Guido Rosato
Fulvio Biancatelli
Sandra Gazzana
Alessandro Tambresoni
Silvio Maiano
Franco Boggero
Miriam Cristaldi
Valentina Isola
Nicola Angerame
Mario Napoli
5 nuove mostre personali: Guido Rosato espone grandi pannelli, Fulvio Biancatelli propone un assemblaggio di ferri arrugginiti, viti, bulloni, Sandra Gazzana presenta venti sculture di varie misure, Alessandro Tambresoni illustra 'mappe mentali' e Silvio Maiano ragiona sullo spazio.
Guido Rosato
A cura di Franco Boggero
Al tempo di Genua picta, una mostra povera ma bella sulle facciate dipinte genovesi, Guido Rosato condivideva con chi scrive l’interesse per la varia complessità di quelle strutture illusive, a partire dalla soluzione pressoché bidimensionale del telaio-cartone fino alla simulazione di diversi e progressivi strati di profondità.
Provando a descrivere il percorso creativo di Guido con l’impostazione e il lessico d’allora, verrebbe da dire che il gioco tridimensionale dei suoi spazi interferenti, come ebbe a definirli qualche anno fa Ezia Gavazza, si è fatto sempre più dichiarato e “costruito”.
Anche nella sua raffinata produzione iconica, di tono spiccatamente ironico-surreale, Rosato utilizza volentieri sequenze di sagome e piani, mostrandosi a proprio agio nella spazialità del teatro e nel ricorso a micro-macchine sceniche. Ed in quest’ultima mostra, quasi a sottolineare consonanze non casuali fra i due suoi due mondi d’immagine, ha voluto ritmare gli spazi espositivi con grandi pannelli nei quali sonanti emblemi astratti e onirici scenari urbani si sovrappongono e dialogano senza sforzo.
Se nelle Carte grandi di qualche anno fa sembrava prevalere la ricerca sulla parete-ambiente, che lo portava a stendere con gli acrilici accese campiture per sottolinearne solo in parte i contorni mediante forti segni bistrati, la sperimentazione più recente dell’artista si complica. Nelle nuove Finestre il motivo, ovvero l’apertura reale praticata nella “scatola”, spicca sulle dissonanze ovattate di stesure chiare, rese vibranti dalla texture dei pastelli. Nelle Scene, gli strati di profondità si moltiplicano, e vengono fornite - quasi segnaleticamente, e con divertita ironia - accelerate indicazioni prospettiche, mentre le aperture reali assommano tipologie diverse (finestra / tenda / persiana) ed accolgono al loro interno nicchie e quinte, sagome e frammenti di specchio.
Più dura e dichiarata la sperimentazione dei Bozzetti, dove la materia pittorica è meno trasparente, le tinte sono più sature e gli espedienti - i test - risultano avvicinati e confrontati fin quasi al limite del ‘corto’.
Ma sarà, anche in questo caso, la “cultura del controllo di sé” (come notava Antonella Berretti presentando nel 2006 le prime, morbide Finestre condotte all’acquerello) a lasciare chiaro e pulito il gioco, proprio come accade in ogni avvertito open jazzistico.
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Fulvio Biancatelli
A cura di Miriam Cristaldi
Ferri arrugginiti, viti, bulloni, grette, lattine pressate, lamiere contorte, nastro plastico da imballo, chiodi, fili di ferro attorcigliati, catenelle, frantumi di cristallo ecc. sono tutti poveri elementi industriali di scarto con cui l'artista, architetto e designer romano Fulvio Biancatelli (classe '57), struttura un complesso, affabulante e fascinoso alfabeto secondo un personalissimo codice linguistico, reificando tali oggetti-frammento quali scarti della società in preziose occasioni multi-espressive, ruotanti a coda di pavone in un reale riflesso nella pluralità del senso.
Scrive l'autore: “Nella costruzione, quello che mi disarma è l'assoluta espressività delle materie: il canto del ferro che incatenato dal collante, tradisce una tensione imprigionata per sempre...”.Talvolta queste “reliquie” della modernità, sull'orlo di una sparizione in favore del nuovo “immateriale” tecnologico che avanza a velocità accelerata - realtà che il filosofo francese Paul Virilio non cessa di definire come: “...una situazione in cui la specie è a fine corsa poiché non è più in grado di adattarsi abbastanza velocemente a delle condizioni che mutano più rapidamente che mai” - si accostano a piccoli frammenti di natura, anch'essi miseri relitti, trovati sulla spiaggia ed elaborati dalla forza del mare come pietre levigate, legni, conchiglie, quasi alla ricerca di un possibile, poetico innesto dove anche la natura lancia il suo grido d'allarme, pressata com'è dall'attualità di precari e vacillanti ecosistemi. “Raccolgo un po' tutto ovunque”, dichiara l'artista “perché mi chiamano a testimone di uno scempio, di uno spreco d'inciviltà...”.E allora, con l'attenzione di uno scienziato che pone il materiale sul “vetrino” per esaminarlo, Fulvio Biancatelli depone le sue reliquie-oggetto su lastre in metacrilato trasparente (plexiglas “a freddo” che non ha subito condizioni di liquidità) come simboli di un mondo in estinzione da consegnare a futura memoria secondo armonie spazio-temporali e ritmate composizioni, chinandosi amorosamente sugli scarti-frammento per reinserirli in una vitalistica circolazione sanguigna che è specifica dell'arte.
In un secondo tempo fissa gli elementi al supporto con potenti colle chimiche facendoli “cantare” per l'eternità.Nella prassi operativa questo è il momento più delicato in cui colorate polveri di aniline - spruzzate sulla composizione - si impastano col vinavil (usato per il fissaggio) creando una magica fusione pittorica tra gli elementi del quadro ed il supporto.“ Poi l'attesa che il collante incateni le materie, ma sopratutto che il colore si diluisca formando sfumature sconosciute e la ruggine cerchi vie di uscita dalla trappola imbastita...” spiega ancora l'autore. Prende così corpo una delicata “pelle” che interagisce con l'opera mediante riflessi cangianti dei rossi, verdi o blu, un'unica pasta pittorica capace di suggerire acide, violente e al contempo inquietanti atmosfere dove la materia, trasformata in catartiche accelerazioni, sembra trascendere in “liquefazioni spirituali”.La ruggine ha qui una notevole importanza: la fioritura dei funghi del ferro crea l'idea della distanza, dello scorrere del tempo che consegna l'ovvio al passato e che rinasce nella potenza energetica di una rinnovata linfa vitale. Ciò richiama l'opera del genovese Claudio Costa, artista internazionale che sugli elementi di scarto della società (con particolare attenzione per la ruggine cui aveva dedicata, nel '90, l'intera mostra “Per case di ruggine”) aveva fondato la sua poetica.Nel lavoro di Biancatelli, e in quasi tutta l'arte contemporanea, si nota una sorta di apologia del “frammento” poiché abbiamo perso l'idea dell’“intero” attraverso cui ci riconoscevamo abbracciandone i limiti nei quali era circoscritto.Visione, questa, che è propria del passato (fino al secolo scorso) e che oggi ci è stata tolta dall'incommensurabile grandezza del mediatico “villaggio globale” che, volenti o nolenti, universalmente abitiamo.
Non potendo riconoscersi in grandezze uscenti dai nostri limiti percettivo-sensoriali nasce allora il culto, l'amore infinito per il piccolo, il micro, per ciò che in fondo è più simile al nostro “esserci” nel mondo.Particolarmente efficaci sono anche le opere intitolate “Vitrei” , elementi composti da schegge di cristallo tratte da frantumi di parabrezza d'auto, impastate con collante e ad accesi colori d'anilina, per essere poi racchiuse in cornice di brunita lamiera (per affissioni).Anche qui si struttura una caleidoscopica visione che riflette un micro-universo dove “ ... come i cristalli di salgemma trapassati dalla luce rossa di una candela accesa , così le schegge di vetro temperato accendono luci ed ombre sinistre dall'umore vitreo...”, suggerisce ancora Biancatelli riferendosi a queste opere dove sovente, dietro il lavoro è posta una fonte di luce che mette in risalto proiezioni cromatiche violente, capaci d'irradiarsi magicamente nello spazio circostante.Si architetta allora una possibilità di muoversi con la materia-colore in modo topologico con una intensità di senso in cui mente e corpo trovano un'intima, vibrante unità.
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Sandra Gazzana
A cura di Valentina Isola
Sandra Gazzana, artista singolare, espone, in occasione del Circuito Start, presso i locali di Satura, una serie di venti sculture di varie misure nelle quali traspone la propria passione per l’arte e la sua abilità nella lavorazione della ceramica e nel decoro. Questa rassegna non annovera, però, per scelta, la prima produzione dell’artista, realizzata mediante la tecnica del tornio, appresa presso il celebre ceramista Marcello Mannuzza, ma si focalizza su quella più recente, composta da bassorilievi e da altorilievi collocati su eleganti tele bianche. La scultrice conduce una propria indagine artistica il cui obiettivo precipuo è l’esplorazione della materia “ in naturalità ”, abbandonando, infatti, l’impiego del raku, altamente tossico durante la lavorazione e dalla resa finale più statica, a favore di pigmenti naturali. I colori ad acqua, conferiscono, a suo avviso, alle sue opere, una maggiore vitalità, un movimento interno “vivo” e pulsante e suggestivi effetti di lucentezza ed evanescenza sulla struttura materica: in ogni sua creazione, inoltre, luce e colore fuoriescono dalle scultura stessa conferendogli, al contempo, movimento e forma. L’artista, parlando delle sue opere durante il nostro incontro, afferma di avere una visione differente sulla tecnica del bassorilievo, dalla sua accezione originale: é proprio grazie all’adozione di materiali alternativi e naturali, che ella si discosta dal bassorilievo tradizionale fornendone una propria soluzione innovativa. Tema principe della sua mostra sono i quattro elementi naturali : terra, come materia plasmata, fuoco, per forgiare e fissare plasticamente la materia stessa, acqua, come consistenza dei suoi colori e aria come idea dell’evanescenza ialina delle sue opere (v. pigmenti di vetro). L’artista lavora di getto, non segue schemi mentali precostituiti, ma agisce attraverso l’ispirazione: l’idea non prefigurata, quindi, prende corpo, via, via durante la creazione dell’opera stessa. All’interno della personale si possono ammirare non solo opere dallo stampo naturalista (per l’impiego dei materiali sopradescritti) ma anche creazioni in cui il background dell’artista si fonde e si contamina di tecniche altre, come l’utilizzo della duttile e versatile filigrana assemblata all’evanescenza concreta del vetro, in un rimando ai tempi antichi e a culture differenti e all’Oriente, che da sempre affascina questa particolare ed empatica scultrice.
Con il patrocinio del Comune di Campo Ligure.
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Alessandro Tambresoni
A cura di Nicola Angerame
Di segno stellare e cosmico è l'approccio di Alessandro Tambresoni. Le sue "Mappe mentali" hanno per protagonisti "omini" con la testa a forma di atomo stilizzato e le orbite degli elettroni a dare idea della dinamica fantasia che percorre l'immaginazione infantile. La lezione di Keith Haring trova un epigono nella formazione di un personaggio favolesco stilizzato. Un marziano?
Forse questo è in realtà ogni fanciullo. Un essere alieno che "cade" sulla terra, si materializza, nasce, e per i primi anni vive come esiliato in un regno d'incantesimi che non comprende appieno. Ma si potrebbe ribaltare il senso delle cose e allora sarebbe facile sostenere, insieme con quel Piccolo Principe che è stato Antoine de Saint Exupéry: "Gli adulti non capiscono mai niente da soli ed è una noia che i bambini siano sempre costretti a spiegar loro le cose". Ma forse gli adulti stanno scomparendo…
Tambresoni lo spiega con il suo vagare interstellare, usando una geometria giocosa, un ruzzolare siderale di omini che potrebbero seguire "certe rotte planetarie lungo la Via lattea", come cantava Franco Battiato. Di più non è dato sapere. Le mappe non portano da nessuna parte, sembrano più delle giostre che ruotano su se stesse, per il nostro ed il loro diletto: un luna park stellare messo a punto usando la scienza e la matematica come compagni di giochi.
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Silvio Maiano
A cura di Mario Napoli
Alcuni anni fa ho ‘scoperto’ il rettangolo in un'opera informale dell’artista tedesco Thomas Mehl; il metodo frequentando il pittore Enzo Maiolino.
Uso forme elementari (rettangoli, quadrati) che si modulano in sequenza e le cui campiture variano dal nero ad una scala di grigi. Scelta, questa, che si avvale del chiaroscuro per meglio rappresentare il concetto di spazio, inteso come pieno e vuoto. Cerco l’unione e l’equilibrio tra forme autonome diverse, per dimensione e peso coloristico, che si realizzano e si completano in una nuova figura all’interno di un definito spazio bidimensionale.
La figura piana o bidimensionale porta in sé la logica della matematica, la precisione della linea, la consistenza della forma ed è attraverso la costruzione di composizioni geometriche che cerco di esprimere qualcosa di concreto. Una poetica, la mia, che non lascia spazio a interpretazioni letterarie né a elucubrazioni concettuali ma solo alla mera pittura, solo a una 'lettura visiva' che non si stacchi dalla realtà delle forme rappresentate.
Lo scrittore Francesco Biamonti ha scritto: “ ...il lavoro consiste in una concentrazione esistenziale e in una elaborazione stilistica. Come si arriva all’elaborazione di uno stile è difficile spiegarlo. Uno si avvale di tante cose, di una osservazione della realtà, di un confronto con altre scritture”.
Penso che questo concetto sia valido per ogni attività artistica infatti, come ho scritto ad un amico che recentemente si informava sulla mia attività artistica, solo col lavoro, il lavoro e ancora il lavoro riesco a progredire. (Silvio Maiano)
Inaugurazione: sabato 02 ottobre 2010 ore 17
Satura
piazza Stella, 5 - Genova
Orario: dal martedi al sabato, dalle 16:30 alle 19:00;
o su appuntamento