così un percorso critico e artistico originale dal punto di vista concettuale, come da quello estetico.
Infine, per quanto concerne il contenuto, gli artisti presenti in mostra rivelano inoltre alcuni temi in comune. Argomenti come l’infanzia, il gioco, il sacro, l’identità personale in se stessa e nel suo rapporto con il contesto sociale, si articolano di volta in volta in modi e tempi diversi, giungendo a conclusioni tra loro armoniche, ma sempre uniche e personalissime.
Guglielmo Castelli spazia con grande agilità e coerenza dall’installazione costruita con materiali poveri a lavori realizzati con abilissimo disegno. L’artista infatti propone una serie di tele di diverse dimensioni, dove il disegno svolge appunto un ruolo primario, e un’installazione realizzata con vecchi abiti appesi al soffitto. Ogni lavoro è denso di un’intensa, ma delicatissima carica lirica ed evocativa, che trascina lo spettatore nel mondo dell’artista come in un incanto.
La poetica di Castelli si sviluppa intorno all’universo dell’infanzia inteso come vissuto interiore, con toni fiabeschi e dolcissimi, sebbene spesso volutamente ombrati da una sorta di retrogusto sottilmente impuro o torbido. Qui la ricerca, complessa dal punto di vista estetico e concettuale, si snoda in un mondo poetico articolato, dove i sentimenti vissuti nell’età della pubertà e dell’infanzia sono riportati alla memoria per come essi rimangono, densi di conseguenze, nella psiche adulta. Tra nostalgia, malinconia e allegro sarcasmo, l’artista lascia così emergere il lato proibito del vissuto infantile, con risultati intensamente poetici.
Costanza Costamagna presenta invece alcune tele a parete. Qui il tratto è finissimo e delicato, di grande effetto estetico e testimone di grande maestria tecnica. Allo stesso modo, l’uso di forme classiche tanto per le forme delle tele (i tondi), quanto per le pose dei soggetti, è sintomo di una ricerca particolare che affonda le sue radici nella storia dell’arte antica.
Ciò nondimeno i soggetti, o meglio i movimenti in cui il soggetto dei lavori (l’artista stessa) è ripreso, non sono lineari ma spesso contorti, come mossi internamente da vissuti non facili da esprimere a parole. In apparente contrasto con l’aspetto elegante e raffinato della tecnica, è come se il soggetto dell’opera fosse agitato nelle profondità della propria anima da più o meno sottili tormenti o languori esistenziali. Ma ciò che più colpisce è come, nella percezione poetica dei lavori, ogni quadro tenda quasi a farsi scultura: non solo per il modo in cui l’opera letteralmente “respira” nello spazio o lo abita, ma anche per la sua essenza a livello di contenuto e di ricerca, come per il modo in cui questo formalmente e tecnicamente si esprime.
Il lavoro di Yael Plat (artista israeliana che vive e lavora a Torino) si concentra invece su temi di carattere sociale, volti soprattutto a sottolineare l’assurdità della guerra e della violenza. Piombo fuso è un’installazione inedita in cui un giocattolo infantile, tipico della ricorrenza religiosa ebraica dell’Hanukkah, è letto come metafora di morte e devastazione.
Gli altri lavori in mostra hanno per soggetto la casa, che qui assume una duplice valenza simbolica. Se da un lato essa rappresenta l’abitazione in senso fisico, perduta dalle vittime nel corso della guerra, d’altro canto il simbolo della casa è anche da intendersi in senso più intimamente esistenziale. La casa è luogo di riparo e di conforto, che nella nostra epoca e in certi luoghi del mondo, è però spesso negato o sottoposto a violenza. I lavori testimoniano così un dolore profondo e un senso di cocente ribellione, che penetrano alle radici delle nostre certezze quotidiane e le mettono in forse. E insieme indicano il nostro far parte di un contesto sociale ampio e in continua evoluzione, oltre ogni mero individualismo.
Infine Massimo Spada presenta progetti interessanti e complessi, che spaziano con intelligenza attraverso diversi generi espressivi. Qui la parola stessa, titolo del lavoro, svolge spesso un ruolo decisivo, caricando di suggestioni e donando una particolare intonazione all’intero lavoro. Ad esempio il progetto principale presente in mostra, Le nostre preghiere non oltrepassano questo soffitto, si articola in un video e due grandi tele dipinte. Il video mostra un vortice nero - simbolo del petrolio che nella nostra epoca si fa strumento di morte e di guerra - accompagnato nel suo ipnotico movimento circolare da incomprensibili lamenti simili ad antiche litanie. I quadri disegnano la preghiera stessa, come una fumata bianca o nera che va verso il cielo per bucare – ironicamente, ma anche in modo intensamente tragico - il soffitto.
I lavori aprono così uno squarcio su un mondo drammatico, sempre pericolosamente in equilibrio tra bene e male, sacro e profano. Qui prende vita un sentimento che sta sul crinale scosceso tra l’esperienza religiosa, il vissuto esistenziale, e il mondo arcano e oscuro della superstizione e del mistero.
Inaugurazione Giovedì 10 giugno 2010, dalle 19 alle 23
Fusion Art Gallery
piazza Peyron 9 g Torino
orario: martedi, giovedi e venerdi 16.30-19.30 o su appuntamento
ingresso libero