Warehouse
San Nicolo' (TE)
via Giulio Canzanese, 51
0861 232189
WEB
Tre mostre
dal 14/10/2010 al 26/11/2010
mar e mer 15.30-19.30, gio-sab 10.30-13.30 e 15.30-19.30 Domenica e Lunedi chiuso

Segnalato da

Warehouse Contemporary Art




 
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14/10/2010

Tre mostre

Warehouse, San Nicolo' (TE)

Samuele Menin e Marta Pierobon presentano un progetto a 4 mani frutto di una serie di suggestioni legate alla Mongolia ed alla figura mitica di Gengis Khan; Sabine Delafon espone una selezione della serie dei Quadri fogli; Sophie Usunier ha ricoperto le pareti della project room con oltre 23.000 post-it gialli.


comunicato stampa

a cura di Francesca Referza

Samuele Menin e Marta Pierobon
Il giorno chiaro del primo mese dellʼestate dellʼanno del cavallo dʼacqua del terzo ciclo

Venerdì 15 ottobre 2010 Warehouse Contemporary Art presenta Il giorno chiaro del primo mese dell'estate dell'anno del cavallo d'acqua del terzo ciclo, una mostra a quattro mani di Samuele Menin (Castellanza, Varese, 1978) e Marta Pierobon (Brescia, 1979) a cura di Francesca Referza. Il progetto presentato dai due giovani artisti alla Warehouse di Teramo, è frutto di una serie di suggestioni legate alla Mongolia e alla leggendaria figura di Gengis Khan evocata dal titolo wertmulleriano della mostra, giorno della nascita dellʼimperatore mongolo.

Il progetto a quattro mani presentato da Samuele Menin (Castellanza, Varese, 1978) e Marta Pierobon (Brescia, 1979) alla Warehouse di Teramo è frutto di una serie di suggestioni legate alla Mongolia ed alla figura mitica di Gengis Khan tanto che lo stesso titolo wertmulleriano fa riferimento al sovrano mongolo. Il giorno chiaro del primo mese dell'estate dell'anno del cavallo d'acqua del terzo ciclo è infatti la definizione evocativa della data di nascita di Gengis Khan. Gengis Khan è stato il fondatore dellʼImpero mongolo (1167 ca – 1227). Alla morte del padre, visse in estrema miseria sotto la protezione della madre, sposatosi a 17 anni, intraprese la sua opera di unificazione delle popolazioni della Mongolia. Grazie al suo talento militare Gengis Khan riuscì a creare un immenso impero che alla sua morte si estendeva dal Caspio al Mar Cinese, dalla Persia alla Siberia meridionale. Ad aumentare il magnetismo che la sua figura esercita ancora oggi, contribuisce la leggenda che Gengis Khan sia stato sepolto in un luogo tuttora sconosciuto.

Per parlare del fascino stratificato della cultura nomade della Mongolia i due artisti sono partiti dalla yurta, la tipica tenda asiatica, ovvero la casa di molti popoli che, ancora oggi, nonostante lʼurbanizzazione del XX secolo, la abitano da generazioni. La yurta ha una struttura circolare a forma di cupola, coperta da teli di feltro e con un lucernario nella parte superiore. Tuttavia, proprio come Il giorno chiaro del primo mese dell'estate dell'anno del cavallo d'acqua del terzo ciclo, è un titolo volutamente evocativo e non immediatamente riconducibile alla figura di Gengis Khan, così la tenda immaginata da Samuele Menin e da Marta Pierobon non è esattamente una yurta. La forma della struttura della tenda progettata dai due artisti è infatti derivata dalla decorazione di un tappeto mongolo. La pianta della tenda, a forma di diamante, inoltre, sembra suggerire il contenuto allo stesso tempo prezioso e luminescente dellʼinterno. Sulla superficie della tenda e sulle strutture collocate nellʼambiente semibuio, gli artisti proiettano diapositive con immagini che, come Fantasma mongolo (2010) di Samuele Menin, hanno lʼaspetto di simulacri gelatinosi.

Allʼinterno della tenda – spiegano gli artisti – sono stati inseriti diversi oggetti, sia bidimensionali che tridimensionali mentre, allʼesterno della tenda, su una parete della galleria abbiamo immaginato una serie di lavori bidimensionali realizzati a quattro mani.

Tra le installazioni più scultoree di questo ambiente irreale cʼè il Monumento Funebre di Gengis khan (2010) di Marta Pierobon, realizzato in legno e terra cruda dipinti a spray. Su una struttura di colore nero aperta dinamicamente nello spazio, lʼartista ha collocato delle sculture in terra cruda dipinta dʼoro. Pur non avendo una forma definita, queste sculture contengono dettagli riconoscibili come squame, piccole protuberanze e cavità organiche.
Si tratta di enigmatici oggetti, la cui preziosità consiste nellʼenergia che promana dalla
struttura funeraria nel suo complesso.

Durante la permanenza nellʼambiente buio e protetto della yurta la sensazione è che campi magnetici colleghino un oggetto allʼaltro, unʼimmagine allʼaltra, in una sorta di costellazione astrale, fatta di ombre tremolanti, che parlano di Gengis Khan ma anche di tante altre figure del passato personale e collettivo che appaiono in filigrana nella penombra di questa archeologia per immagini. Lʼunico presupposto - spiegano gli artisti - è la possibilità di aprirsi allʼesperienza di questo ambiente mentale. Lʼatmosfera qui è quelladi una ritualità antica, sepolcrale, resa viva dallo scambio generato dal dialogo confidente tra i due artisti.

Pur non avendo mai lavorato insieme prima, Samuele Menin e Marta Pierobon hanno stabilito unʼintesa perfetta in cui il temperamento artistico dellʼuno è stato mitigato da quello dellʼaltro e viceversa, come accade nellʼincontro di acque di temperature diverse. Il risultato è intrigante nella misura in cui la collaborazione tra i due artisti è stata spontanea ed ha prodotto lavori caratterizzati dalla stratificazione. Una stratificazione sia materiale che semantica, che è il vero punto di contatto tra la pratica artistica di entrambi e il punto di forza di una mostra dagli esiti tanto insoliti quanto sorprendenti.

Samuele Menin (Castellanza, Varese, 1978) vive e lavora a Milano
Marta Pierobon (Brescia, 1979) vive e lavora tra Brescia e New York

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Sabine Delafon
Le Rayon vert

Venerdì 15 ottobre 2010 Warehouse Contemporary Art presenta Le Rayon vert, una mostra dellʼartista Sabine Delafon (Grenoble, Francia, 1975) a cura di Francesca Referza. Lʼartista, che vive e lavora tra Milano e la Francia, nella Mono Room della Warehouse presenta una selezione della serie dei Quadri fogli, da una collezione di 3000 quadrifogli iniziata dalla Delafon nel 1999. Una ricerca – spiega lʼartista - sulla rarità, lʼeccezione, la superstizione, il destino.

Il raggio verde (fonte Wikipedia) è quel fenomeno ottico che è possibile vedere nelle giornate dʼestate, quando il sole, sparendo al tramonto, crea un sottile strato debolmente luminoso che nasce e si arresta in pochi secondi. Generalmente, viene avvertito ad occhio nudo nelle giornate chiare. Il raggio verde è frutto della rifrazione della luce solare da parte dell'atmosfera, più evidente al tramonto, quando i raggi solari radenti attraversano uno strato d'aria più spesso.

Il fenomeno del raggio verde, titolo di un film di Eric Rohmer degli anni Ottanta, è stato scelto per la mostra di Sabine Delafon (Grenoble, Francia, 1975) nella Mono Room della Warehouse, come chiave di lettura metaforica di alcuni suoi lavori. Il raggio verde è un fenomeno naturale piuttosto impercettibile allʼocchio, da intendersi come rivelazione momentanea, segno, nella poetica artistica della Delafon, di un rapporto costante tra una dimensione fisica visibile ed una più astratta e metafisica. Quello creato da Sabine Delafon è in effetti un raggio verde immaginario, più mentale che reale, composto da una serie di venti quadrifogli (40 x 32 cm) stampati, montati su alluminio e sotto plexiglas, posti uno accanto allʼaltro a formare un orizzonte di colore verde formato da tante icone portafortuna.

Molti dei lavori della Delafon, tuttavia, nascono proprio da un approccio quotidiano molto concreto, fisico, materiale, nascono da unʼattitudine collezionistica, da unʼesigenza di accumulo di dati e successiva archiviazione, di azioni ripetute. Tra i tanti oggetti maniacalmente e pazientemente collezionati, archiviati e conservati dallʼartista nel corso del tempo, dalle fototessere di Ex ai vetri di Attenti ai più recenti Questionnaire sottoposti ad amici, colleghi ed addetti ai lavori, ci sono anche 3000 Quadri fogli. Il 31 gennaio 2007 Sabine Delafon aveva inviato ad amici e conoscenti, professionisti del mondo dell'arte e non, l'immagine di un quadrifoglio come presente benaugurante per l'anno nuovo. Raccolti e collezionati dall'artista dal 1999 i quadrifogli sono 3000, ognuno differente con le sue caratteristiche – aveva scritto Francesca di Nardo in occasione della mostra presso lo studio di Massimo Alba a Milano - ognuno unico come i suoi possessori.

Il quadrifoglio (ibidem) è unʼanomalia, relativamente rara, del trifoglio, che può presentare eccezionalmente delle foglie composte da quattro piccole foglioline invece che da tre. In inglese ed in francese il quadrifoglio viene definito più puntualmente di quanto non avvenga in italiano: four-leaved clover e trèfle à quatre feuilles, ossia trifoglio a quattro foglie. Nella cultura popolare, a causa della sua rarità, si ritiene che trovare o ricevere in dono dei quadrifogli sia di buon auspicio.
Nel lavoro della Delafon sacro e profano, vero e verosimile, come nel caso del raggio verde visibile su unʼunica parete della Mono Room grazie alla somma di tanti quadrifogli, convivono e a volte si mescolano e si confondono lʼuno nellʼaltro. La sua ricerca ha la caratteristica di collocarsi in una zona liminare, in un luogo di passaggio che rende i suoi lavori fragili ed incorporei come i vetri di Attenti o verosimili e ironici come Allèluia, annuncio mortuario con cui lʼartista dichiarava conclusa la sua decennale attività artistica individuale e preparava la nascita della SDC, la corporation fondata a suo nome nel 2008.
Anche in quel caso sacro e profano si mescolavano, perché sullʼannuncio compariva proprio un quadrifoglio, sorta di icona scaramantica ambasciatrice di buoni auspici. Le Rayon vert di Sabine Delafon è dunque un miraggio che si concretizza, un raggio verde di buona sorte e buona fortuna.

Sabine Delafon (Grenoble, Francia, 1975) vive e lavora tra Milano e la Francia.

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Sophie Usunier
PROMEMORIA (vorrei tanto che ti ricordasse)

Venerdì 15 ottobre 2010 Warehouse Contemporary Art, dopo la recente performance di Cristiana Palandri, presenta PROMEMORIA (vorrei tanto che ti ricordasse), un progetto site specific dellʼartista Sophie Usunier (Neufchâteau, Francia, 1971) a cura di Francesca Referza. Lʼartista, che vive e lavora tra Milano e la Francia, ha ricoperto le pareti della project room con oltre 23.000 post-it gialli, realizzando unʼinstallazione ambientale al tempo stesso ludica e poetica.

Promemoria (vorrei tanto che ti ricordasse) è unʼinstallazione site specific realizzata da Sophie Usunier (Neufchâteau, Francia, 1971) con oltre 23.000 post-it gialli, grandi circa 7,5 x 7,5 cm. Promemoria (da pro, a favore, e memoria) è una nota, un foglio, o un qualsiasi sistema utile a ricordare qualcosa. PROMEMORIA (je voudrais tant que tu te souviennes) – ha dichiarato lʼartista – è un progetto mai presentato in Italia e che a fine ottobre realizzerò presso il centro culturale "Le Trait d'Union" in Francia. Per la project room della Warehouse ho pensato ad una installazione che combinasse lʼidea del giocare con il luogo fisico, con la natura di sperimentazione della project. 


È un'installazione, come indica il titolo, sul ricordo e sull'oblio. Una stanza di promemoria senza più niente scritto sopra, una dimenticanza, o una perdita di memoria...
Il promemoria è l'oggetto per ricordare per eccellenza, lo usiamo per la spese, per un appuntamento, per scrivere citazione belle o interessanti per la nostra riflessione. Le incolliamo dappertutto nella casa, sulla scrivania, sullo specchio, sulle mensole, in macchina...
Incollare tutta una stanza (le mura e le porte-finestre, tranne il soffitto e il pavimento) di post-it regolarmente, rende lo spazio completamente diverso, come una nuova materia sulle parete. 
Poi, con il tempo, i post-it si scolleranno per cadere a terra, come foglie morte autunnali, e rimarranno nello spazio a terra per tutta la durata della mostra. Anche se PROMEMORIA (je voudrais tant que tu te souviennes) è nata durante una residenza in una casa di riposo a Nancy (2009), e dunque in un luogo in cui si perde la memoria, la testa, questo lavoro non interroga solo la vecchiaia e la morte, con l'assenza ad vitam aeternam della nostra memoria, e della nostra storia, ma interroga in definitiva tutte le memoria e tutte le storie personali ed umane, piccole o grandi...

La project room pensata da Sophie Usunier è accompagnata da una selezione di Nature Morte, un lavoro in progress (2005-2009) realizzato dallʼartista incorniciando, entro vecchie cornici, liste della spesa dimenticate dai clienti al supermercato. Il cortocircuito semantico è dunque evidente. Da una parte Promemoria (vorrei tanto che ti ricordasse), in cui lo spazio fisico della project room viene cancellato da unʼinfinità di fogli gialli lasciati vuoti in attesa di possibili appunti lasciati dai visitatori, dallʼaltra, liste della spesa involontariamente dimenticate o lasciate in cassa da clienti distratti, che (attraverso vecchie cornici) diventano per lʼartista occasione di ridare loro senso e preziosità incorniciandole. In effetti per decodificare il lavoro di Sophie Usunier si potrebbe musare proprio lʼimmagine della cornice. Lʼartista francese, che nella sua pratica artistica privilegia la realizzazione di progetti site-specific pensati in relazione a luoghi e persone, spesso ispirati da personali suggestioni esperienziali, non realizza quasi mai lavori ex novo. La sua inclinazione è piuttosto quella di creare una sottolineatura concettuale, una cornice che isolando singoli oggetti o momenti soggettivi, ne consente una chiave di lettura divergente rispetto alla consuetudine. Questa forma di isolamento visivo e mentale di dettagli quotidiani spesso banali (lʼipnotico volo di una mosca, la malinconia di promemoria autografi, la registrazione della forza del vento e la casualità di un insieme di elastici) innesca in realtà plurimi spunti di riflessioni a cui tuttavia lʼartista allude soltanto, lasciando aperte ulteriori letture del proprio lavoro, che vanno ben oltre lʼinsignificante apparenza del soggetto scelto.


Sophie Usunier (Neufchâteau, Francia, 1971), vive e lavora tra Milano e la Francia.

Inaugurazione: venerdi 15 ottobre 2010 ore 19.00

Warehouse Contemporary Art
Via Giulio C. Canzanese, 51 - San Nicolò (TE)
Orari: mar e mer 15.30-19.30, gio-sab 10.30-13.30 e 15.30-19.30
Domenica e Lunedì chiuso

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