Torre Viscontea
Lecco
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Pierre Queloz e Achille Zoccola
dal 9/12/2010 al 8/1/2011
Martedi-venerdi 15-19, sabato e domenica 10.30-12.30 e 15-19

Segnalato da

Pierre Queloz




 
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9/12/2010

Pierre Queloz e Achille Zoccola

Torre Viscontea, Lecco

Realismo magico e fantastico. I due artisti propongono una pittura visionaria e metafisica che li accomuna nella ricerca di una percezione a livello emozionale.


comunicato stampa

Pierre Queloz

La pittura visionaria ha una lunga tradizione nella storia dell’arte. E’ una sorta di rappresentazione teatrale giocata dalla mente, un teatro delle meraviglie che fa interagire la realtà con il fantastico, in un vortice affascinante ma al tempo stesso inquietante, materializzazioni di stati d’animo opprimenti, pulsioni misteriose che sembrano urgere dall’inconscio, forse dalla paura, e forse anche da una volontà di esorcizzare antiche ferite dell’anima mai rimarginate. Si è tentati di avvicinare l’opera di Queloz a quella di alcuni fra i maggiori protagonisti del surrealismo europeo e il pensiero corre a Dalì,a Savino e a Delvaux,quest’ultimo cantore di un erotismo che presenta molti punti di contatto con la pittura di Queloz. Ma come non pensare agli incubi notturni di Fussli o a Goya e alle sue visioni fantastiche di grandi sconvolgimenti come le guerre,la miseria,la fame,l’odio,le paure? André Breton ha scritto che “surrealismo è automatismo psichico puro mediante il quale ci si propone di esprimere sia verbalmente che per iscritto o in altre maniere,il funzionamento reale del pensiero;è il dettato del pensiero con l’assenza di ogni controllo esercitato dalla ragione,al di là di ogni preoccupazione estetica e morale”.E sempre Breton,nel celebre “Manifesto del surrealismo”ha lasciato scritto che:”le merveilleux est toujours beau.N’importe quel merveilleux est beau.Il n’y a meme que le merveilleux qui soit beau.” L’arte di Queloz è all’insegna del meraviglioso,i suoi quadri sono popolati da figure animali ed umane che sanno imporsi all’attenzione dello spettatore per una sorprendente dinamicità,corpi che ci appaiono in movimento secondo sequenze ben delineate sulla tela.

Queloz confessa la profonda influenza esercitata sulla sua pittura dai grandi maestri del Rinascimento italiano,da Bellini a Botticelli a Tiziano e questa suggestione l’ha portato a”rivisitare”celebri dipinti di quell’epoca,calati però in un’atmosfera decisamente surrealista.Molti dipinti di Queloz denunciano la vicinanza al linguaggio di Dalì,forse il più fantasmagorico fra i pittori surrealisti,dotato d’una immaginazione complessa e giocata su insistenze parossistiche,rese con straordinaria abilità tecnica.Queloz stesso ci rivela che da adolescente rimase conquistatola certe composizioni di Dalì,dalla sua capacità di disegnare un oggetto o un personaggio che rappresenta contemporaneamente due cose diverse.In ogni opera di Queloz primeggia l’enigma,l’onirico,il mostruoso,l’ambiguo,tutto un mondo che sembra affiorare dalle profondità più insondabili dell’animo umano,angosce che assumono forme di un surrealismo inquietante,che si materializzano con una insistenza che lascia intravedere una ossessione compulsava,forse visioni che attengono al vissuto più intimo e nascosto dell’artista che trae ispirazione per le sue opere anche da testi filosofici,mitologici,polizieschi che ama sentir leggere da Lysiane,sua moglie,mentre intento a dipingere. La pittura di Queloz sgorga irruente dal suo pennello,quasi dettata da un’entità che guidi la sua mano.E lui stesso confessa di non preoccuparsi mai di sapere cosa sta dipingendo. La sua pittura,dice,è una continua metamorfosi,e le sue composizioni sono il prodotto di una incessante evoluzione”in corso d’opera”.E questo perché,sostiene ancora Queloz,in lui coabitano la realtà e l’immaginazione,così che la sua pittura può essere definita di volta in volta poetica e fantastica.Il dualismo che alberga in ogni dipinto,l’ambiguità,l’ambivalenza,noi li ritroviamo anche nella sovrapposizione di richiami all’arte antica e a quella contemporanea,in un gioco di specchi senza fine,così come le sue figure inquietanti,che sembrano provenire da mondilontani,da evocazioni medianiche,che attengono tanto all’umano quanto all’ultraterreno e in questa mescolanza sta a mio avviso,il senso più autenticodel messaggio pittorico di Queloz. Il suo surrealismo è perfettamente in sintonia con la lezione dei grandi maestri di questo movimento. Scriveva Dalì che “in base a un processo nettamente paranoico è stato possibile ottenere un’immagine doppia,cioè la rappresentazione di un oggetto che,senza la minima modificazione figurativa o anatomica,sia al tempo stesso la rappresentazione di un altro oggetto assolutamente diverso(…)

Il risultato di una tale immagine è possibile grazie alla violenza del pensiero paranoico,che si è servito,con astuzia e destrezza,della quantità necessaria di pretesti,coincidenze ecc., approfittandone per far apparire la seconda immagine,che in questo caso prende il posto della idea ossessiva. L’immagine doppia,di cui l’esempio può essere quello dell’immagine di un cavallo che è al tempo stesso l’immagine di una donna,può prolungarsi,continuando il processo paranoico,essendo allora sufficiente l’esistenza di un’altra idea ossessiva perché una terza immagine appaia ( l’immagine di un leone,per esempio ) e così di seguito sino alla concorrenza di un numero immagini limitato soltanto dal grado di capacità paranoica del pensiero”. Questa lunga citazione mi sembra illumini come meglio non si sarebbe potuto il mondo poetico e la tecnica di Queloz.Possiamo dunque dire che l’artista surrealista,e Queloz lo è senza alcun dubbio,crea immagini che contraddicono all’ordine naturale e sociale delle cose,mettendo a confronto,per esempio,due realtà che dovrebbero essere inconciliabili,inducendoci a credere che non siano fra loro antitetiche; in questo modo riesce a provocare un violento cortocircuito nel riguardante che si trova così proiettato in un ambito di allucinazione,di sogno,di incubo. Una celebre frase di Lautréamont ci sembra perfetta in questo senso:”bello come l’incontro casuale di una macchina per cucire e di un ombrello su un tavolo operatorio”. Leggere un quadro di Queloz significa immergersi in un mondo dai confini imperscrutabili,significa lasciarsi trasportare in una dimensione inquietante,certo,ma al tempo stesso consolatoria,la dimensione del sogno,che è una parte essenziale della nostra esistenza. Possiamo allora concludere con le parole di M. Nadeau,nella sua “Histoire du surrèalisme”: “(il surrealismo) non è un mezzo d’espressione nuova o più facile, non una nuova metafisica della poesia; è un mezzo di liberazione totale dello spirito e di tutto ciò che gli rassomiglia”.
Gianfranco Scotti

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Achille Zoccola

E’ comprensibile che si sia tentati di includere l’opera di Achille Zoccola nel variegato e complesso mondo del surrealismo. Gli esordi della sua pittura, tuttavia, e si parla degli ultimi anni ’50 e dei primi anni ’60 del secolo scorso, non hanno ancora nessun punto di contatto con il surrealismo. Solo negli anni ’80 Zoccola sperimenta nuovi percorsi che lo condurranno lontano, nella direzione di uno scandaglio onirico e fantastico dell’animo umano, territori inquietanti dello spirito, visioni che sembrano evocare angosce sepolte, incubi ricorrenti, dimensioni che vanno oltre la percezione immediata delle cose, ma un oltre che riecheggia in noi con accenti di disperante solitudine. I punti di contatto con il surrealismo diventano sempre più evidenti, specialmente con l’opera di un protagonista “anomalo” della temperie surrealista come Magritte. Ma Achille Zoccola non può essere circoscritto nell’esperienza pur luminosa dei grandi protagonisti di un movimento che ha impresso un nuovo corso alla storia dell’arte figurativa. La sua pittura si muove in diverse direzioni e fra queste c’è anche la componente visionaria, onirica, misteriosa. Prendiamo un’opera con più piani di lettura come “Passaggio” del 2002-2003. Ai nostri occhi si presenta una scena teatrale che riproduce un’architettura classica sostenuta da pertiche in uno spazio aperto, una enorme quinta di teatro al di là della quale non c’è nulla, c’è un vuoto misterioso e inquietante. Sullo sfondo del quadro un cielo drammatico e un gabbiano solitario che lo attraversa. Un viandante, ma forse un vescovo, sta per varcare la soglia del grande varco aperto nella quinta teatrale per passare oltre, calpestando un lungo tappeto rosso che si sta srotolando, come a indicare un cammino carico d’ignoto. E’ solo un’illusione, un passaggio senza senso, un salto nel buio. Ma l’interpretazione del dipinto è aperta, come sempre avviene nella pittura surrealista. La figura del viandante, che a volte assume le sembianze di un ecclesiastico, altre di un monaco orientale, è ricorrente nell’opera di Achille.

La ritroviamo in un altro dipinto di largo respiro, che ha per titolo “Meditazione”, datato 2009, una visione sublimata del lago di Como, nell’ora del tramonto, ricca di bellissimi giochi di luce. Un personaggio avvolto in un ampio mantello mosso dal vento osserva il paesaggio da un balzo della montagna in primo piano. C’è un’atmosfera sospesa, un annuncio di attesa in questa misteriosa composizione, un’inquietudine che è la cifra più autentica di tutta l’opera di Zoccola. La medesima figura ritorna in un altro suggestivo dipinto, “Processione”, a mio avviso uno tra i suoi più riusciti, ricco di un cromatismo ammaliante. La tela è interamente occupata da un paesaggio montano, con alte cime innevate sullo sfondo e un cielo percorso da nuvole cariche di pioggia. In questa visione, rarefatta e silente, notiamo su un’altura le rovine di una fortificazione, ma soprattutto cattura l’attenzione del riguardante il misterioso procedere su di un sentiero che taglia la montagna in primo piano, di un breve corteo. Un vescovo, o comunque una figura che ne evoca la dignità, scortato da quattro chierichetti che reggono un baldacchino, si avventura in questo aspro, inospitale paesaggio che rimanda alla pittura scenografica e maestosa di Caspar David Friedrich. Non è solo un divertissement intellettualistico questo incongruente corteo collocato nella desolazione di un paesaggio spettrale, privo di vita. C’è indubbiamente dell’ironia in questa scena ovattata nel silenzio e nella sospensione, ma vi si possono cogliere molti altri messaggi, altri interrogativi, come spesso avviene nelle opere di Zoccola, in cui risuonano precisi contatti con la poetica del surrealismo. Fra i suoi soggetti preferiti troviamo il lago, e la montagna che Achille privilegia su tutte le altre: il Barro. E’ noto che molti pittori amano insistere nella rappresentazione di un determinato soggetto, ne sono come soggiogati. E basterebbe ricordare Monet con la cattedrale di Rouen rivisitata le mille volte in diversi momenti della giornata per restituirci la magia della luce che modifica il senso dell’architettura o Giorgio Morandi e le sue nature morte incentrate sulle bottiglie dalle forme più diverse. Per Zoccola il Barro è una montagna-feticcio, ripresa da diversi punti di vista e in diverse ore della giornata, ma sempre riconoscibile, inconfondibile, anche quando inserita in un contesto che prescinde dalla realtà oggettiva del paesaggio di casa. Dicevo più sopra dei richiami espliciti a Magritte. C’è un quadro di Achille che a mio avviso più di altri rimanda alla poetica di Magritte. Questo quadro ha per titolo: “Il bene e il male” e risale al 1996.

Vediamo una poltrona al centro, sulla quale è steso un drappo rosso che ne nasconde le forme; l’insieme trasmette un disagio accresciuto da un cielo nero e tempestoso sullo sfondo. Il bianco uccello posato sul bracciolo e il serpentello che sembra aggredirlo aggiungono nuove chiavi di interpretazione a questo inquietante dipinto, denso di significati nascosti. In realtà, e questo è un caposaldo del messaggio surrealista, nulla è più segreto del visibile, dell’apparentemente leggibile senza fatica; si potrebbe dire che non c’è maschera più perfetta dell’evidenza. Un dipinto di forte impatto emotivo è “Paesaggio”, una visione controluce di un filare di cipressi che si stagliano davanti a un cielo infuocato colto nell’ora del tramonto. La teoria degli alberi ci richiama alla mente “L’isola dei morti”, celebre quadro di un pittore contiguo al movimento surrealista, Arnold Bocklin. Anche qui, in questa misteriosa sequela di cipressi che nascono da un primo piano già conquistato dal buio della notte, si ripropone quel senso di disagio, di attesa, di sospensione che caratterizza tutta l’opera di Zoccola, che si estrinseca in tematiche apparentemente diverse ma tutte riconducibli alla suggestione dell’inconscio, all’enigma, al mistero, al fascino di diverse chiavi di lettura di un’immagine, di una rappresentazione della realtà. In questo intrico polisemico, in questo corto circuito interpretativo, stanno il fascino sottile e l’essenza più profonda dell’arte di Achille Zoccola.
Gianfranco Scotti

Inaugurazione 10 dicembre ore 18

Torre Viscontea
Piazza XX Settembre, 5 - Lecco
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Ingresso libero

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