Nelle opere in mostra, il fotografo cattura frammenti di vita quotidiana, penombre di interni, oggetti e atmosfere dimesse. Si sofferma sulle rughe di un viso o su un murale, sui banchi vuoti di una chiesa, su una strada deserta.
Openmind gallery presenta la mostra fotografica di Nicolò Lanfranchi “Cuba in between”
La serata sarà allietata dal
violoncellista Issei Watanabe e verrà offerto un rinfresco.
Programma musicale :
Suite di Cassado , Sonata di Boccherini, Suite di Bach, Preludio di I.Watanabe
Un’altra Cuba
Fotografare Cuba è un rischio. Il cliché è in agguato in ogni calle di Habana
Vieja: le mitiche Oldsmobile anni Cinquanta color pastello, il vecchio in canottiera
che fuma il sigaro sull’uscio di casa, le facciate barocche dei palazzi spagnoli, i
caffè con la musica di Compay Segundo e i riti della santeria. Per non parlare dei
“luoghi hemingwayani” e dei “paradisi caraibici” di Varadero. Hasta la victoria e
Guantanamera, mojitos e “mulatas de fuego”, Tropicana e jazz d’antan: la Cuba dei
turisti.
Il suo obiettivo coglie - come di sfuggita - frammenti di vita quotidiana, penombre
di interni, oggetti e atmosfere dimesse. Si sofferma sulle rughe di un viso o su un
murale, sui banchi vuoti di una chiesa, su una strada deserta, su scorci laterali e
a prima vista marginali, che però svelano uno stato d’animo e cercano di penetrare
lo schermo che divide le cose dal loro significato, l’apparenza da una realtà che a
Cuba è spesso difficile da avvicinare e da afferrare.
I giovani ritratti e seguiti sulle spiagge, lungo il Malecon e nelle riunioni
notturne nei parchi dell’Avana ne sono un esempio. Adolescenti con i piercing e
l’iPod, con le chitarre e lo skateboard, con la T-shirt a stelle e strisce, le
scarpe da tennis, il gel nei capelli e una voglia di vivere e di sognare che è la
stessa dei ragazzi di Milano, di Berlino, di Los Angeles.
Anche questa è Cuba. E Nicolo', con le sue foto, ce la racconta.
(Giovanni Porzio, reporter)
Il tocco magico della lontananza.
Nella vita bisogna viaggiare attraverso mondi molto diversi da noi per trovare
quelli che ci corrispondono di più. Mi viene in mente riguardando le fotografie di
Nicolò, che ho seguito abbastanza da vicino in questi anni. Lui, per il giornale
dove io lavoro, ha raccontato megalopoli alla “blade runner” come Tokyo, scovando i
protagonisti di una creatività tutta declinata al futuro. Oppure ha esplorato i
quartieri di Vienna, in bilico tra tradizione austroungarica e inquietudini
postmoderne, tra il divano del Doktor Freud e il nuovo undergrodund musicale. Nicolò
è di sicuro un esploratore appassionato della contemporaneità (dare un’occhiata per
rendersene conto alla galleria dei ritratti del suo sito, popolato da designer,
architetti, musicisti, chef, in una collezione dell’up-to-date più vibrante).
Poi, circa tre anni fa, questo fotografo che pendola tra Milano e Berlino –
fortunatamente per lui, soffermandosi di più sulla seconda – mi venne a parlare di
un nuovo progetto: destinazione Nuova Caledonia. Ovvero, un posto a prima vista
eccentrico rispetto a lui, un luogo ancora all’alba del tempo, lontano dai
grattacieli firmati dagli “archistar” e dalle atmosfere super-glam a cui mi aveva
abituato. Mi stupì quando mi annunciò la prossima partenza. E mi ha stupito ancora
di più al ritorno dalla sua spedizione molto avventurosa, grazie a spettacolari foto
di natura. Una, in particolare, mi è rimasta impressa: si vede un bambino che corre
sull’acqua trasparente di una laguna. Sembra quasi in volo, senza peso; sullo sfondo
una cortina di alberi, che non sono le solite palme dei mari del Sud, ma
assomigliano più a un filare di pioppi. Un equilibrio inaspettato e commovente fra
ritratto umano e dimensione naturale.
È stata una rivelazione quest’altro occhio di Nicolò. Un reportagista ispirato,
attento, capace di descrivere una vita lontana da quella levigata che ci rassicura
alle nostre latitudini. Da allora si è spostato tra i vari continenti, riportandoci
angoli del pianeta remoti e per diverse ragioni straordinari. Come un’Eritrea che,
nonostante la miserevole condizione imposta dal regime di Isaias Afewerki, continua
a vivere con la forza della quotidianità e della sua storia.
Adesso arriva questo ritratto di “Cuba In Between”. Ci sono le immagini dinamiche
sul lungomare Malecon, con gli studenti in fuga da un’onda che scavalca la
massicciata. In parallelo ci sono immagini in un bianco e nero speciale, definitivo,
che esalta le asimmetrie architettoniche nella skyline dell’Avana e trasmette
all’osservatore un senso di sospensione della capitale: idealmente, ci si legge
quell’attesa di cambiamento politico e sociale ormai inevitabile sull’isola. Ecco,
sento che questa fotografia ha acquistato il “tocco magico” o, se si preferisce, la
sua maturità, fatta di rispetto della situazione che sta documentando e di sostanza
e profondità dello sguardo. Basta uno, al massimo qualche scatto, per avvicinare
realtà sideralmente distanti, che ci parlano subito della loro essenza. Che
l’obiettivo di Nicolò, grazie a questa magia, ci possa portare ancora più lontano.
(Mauro Querci , caporedattore centrale di Flair e scrittore)
Cosi lontano cosi vicino
"Le fotografie di Nicolò Lanfranchi su Cuba ci accompagnano all'interno di
quest'isola seguendo un andamento articolato: da un'immagine iniziale de l'Avana in
bianco e nero-una sorta di prologo urbanistico del racconto-, l'osservazione si
sofferma sulla vita quotidiana, colta all'esterno, nelle strade, tessuto connettivo
di un paese che accoglie e riassorbe i suoi abitanti restituendoli a un flusso
naturale, quasi organico, in cui le sospensioni e le pause hanno la stessa
cittadinanza delle azioni. Le immagini accennano gesti, con garbo e delicatezza,
senza conclamarli, tenendosi sempre un passo indietro rispetto all'iconografia più
classica e diffusa su questo paese. Il racconto si conclude con una serie di
ritratti di cubani di varie generazioni, in cui la naturale e pacata fierezza delle
proporie origini si alterna a un'affermazione anche un po' malinconica di simboli di
un'America così lontana e così vicina al tempo stesso"
(Emanuela Mirabelli, Fotoeditor di Marieclaire)
Una Cuva riflessiva fatta di visi e spazi illuminati dal colore. Una Cuba intensa
dove emergono sguardi densi di umanità e dignità e luoghi insolitamente silenziosi.
La visione di questo lavoro porta a soffermarsi su ogni scatto per assorbirne
l’intensità.
(Chiara Spat, fotoeditor di Grazia)
Per me la Cuba di Nicolò Lanfranchi è soprattutto quella del Calle G, una lunga (e
tormentata) strada periferica, diventata in questi ultimi anni il luogo di incontro
privilegiato per i giovanissimi di L'Havana. Qui ci vengono a suonare ma soprattutto
a parlare di tutto quello che passa loro per la testa: un facebook non virtuale
(internet è ancora un privilegio di pochi) dove le persone si incontrano e cercano
di capire insieme la realtà che li circonda. Lo stesso spirito che Lanfranchi ha
dimostrato verso i suoi soggetti. Con i suoi ritratti ci rivela una generazione
inedita, sfuggente, vicina più agli adolescenti di Gus Van Sant che ai ballerini di
salsa ad uso e consumo del turista più superficiale.
(Marco Finazzi, fotoeditor di Vanity Fair)
Inaugurazione giovedì 9 dicembre ore 18.30
Galleria Open Mind
via Dante, 12 - Milano
Orari: Lunedi 15:30 - 19:00, da Martedi a Sabato 10:00 - 13:00 / 15:30 - 19:00. Domenica e Lunedi mattina chiuso.
Ingresso libero