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30/9/2002

Eros & Thanatos

Spazio Santabarbara, Milano

"Irritante ed eccessivo, e' come se il nostro Andros cercasse una colluttazione con chi si ferma a guardare una sua opera. Ce la mette tutta nello sferrarci dei cazzotti. Cazzotti che vanno in tutte le direzioni, e poco conta che siano sferrati nella materia soffice _ la schiuma di poliuretano _ di cui sono fatte le sette grandi sculture di questa sua mostra milanese (...)" (G. Mughini)


comunicato stampa

Irritante ed eccessivo, è come se il nostro Andros cercasse una colluttazione con chi si ferma a guardare una sua opera. Ce la mette tutta nello sferrarci dei cazzotti. Cazzotti che vanno in tutte le direzioni, e poco conta che siano sferrati nella materia soffice _ la schiuma di poliuretano _ di cui sono fatte le sette grandi sculture di questa sua mostra milanese. Ce n’è per tutti i gusti e per tutte le sensibilità, a guardare quelle sculture. Andros non si nega nulla e non ci risparmia nulla, e quel materiale rapido e chiassoso con cui ha lavorato e modellato gli calza a pennello.

Sferra un cazzotto a me, che quando sento pronunciare la parola “marines” non penso affatto a degli assassini ma ai ragazzi americani che nel giugno del 1944 si buttarono contro le mitragliatrici nazi di Omaha Beach affinché l’Europa potesse tornare a sorridere nella libertà. Sferra un cazzotto ai credenti con quelle sue immagini blasfeme di suore che hanno l’aria di volersi concedere qualche passatempo e di provarci piacere. (A chi ha buon gusto e rifugge dai tabù raccomando di sfogliare un cospicuo volume pubblicato un paio d’anni fa in Inghilterra, AntiCristo, da dove sfolgorano le immagini di turbate fanciulle addobbate da suore. Sì, decisamente delle “bad nuns”, delle cattive suore). Sferra un cazzotto alle femministe del “politically correct” serrando una fanciulla e sospendendola in aria, come a dire che infinite sono le vie dell’erotismo (“Fai l’amore con il dolore” è una dizione che condivido perfettamente).

Sferra un cazzotto ai pedofili, ma ci fa capire che non sono individui fuori dal genere umano. Sferra un cazzotto alla maternità, quando non è voluta o è irresponsabile, e soprattutto sferra un cazzotto alle ragazze irresponsabili che in quella maternità ci si cacciano. Ovunque ci sia un confine da violare, da oltrepassare, Andros accorre di corsa. Naturalmente ha tutto il diritto di correre e di sferrare quei cazzotti, altrimenti non sarebbe un artista e bensì un conversatore da bar, uno di quei bar dove si deliba un aperitivo e si commenta il mondo.

Andros il mondo lo commenta a modo suo, dolorosamente. C’è una tensione squassante all’origine della sua opera, del suo creare. Siccome i conti del vivere non gli tornano, la luce la tiene accesa anche di notte. Veglia. A chiedere, a tastare, a spezzare la distribuzione consueta delle carte e dei ragionamenti. Una tensione che avevo toccato con mano, come di un materiale che ti brucia le dita se ti accosti, fin dalle prime volte che avevo visto immagini del suo lavoro. E’ come se Eros e Thanatos nella sua immaginazione fossero indisgiungibili, com’è del resto di tanti altri protagonisti della comunicazione artistica moderna, dall’italiano Antonio Riello al metà inglese e metà giapponese Trevor Brown al francese Romain Slocombe, un poliedrico artista che io prediligo. Sanno tutti, questi nostri confratelli, che non c’è alcuna barriera divisoria tra la minaccia e la seduzione, che tante volte l’amore va di pari passo con il dolore, che dove c’è pericolo c’è piacere, che nessuno di noi è innocente e certo non lo è la nostra immaginazione. Sanno tutti che alla fine del loro lavorio artistico non c’è la salvezza, ma il rischio. E del resto senza quel rischio non potrebbero vivere.

Nel rischio è come se Andros ci fosse nato. Gli piace ciò che è sfranto, violento, improvviso e inaspettato. Non scherza affatto quando, a modo di messaggio pubblicitario, inscrive sotto una sua opera la dizione “Il dolore è un piacere…Se non è forte che piacere è?”. Certo che lui il dolore lo vuole provare il più forte possibile, se no che dolore è? Si deve essere divertito un mondo a mettere una simildonna, non so se in schiuma di poliuretano o altro, accovacciata dinnanzi all’entrata della Miart e sono stati in tanti a scambiarla per una donna, e magari a desiderarla come se fosse una donna vera. E’ poi sicuro che quella creatura non esistesse e non meritasse quel desiderio o, a dirla diversamente, è poi sicuro che tante di quelle donne addobbate e regali che vediamo aggirarsi a vantare la loro femminilità esistano davvero e meritino il nostro desiderio, un desiderio di cui la moda e la pubblicità odierni ci sfiancano 24 ore su 24? Ma di che cosa oggi siamo sicuri, di quale confine o certezza? Di poco o niente, né più né meno che il nostro confratello Andros.

Giampiero Mughini


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