La mia arte io la chiamo mestiere. Maestro dell'incisione di levatura europea, Remo Wolf ha sempre voluto rappresentare l'universo umano e la natura che lo circonda, nell'intento di creare quella che lui definiva "una visione completa": figura, natura morta, paesaggio e la spiritualita' hanno per l'artista un ruolo di primaria importanza.
Mostra a cura di D. Primerano e R. Turrina
A poco più di un anno dalla morte, il Museo Diocesano Tridentino, in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Trento, dedica a Remo Wolf (1912 - 2009) una grande mostra intesa a ricostruire quel percorso umano e artistico che lo ha visto tra i maggiori protagonisti dell’arte incisoria del secolo scorso.
Per tutta la sua lunga esistenza l’arte è stata per Wolf una scelta di vita ma, soprattutto, il suo principale "mestiere", esercitato da grande maestro, sperimentando le diverse tecniche artistiche, dalla pittura, al disegno, all’incisione, alla costante ricerca di innovative strategie espressive e di inediti intrecci tematici.
Indiscusso maestro dell’incisione di levatura europea, Remo Wolf ha sempre voluto rappresentare l’universo umano e la natura che lo circonda, nell’intento di creare quella che lui definiva "una visione completa": figura, natura morta e paesaggio hanno per l’artista un ruolo di primaria importanza. Nelle sue composizioni, che si sviluppano spesso attraverso cicli tematici, sogno e realtà, mistero e magia, si incontrano comunicando un’insolita energia compositiva, tanto che ogni immagine diviene una sorta di rappresentazione scenica dove gli attori raccontano di sé, ma anche di quella parte di mondo che li avvolge. Il segno è deciso e forte, non ha esitazioni; tracccia linee nette sulla tela o sulla tavola, scava il legno con un gesto sicuro, con zone di luce e d’ombra, contrasti di vuoti e pieni. Sono immagini dinamiche, dove spesso la sovrapposizione di più elementi porta a cercare anche nel più piccolo dettaglio una possibile chiave di lettura, un messaggio da interpretare. Perché tutto, nelle opere di Remo Wolf, ha una precisa collocazione e una ben definita ragione d’essere.
La mostra intende ricostruire la carriera artistica di Wolf, focalizzando l’interesse soprattutto sugli anni fondamentali della sua formazione, drammaticamente interrotta dagli eventi bellici e dalla prigionia. Del suo "mestiere" l’esposizione darà conto puntando su opere, pittoriche e incisorie, poco studiate, raramente esposte, se non inedite.
C’è un filo che accomuna la sua vasta produzione: la continua sperimentazione che lo porta a misurarsi con le diverse tecniche artistiche ma soprattutto con l’incisione (xilografia, acquaforte, acquatinta, zuccheri). Le tematiche che attraversano trasversalmente la mostra riguardano gli aspetti del quotidiano, analizzati attraverso la figura, la natura morta, il paesaggio e interpretati anche in chiave simbolica e fantastica, non disgiunta da una velata dimensione ironica, in un continuo scambio tra realtà e sogno; la presenza del sacro inteso come capacità di cogliere, attraverso le letture dei testi biblici, il rapporto tra uomo e spiritualità.
L’esposizione è il risultato di un’approfondita ricerca che ha inteso inquadrare l’attività di Remo Wolf in un più ampio contesto territoriale, storico e artistico. L’indagine ha voluto fornire apparati conoscitivi il più possibile esaustivi e corretti e produrre un’ampia documentazione che costituisca per il futuro un punto di riferimento per quanti vorranno conoscere questo importante artista trentino.
Biografia
Il 1912 è un anno bisestile. E proprio il 29 febbraio nasce Remo Wolf. Dopo aver frequentato la Scuola Tecnico Industriale di Trento nella sezione del legno, nel 1929 il giovane si diploma Maestro d’Arte a Parma. Nello stesso anno si trasferisce a Firenze dove frequenta l’Istituto d’Arte. Qui visita una mostra di incisioni di Bruno da Osimo che risveglia il suo interesse per la xilografia. Nella città toscana entra in contatto con l’ambiente intellettuale che ruota attorno alla rivista cattolica "Il Frontespizio", dove pubblica alcune incisioni e brevi interventi critici sull’arte.
Rientrato a Trento, ottiene l’abilitazione all’insegnamento e intraprende la carriera di docente, che svolgerà fino al 1976. Negli anni Trenta arrivano i primi riconoscimenti alla sua attività artistica: è ripetutamente invitato alle Mostre sindacali d’arte della Venezia Tridentina; realizza una serie di copertine per il "Trentino", rivista culturale che riunisce le firme più significative della produzione intellettuale trentina e nazionale; ottiene la sua prima mostra personale. In questi anni conosce Luigi Servolini, promotore della rinascita della xilografia in Italia e fondatore del Museo della Xilografia di Carpi, per il quale Wolf realizza il logo.
Richiamato alle armi nel 1939, viene inviato prima sul fronte francese e poi in Africa settentrionale. Pur costretto a rallentare la propria attività, l’artista cerca comunque di non abbandonare la sua arte. Nel 1942 partecipa alla XXIII Biennale di Venezia con disegni, inviati dalla moglie Cesara Proclemer, in cui racconta la guerra in Africa.Il 4 novembre 1942, nella battaglia di El Alamein, cade prigioniero degli inglesi, un’esperienza che inevitabilmente segneràtutta la sua produzione artistica.
Nel 1946 rientra a Trento. Tre anni dopo, forse per evadere da una città che sente "asfissiante", si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Venezia dove frequenta il corso di pittura di Guido Cadorin. Allievo di Giovanni Giuliani e di Virgilio Tramontin, titolari della cattedra di tecniche dell’incisione, entra in contatto anche con Tranquillo Marangoni, Mario Dinon, Giorgio Trentin. Il gruppo fonda l’Associazione Incisori Veneti con l’obbiettivo di promuovere una tecnica artistica ancora poco apprezzata. Nello stesso periodo Wolf diviene direttore artistico del Centro culturale "Fratelli Bronzetti" di Trento, per il quale organizza 111 mostre.
Nel 1964 trasferisce lo studio dalla soffitta di via Grazioli a via Santa Margherita, dove lavora ininterrottamente fino al 2002. Nella sua lunga vita d’artista partecipa a numerosissime esposizioni e ottiene significativi riconoscimenti. Muore a Trento il 27 gennaio 2009.
Accanto all’uomo
La sezione ha come protagonista la figura femminile e maschile, soggetti che Wolf indaga fin dall’inizio. In queste immagini emerge la propensione dell’artista nel cogliere stati d’animo legati alla solitudine, alla malinconia. Sono immagini legate al vivere quotidiano e chiunque può condividerle: la donna che prepara la polenta, Rosa con il grembiule bianco accanto al vaso dove ha appena disposto alcuni fiori; la ragazza con le trecce nere e il candido colletto. Intorno agli anni Cinquanta compare anche una donna più sofisticata, della quale Wolf sottolinea la bellezza e la sensualità, specienei numerosi disegni dove la plasticità dei corpi è evidenziata utilizzando un’intensa gamma cromatica. Negli oli l’artista traduce il mistero della femminilità, scegliendo linee morbide e ambientazioni evocative.
Dell’uomo invece coglie aspetti più strettamente legati a un ruolo. Nei ritratti esprime una profondità interiore affidata a sguardi pensosi.
Il tempo che torna
Con Il tempo che torna protagonista è sempre l’uomo, ma inserito nel ritmo della natura. Ecco allora il Pastore ritratto con le sue pecore in un silenzioso paesaggio collinare; un’immagine che trasmette tranquillità e pace, la stessa che ritroviamo nelle Stagioni e nei Mesi dove il lavoro nei campi scandisce lo scorrere del tempo. Sono evidenti richiami alla raffigurazione del ciclo dell’anno, celeste e terreno, che decorava le cattedrali romaniche e gotiche. E’ nell’umile gesto dell’uomo intento nel proprio lavoro che si coglie quell’accento profondamente religioso che troviamo in tutte le opere di Wolf.
Dalla finestra
Immagini di case, semplici e squadrate, narrano la storia di sobborghi cittadini, di stradicciole solitarie, dove sembra non esserci posto per l’uomo; paesaggi percorsi solamente da intrecci di fili elettrici o animati da alberi solitari. Sono immagini con una solida impostazione spaziale, che gli abili accostamenti di bianchi e neri accentuano; su tutto domina un senso di immobile attesa. La stessa malinconia che Wolf coglieva nelle figure femminili, qui diviene parte integrante della natura e degli scorci di paese, entrambi indagati nella loro essenza interione, quasi avessero un’anima.
Angoli
Quelle che solitamente vengono definite "nature morte" sono invece Angoli pieni di vita: la vita di tutti i giorni, racchiusa in un fiore, in una brocca, in un metronomo, in una bambola, in un ferro da stiro. Sono oggetti che hanno vissuto accanto all’uomo e che, per questo, si fanno portavoce di un modo d’essere, di una realtà intimamente vissuta. Custodiscono segreti, conoscono le tacita complicità e la bellezza dell’intesa domestica; diventano testimoni di quei valori semplici, ma irrinunciabili, che attraverso la quotidianità alimentano e tramandano un mondo di affetti. In queste immagini l’artista coglie aspetti profondi dell’esistenza, mettendo in campo una insolita tensione narrativa.
Vento d’aquilone
Non manca nella produzione di Wolf l’elemento fantastico. Inizialmente sono i musicanti di strada e i cantastorie a catturare l’interesse dell’autore. Sono presenze affascinanti rappresentate nel loro atteggiamento di massima espressività, nello specifico gesto artistico. L’atmosfera sospesa di queste prime immagini si fa decisamente più articolata nella serie dedicata alle maschere, che ripropongono popolari tipologie umane per raggiungere, nelle incisioni dedicate al circo, una particolare complessità compositiva oltre che emotiva. In un’unica inquadratura, infatti, l’artista propone diversi piani di lettura avvicinando, in una sequenza prospettica costruita per sovrapposizione di singole scene, momenti diversi dello spettacolo circense. Per questa concezione legata alla simultaneità degli eventi, ogni immagine non raffigura i singoli protagonisti; e così nel momento in cui si esibiscono gli acrobati non è insolito vedere anche i clowns o i domatori. Nel ciclo dei Venti spetterà poi all’amore, alla poesia, alla spensieratezza, ma anche alla malizia o alla magia, dare simbolicamente voce all’intrecciato universo di emozioni e contraddizioni umane. Nelle piccole Streghe unisce all’elemento fantastico il tema del ciclo della vita.
Come una preghiera
Fin da giovane Remo Wolf si è confrontato con il sacro, elaborando un proprio percorso di ricerca nell’intento di reinterpretare iconografie tradizionali. Ha così dato forma a immagini più vicine allo spirito del proprio tempo. Il sacro in lui è la capacità di cogliere, attraverso la letture dei testi biblici, il rapporto tra uomo e spiritualità. Per questo, come scrisse Gino Pancheri nel 1935, l’arte "diventa in Wolf, come negli antichi pittori, una confessione e una preghiera: ed è per questo che una sua stampa, scabra e sofferta, sottintende quasi un atto di fede Si può dire che l’arte sua abbia un accento profondamente religioso, e uno stile intimo e duro che rifugge da motivi volgari e da ogni esercizio sterile: proprio come la sua vita".
Immagine: Sola, 1936, xilografia, collezione privata
Inaugurazione: venerdì 2 luglio 2010 - ore 18.00
Museo Diocesano Tridentino
piazza Duomo, 18 - 38122 Trento
Orario:
dalle ore 9.30 alle 12.30 e dalle 14.30 alle 18.00
chiuso tutti i martedì, 15 agosto, 1 novembre
Ingresso:
- tariffa intera: € 4,00
- tariffa ridotta (gruppi superiori a 20 persone e visitatori sopra i 65 anni): € 2,50
- visitatori tra i 12 e i 18 anni: € 1,00
- biglietto famiglia: € 8,00
Visite guidate:
per gruppi organizzati su prenotazione contattando i Servizi Educativi, tel. 0461-234419
Visite guidate gratuite: per singoli visitatori gratuite ogni domenica alle ore 16.00