Galleria Piziarte
Tortoreto Lido (TE)
via Sardegna, 3 (interno 4)
339 4935925
WEB
Giovanni Fioretto
dal 3/10/2002 al 31/10/2002
339 4935925
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Segnalato da

Manuela e Patrizia Cucinella




 
calendario eventi  :: 




3/10/2002

Giovanni Fioretto

Galleria Piziarte, Tortoreto Lido (TE)

Nel testo critico che accompagna la mostra Gabriele Perretta scrive: "...nei quadri di Fioretto la carne trova un’altra immagine, un’altra predisposizione a se stessa. Essa rimane oggetto vivo e luminoso perche', pur scaturendo da un passaggio illustrativo di un pezzo di corpo morto, attraverso l’energia pittorica conserva un’entità luminosa, che simbolicamente indica un’impercettibile e trasparente conservazione della vita. (...)


comunicato stampa

A cura di Manuela e Patrizia Cucinella

Nel testo critico che accompagna la mostra Gabriele Perretta scrive:
Quotidianamente assistiamo ad un tripudio della carne. Sotto le spoglie riverite di un corpo organizzato, curato, esteticizzato si nasconde l’eccessività di essa. La carne è dappertutto, sembra che giaccia nel fondo della nostra esistenza come il medium essenziale attraverso cui passa l’accertamento fisico del nostro quotidiano. Sulla carne cadono gli occhi del nostro essere al di qua e le angosce del nostro dover occupare prima o poi i territori dell’al di là.

Alla globalizzazione capitalistica, da un po’ di anni, è sfuggito di mano un principio sterminatore. Infatti, la carne di quei poveri animali che consumiamo in gran quantità, a causa dell’incontrollabile minaccia della BSE, sale a fasi alterne sulla ribalta dello spettacolo mediale, poiché questa carne che ci nutre e ci aggredisce sortisce un sicuro effetto nella logica pulp dell’informazione. E allora migliaia di mucche vengono soppresse e bruciate sotto l’attenzione delle telecamere dei network di tutto il mondo. A queste immagini si sono avvicendati cruenti fatti di cronaca, come una madre e un figlio martoriati e uccisi dalla carne della propria carne. Poi sono arrivati il fatidico 11 settembre e la guerra in Afghanistan che per un po’ hanno dirottato l’attenzione su altra carne. Senza il timore di esagerare troppo, potremmo quasi dire che i media, data la loro applicazione nel ''cucinare'' con sapienza ogni tipo di notizia legata alle estensioni della carne umana, si presentano come degli allosaurus, ovvero come quei giganteschi dinosauri vissuti nel giurassico superiore, detti anche carnosauri, che cacciavano in gruppo, si nutrivano di carogne e dotati di fauci con denti lunghi e fitti che consentivano di staccare enormi bocconi di carne.

Mediale integrato e rifacimento del corpo sono configurati sullo stesso orizzonte, fino ad assorbire qualsiasi figura che si mostra come nuova apparizione del sociale. La bellezza è sottoposta all’anestesia totale della chirurgia plastica, non è più possibile immaginare un dispiegamento di corpi, di profili e di comportamenti che non siano passati sul tavolo operatorio della medicina estetica. La perfezione del corpo ed il mantenimento di essa sono valori irrinunciabili in una società che si basa sempre di più sull’apparire, sul comunicare attraverso l’immagine di un umano perfetto, ovvero sottoposto ad una compiutezza bifronte, in cui esso appare come l’altra faccia del finto. Tale modello ideale nella sua irraggiungibilità diviene patologia e, vivendo nell’artificialità totale, crea un sistema di ''cura'' legato ad interventi forzati sul corpo di tipo atletico, chirurgico, ma anche di costume.

Anche nel campo dell’arte in questi ultimi anni si è fatto un gran parlare del corpo. Si è detto della sua specie come oggetto martoriato, come immagine sessuale dell’organico e dell’inorganico, come organo tra gli organi e come organismo senza organi, come anatomia, come dimensione pittorica, scultorea etc…. Ma non si è detto cos’è realmente il corpo nel ''nostro adesso'', cos’è realmente la carne, come si muove la nostra sensibilità in essa, come era animata nella storia e come potrà essere animata grazie anche alla tecnologia nel futuro. La pittura, pur non essendo molto attrezzata per coprire queste risposte a livello immaginologico, si offre come un buon tavolo anatomico su cui sezionare le forme e le topografie dello sguardo. Ecco che su questo tavolo giungono pezzi di corpo, profili, congiunzioni di membra assemblate e coniugate nella loro potenza.

Così come Bataille, per cominciare Les Larmes d’Eros, si mette a scrivere davanti ai documenti fotografici del supplizio cinese, giungendo alla conclusione che i singulti del campo sacrificale spesso si confondono con le digressioni interminabili dell’eros e del sadismo, così noi - facendoci aiutare dalle parole del poeta Paul Verlaine ''La chair est sainte! Il faut qu’on la vénère'' - scopriamo l’intensità dei pezzi di corpo provenienti da una figura o da forme anatomiche disperse e irradianti. Leggendo i due testi che Michel Leiris aveva dedicato al pittore inglese Francis Bacon, notiamo una differenza definitiva tra la nozione introdotta da Antonin Artaud sur la vérité cruauté e una pittura della vérité criante. Fra l’urlo e la crudeltà non dovrebbe esserci molta differenza, pensando soprattutto al fatto che queste due sensibilità sono state allevate in atmosfere abbastanza simili. Ma una sottile diversità resta e si fa avanti tra l’azione del guardare un corpo su un tavolo anatomico e la figura della carne che si rinviene in un contesto pittorico usato per scoprirla. Rispetto alla crudeltà - e quindi alla sapienza scenica in cui la carne appare dilaniata, come nelle azioni di Herman Nitsch - la pittura urlante vista da Leiris è qualcosa che attiene ad una voce sorda, una voce silenziosa che si nasconde nei movimenti corporali, nel figurale (come lo chiama Gilles Deleuze).

Partendo da questa sensazione di silenzio, o meglio di urlo soffocato, nei quadri di Fioretto la carne trova un’altra immagine, un’altra predisposizione a se stessa. Essa rimane oggetto vivo e luminoso perché, pur scaturendo da un passaggio illustrativo di un pezzo di corpo morto, attraverso l’energia pittorica conserva un’entità luminosa, che simbolicamente indica un’impercettibile e trasparente conservazione della vita. L’idea di Fioretto è quella di riportare sulla tela la storia di una carne avanzata perché, traducendo il vecchio detto napoletano ''simme carne e maciello'', usato molto bene nel teatro di Leo De Berardinis, egli dice che la nostra presunzione ci illude di essere ormai immortali, e non ci rendiamo conto che siamo tutti il riflesso simbolico di bocconcini di carne, che spesso non hanno neanche la possibilità e la fortuna di essere adibiti alle migliori confezioni di cibo per la sopravvivenza.

Dopo la mappatura del genoma, le grandi scoperte della genetica, l’avvento del nuovo rinascimento scientifico che sfocia nelle potenze della comunicazione, del virtuale e del riproducibile, gli uomini sentono meno la perdita della carne, sono rassicurati dalla prolificazione infinita e sperano che le condizioni di pro-creatività illimitata siano un nuovo orizzonte che abbatte qualsiasi limite. Cosa può fare, dunque, chi si muove nella minorità della pittura? Forse può sezionare quell’immagine urlante e silenziosa, che si pone dopo la disperazione del corpo senza organi ricostruito da Bacon. Fioretto esegue così il suo mandato; il tutto parte sempre da una superficie bianca, i primi gesti avvengono al centro della tela, aiutati da un pennello grande e dalla trama larga. Le pennellate ricordano la pittura gestuale orientale. Esse all’inizio sfiorano l’informale puro ed è da qui che poi inizia il vero procedimento. Il pittore ad ognuna di queste pennellate dedica un tempo che sprofonda nel dettaglio. Tutti i gesti vengono contornati e, a poco a poco, i pezzi di luce chiara e informe che erano stati scaricati in un primo momento sulla tela vengono lavorati anatomicamente, cercando di tirare fuori dal dettaglio un profilo, un’anca, un braccio, mezzo collo, un naso ed altri particolari di un corpo. Questi blocchi cromatici, che ben presto prendono le sembianze di masse carnine, ruotano nello spazio vuoto intorno a se stesse, sono lo specchio di se stesse e si muovono in una tensione che riflette la loro stessa energia.

In alcuni dei lavori, il fruitore può, inoltre, intravedere dei pezzi pittorici a lato della massa che, come finestre, mostrano un residuo di lavorazione cromatica proveniente da una delle stratificazioni precedenti del processo esecutivo. È una maniera leggera e collaudata di direzionare la prospettiva dello sguardo e dare sostanza al dettaglio senza rinunciare alle sottili memorie che si nascondono sul fondo del quadro.

A differenza del corpo dissestato di Bacon, esse partono dalla ricostruzione di una massa che per l’artista contiene una doppia valenza: negativa e positiva. Infatti, Fioretto definisce questi lavori ipostasi ed ectopie, e li contrassegna con la sigla TNM ed un numero progressivo. Le ipostasi per loro cultura richiamano a riferimenti filosofici. Il neoplatonismo fu una forma di monismo idealistico, nel quale il concetto di uno perfetto e forse inconoscibile era ritenuto l’idea ultima dell’universo. Secondo i neoplatonici le ipostasi erano delle irradiazioni e delle emanazioni dell’uno, tra cui la più lontana tra tutte è il cosiddetto nous (intelletto puro). Plotino ebbe a lavorare sull’idea dell’emanazione, egli disse che a partire dall’uno si estendevano diverse sostanze e livelli di realtà. Secondo questi la luce è un’emanazione che si espande da una fonte luminosa inesauribile. Filone e Plotino concepiscono, dunque, le forme ipostatiche come logos. Cirillo ebbe a rivendicare la ''madre di Dio'' come unione intima e ipostatica con la natura divina; Cristo si sarebbe dunque incarnato tramite una compenetrazione delle due nature. Viceversa la parola ectopia suona come una vera e propria sigla, perché fondamentalmente essa significa molto poco, quasi niente. Invece, il monogramma TNM, che accompagna questi lavori di Fioretto, è ripreso dalla terminologia medica; esso in campo oncologico indica la specificità e l’entità di una massa tumorale.

In particolare la T sta proprio per tumore, la N per linfonodi regionali e la M per metastasi. Messe insieme, simbolicamente, le tre definizioni ipostasi, ectopia e TNM selezionano una particolare idea dell’oggetto artistico, che in questo caso si presenta al centro della tela come una massa cromatica dotata dei suoi punti di luce, dei suoi pieni e dei suoi vuoti. L’immagine della massa appare come un oggetto staccato dal corpo e che, contemporaneamente, ruota sullo sfondo monocromatico della tela. Ma la superficie colorata da cui esso si diparte appare anche come un nuovo corpo, forse il corpo unico che l’arte può mettere a disposizione dello sguardo: la tela. Il pittore riportando la carne sul proprio ''tavolo anatomico'' realizza un atteggiamento minoritario della pittura. Forse perché la pittura, detto proprio alla Deleuze e Guattari, è solo minorità. Il pittore parte dalla riproduzione di un’immagine ''maligna'' per ritrovare in essa dei punti di vuoto e di pieno. Il pieno è costituito dalla luce e il vuoto è alluso attraverso la minaccia della massa tumorale che si nasconde nell’immagine.

Si è sempre detto che l’artista facendo l’opera non può fare a meno di parlare anche della condizione della sua disciplina. Fare l’arte indica di per sé uno screening sullo stato dell’arte. Dunque, Fioretto è consapevole che le isotopie, dopo il contributo della fotografia ologrammatica, avrebbero potuto dare risultati più efficaci e spettacolari. La simulazione del TNM, con l’ausilio delle tecnologie di ricostruzione digitale, sarebbe stata più vicina ad una riproduzione scientifica. Insomma, il pittore sa di essere stato superato dalla tecnica, è consapevole del fatto che essa ha messo in discussione il valore generale dell’opera e la figura centralizzante del suo lavoro e spesso sa di essere un piccolo ed irriconoscibile artigiano (filosofo). Ma è proprio in questa condizione estrema di minorità, e quasi di in-potenza, che si trattiene lo spazio migliore per costruirsi una teologia della liberazione, ovvero una libertà conquistata con l’uso di uno strumento che è fuori dal tempo tecnologico presente, ma che di questo jetzt-zeit tenta di sviluppare l’indomita percezione di una dissociazione selvaggia.

Nelle emanazioni di Fioretto, pittoricamente, il digitale è comunque considerato ed ha funzione di specularità. Ma tale resa non basta a definire l’accadimento visivo della massa tumorale, perché essa è più forte e di per sé trasporta un’immagine che anche in una semplice riproduzione pittorica riesce a conservare il suo impatto.Ho più volte detto a Fioretto che i lavori da me preferiti sono le ipostasi TNM+4, TNM+6, oppureTNM+7, TNM+8 e TNM+9. In queste pitture la massa si avvicina maggiormente ad un apice di organicità/inorganicità, e non si distinguono più nasi, dentiere, profili, bocche etc…, prevalentemente la quantità di materia trattiene in forma energetica la sostanza della sua emanazione e della sua carnivora diramazione tumorale. Risultano, poi, particolarmente curiose anche le sequenze TNM+11, TNM+12, TNM+13, TNM+14, TNM+15 e TNM+16. Anzi scavando ancora oltre all’interno di questa successione, il TNM+12 ha raggiunto una sinteticità, un’asciuttezza ed una tensione interiore di gran lunga più intense. Qui il colore e il collegamento sinuoso del segno, spostandosi verso la figura rigorosamente contornata, giungono ad una omogeneità e ad una forma armonica forte, sfiorando il limite della plasticità tensionale.

Quest’immagine non prende le mosse dalla mistura carnina dosata molti anni fa da Mattia Moreni, ma si muove in un rapporto di colore e forma che addensa la massa corporale, l’alleggerisce nell’effetto immagine, la riporta sottilmente al dettaglio ambiguo tra il segno fisico e la dimensione psichica che evoca un al di là della corporalità stessa, ciò che potremmo chiamare la persistente corporalità del male.
È inevitabile che chi guarda queste sembianze si ponga il problema della metastasi dell’immagine stessa. Nella nostra società dello shopping, la rappresentazione è ormai incancrenita; il procedimento che presuppone e che realizza lo stato della sua forma comunicativa è metastatico e metastasico. Il pittore agisce nella minorità per far apparire in maniera più evidente la contraddizione. L’immagine è inghiottita dalla sua stessa massa tumorale: essa si crea e si distrugge contemporaneamente, in se stessa trova il vuoto e il pieno per autocrearsi ed autodistruggersi.

Forse è questo il metodo sottile e nascosto che ogni forma di comunicazione sfrutta per tenersi a galla nel tempo presente. Non ci può essere solo un aspetto positivo o solo un aspetto negativo in quest’immagine. È come se l’emanazione divina dell’ipostasi si confondesse con l’alterità visionaria della massa tumorale. Bene e male si espandono e si concentrano organicamente nella forma dell’immagine.Cosa rimane al pittore, visto che la sua azione è tutta concentrata sulla mediazione della tela. Diciamo che egli, come i mistici che erano lontani dalle ferree regole ecclesiastiche, contempla e invita a guardare al consumo della carne tenendosi lontani dall’usarla e dal mangiarla.

La carne è composta principalmente di fibre muscolari con una quantità variabile di grassi e di tessuto connettivo; il quadro, invece, di questa concretezza riproduce solo l’immagine e spesso solo l’involucro, facendo sparire i dettagli, la striatura delle fibre e la porosità dei tessuti. Il pittore spronato dal dono della sintesi, riduce, diluisce in un simbolo i frammenti di vita che si legano al doppio filo dell’energia e della morte. Di essi rimane soltanto un ambiguo agente visivo che però sulla nostra percezione, nel dubbio di non aver capito esattamente ciò che ci troviamo di fronte, agisce come quel gonfiore esasperato che si produce sul nostro corpo quando siamo feriti da un’ape mellifera e la sua arma resta incagliata nella carne di noi vittime del voyeurismo globale.

Gabriele Perretta



Giovanni Fioretto è nato a Napoli il 29 marzo 1962.
Attualmente vive ed opera in Italia ed in Corea del Sud


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