Cutini nelle sue fotografie osserva il reale; squarci di paesaggio urbano, interni intrisi dalla dimensione intima oppure scorci e paesaggi naturali. Il lavoro di Mangiaterra parte invece da una matrice di riflessione concettuale e si estende verso un versante che e' soprattutto antropologico.
a cura di Edoardo Di Mauro e Walter Vallini
Giorgio Cutini
La fotografia, nell’ultimo trentennio, si è avvalsa della disinibizione formale cifra stilistica del postmoderno per riversarsi massiccia nel panorama eclettico della contemporaneità privilegiando la funzione piuttosto che l’oggetto e diventando, negli anni ’80 ma ancora di più nel decennio successivo e fino ai giorni nostri, la dimensione narrativa maggioritaria, in compagnia di quello che è stato il suo secondo derivato tecnologico dopo il cinema, il video. L’atteggiamento si è manifestato nella duplice accezione di una partecipazione “fredda”, tendente a privilegiare una classificazione impersonale ed asettica dell’esistente e della banalità quotidiana, ed un’altra dimensione “calda”, “psicologica”, in cui gli artisti hanno adoperato il mezzo come estensione del proprio io, per calarsi nel reale con atteggiamento di empatica partecipazione.
Giorgio Cutini è un autore che riesce con la sua ricerca a proporre immagini coinvolgenti che inducono il fruitore accorto a riflettere sulle inesauribili potenzialità linguistiche di questo strumento, e non è davvero cosa da poco. Perugino trapiantato nelle Marche, chirurgo ed artista, Cutini dà vita nel 1995 insieme a compagni di strada quali Enzo Carli, Gianni Berengo Gardin e Mario Giacomelli ad un gruppo di ricerca denominato “Passaggio di frontiera”. Obiettivo dichiarato quello di esaltare la specificità del mezzo fotografico tra realtà, astrazione e concetto in una dimensione soprattutto interiore. Ed è dall’interiorità che nasce e si sviluppa la ricerca di Giorgio Cutini.
L’artista osserva il reale, che può essere costituito da squarci di paesaggio urbano, interni intrisi dalla dimensione intima oppure scorci e paesaggi naturali, introiettandolo e porgendolo alla visione altrui chiedendo ed ottenendo sempre una partecipazione empatica all’evento. Evento che viene bloccato in un particolare momento del suo divenire e fissato nell’eternità temporalizzata dell’esserci nel “qui ed ora”. Il lavoro di Cutini è del tutto sintonizzato con le tesi sviluppate da Walter Benjamin nel suo celebre e fondamentale saggio degli anni Trenta sulla riproducibilità dell’opera d’arte laddove afferma che l’autentica specificità della fotografia come linguaggio sta nel farci cogliere elementi del reale non distinguibili con la normale attitudine percettiva.
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Bruno Mangiaterra
Nell’ambito della mia ricerca critica il cui esordio è datato metà anni ottanta, da sempre focalizzata prioritariamente sulla scena artistica italiana, fin dai primi anni novanta, e l’assunto teorico è valido a tutt’oggi, ho individuato l’esistenza di una “generazione di mezzo” che ne costituisce uno dei nodi tuttora irrisolti quanto a definizione e storicizzazione, in quanto il nostro sistema ha di fatto bloccato tutto quanto fosse estraneo e non complice con i gruppi dell’Arte Povera e della Transavanguardia. Questo ambito generazionale è esteso ai nati tra la fine degli anni quaranta ed i primi anni cinquanta, fino alla seconda metà dei sessanta.
Nella prima fascia sono inseriti artisti che hanno inevitabilmente subito influenze dalle due macro tendenze prima citate, a partire dalle quali hanno però saputo sviluppare la loro poetica in una dimensione più allargata ed attenta agli umori del contemporaneo. Tra questi può senz’altro inserirsi la personalità di Bruno Mangiaterra. Ho conosciuto l’artista, che è anche attivo promotore culturale e fine teorico nella sua città, Loreto, in occasione di una rassegna da lui promossa dedicata alle tendenze emergenti di quegli anni. Il lavoro di Mangiaterra parte indubbiamente da una matrice di riflessione concettuale ma si estende, con un eclettismo formale del tutto coerente con la sua ispirazione, verso un versante che è soprattutto antropologico.
Antropologico nel senso di una ricerca incessante del rapporto che l’uomo intrattiene, dall’antichità ad oggi, con il mito e l’intero repertorio simbolico, con la natura ed il territorio, con il linguaggio dell’arte e la sua sempre sfuggente ed enigmatica definizione. Mangiaterra persegue questa sua ricerca fecondandola con il dialogo che intrattiene con altri artisti, alla ricerca di punti di tangenza ed obiettivi comuni, esemplare da questo punto di vista la sua collaborazione con Giorgio Cutini, nonché con numerosi poeti del territorio. Infatti il rapporto con la parola, anch’esso elemento legato all’antropologia, è connesso strettamente alla sua poetica. Sotto forma di brani di poesia, inserti di scrittura che balenano all’interno della composizione pittorica, oppure luci al neon, le parole sono una costante dei lavori di Mangiaterra, dove convivono armoniosamente pittura “pura” o contaminata con inserti oggettuali ed installazione proposta in varie fogge, con inesauribile fantasia. Le frasi al neon, come nel caso di “neltempiointerioreperritrovareilpropriooriente”, corollario di un’opera allestita alla Fusion Art Gallery, adempiono ad uno scopo assiomatico del tutto integrato al resto dell’opera e non hanno una funzione di conferma tautologica del significante originario, come nel caso di Joseph Kosuth.
Edoardo Di Mauro
Patrocinio : Regione Piemonte
Uffiicio Stampa : Marcella Germano 339/3531054
Consulente artistico : Vittorio Valente
Immagine: Giorgio Cutini
Inaugurazione Venerdì 17 settembre 2010 dalle 19 alle 23
Fusion Art Gallery
piazza Peyron 9g Torino
orario: martedì, giovedì e venerdì 16.30-19.30 o su appuntamento
ingresso libero