Improbabili equilibri 2005/2010. In mostra opere di matrice gestuale nelle quali i segni non sono mai schegge irrazionali ma perseguono un percorso interiore.
E' chiaramente delineato il percorso artistico di Ferdinando Capisani. E proprio nel
de-lineare che si riconosce con chiarezza la coerenza di un pensiero che da piu'
di 50 anni cerca sempre nuove derive espressive pur rimanendo ancorato ad una
caparbia coerenza formale. La linea, appunto, agisce da trait d'union in tutte le
esplorazioni dell'artista che non ha cessato di indagare le risorse ultime della
materia, riconoscendo anche nei rottami di scarto un ultimo generoso lacerto di
poesia.
La linea nella sua produzione coincide con la forza del segno, ora essenziale e
sintetica propaggine della figurazione ora intento programmatico che volge
all'astrazione, al depauperamento realistico per un esito puramente gestuale.
In Capisani, pero', nulla e' casuale: i segni non sono mai schegge irrazionali ma
perseguono un tracciato interiore, un alfabeto precisissimo che da anni sta
formulando un racconto del tutto personale, fatto di stratificazioni geologiche,
naturalistiche, temporali ed emotive.
Ogni intervento si incunea in un saper fare che attinge dal bacino della grafica,
delle tecniche di incisione e stampa e, soprattutto, dall'abile sfruttamento della
duttilita' semantica dei piu' svariati materiali. Nell'operato di Capisani si avverte
l'urgenza di de-costruire gli impianti formali tradizionali, sia nei supporti che nella
codifica dei formati che nell'elaborazione delle tecniche, per costruirne,
generarne di inediti. Cosi' il telaio ligneo puo' divenire elemento in vista che
compartecipa all'estetica del tutto, cosi' come la cornice, normalmente riquadro
estetizzante e decorativo, diviene in parte sostegno a cui issare la tela. C'e',
insomma, un atteggiamento che potrebbe apparire irriverente quanto invece, nel
suo sostanziarsi, e' al contempo rivoluzionario e ludico. Cosi' pure il ricorso al
digitale, che farebbe mormorare gli oltranzisti dell'accademismo, si fa strumento
col quale avventurarsi in contemporanei siti di sperimentazione. Si riscontra
nell'osservare le sue opere una sostanziale giovinezza di sguardo, sempre
disponibile al rinnovamento e al lasciarsi stupire da tecnologie ed espedienti
innovativi.
Fatta questa premessa non si rimane disorientati di fronte alla disinvoltura con cui
l'artista manipola pellicole sintetiche provandole col fuoco, che catarticamente le
libera dalla funzione originaria per restituire loro una impensata dignita' estetica, o
davanti a opere stampate su pellicola di acetato e adese a supporti di alluminio
dal perimetro volutamente irregolare. Anche il corrugarsi delle superfici che
rivelano una ricaduta libera e gioiosa di pieghe, selettivamente individuate
dall'artista, rimanda a una poetica decisamente anticonvenzionale.Se si osserva la
storia pittorica di Capisani si riscontra un altro elemento distintivo, quasi ossessivo:
lo stratificarsi delle linee e dei materiali, metafora del transito temporale e della
permanenza della memoria, unitamente al ricorso alla modularita' di molte opere,
pensate in multipli successivi, in tappe diverse ma complementari di un discorso
che pare ancora non essersi esaurito. La passione per la geologia e dunque per le
inclusioni minerali e fossili ha certamente contraddistinto molta della sua
produzione, ma pure l'indagine sulla natura e sul migrare delle stagioni, dei colori e
delle luci. Del tempo, in una parola.
E ancora quest'ultimo pare abbia generato nella curiosita' dell'artista un ulteriore
approdo: il tempo dell'abbandono e del rifiuto, dell'inutile e della negazione. I
rottami della discarica divengono percio' palestra della fantasia, strumenti ginnici
dell'inventiva dell'artista che li recupera, li rielabora e consegna loro un futuro nelle
lande dell'arte. Le lastre tipografiche esaurite del loro uso, sono ripercorse dal
paziente lavoro di acidi e smalti e divengono opere ora bidimensionali ora
tridimensionali, cosi' i tondini di acciaio inox sono piegati a disegnare alberi dalle
chiome di acetati dipinti o di acetati incisi da voluttuosi profili femminili.
Capisani nella scelta programmatica di oggetti di scarto, di carcasse
abbandonate mi rivela una riflessione piu' profonda, non meramente stilistica: in
un mondo nel quale campeggiano di giorno in giorno disastri naturali e causati
dall'uomo, recuperare metaforicamente il danneggiato, il distrutto significa
restituire speranza e nuova linfa vitale ad esso oltre a residuarne un barlume di
poesia.
Seppur anticonformista, Capisani rimane ancorato alla nostalgia del disegno, che
si esprime dagli anni '60, in una ricca galleria di nudi femminili. Visto, come si e'
detto, che l'artista non ama replicare se stesso, allora i nudi, alcuni di quel periodo
giovanile altri odierni, divengono segmenti figurativi incisi con puntasecca su fogli
di acetato, insolite matrici per una serie di stampe realmente inedite, nelle quali
alla precisione netta del segno fa da contrappunto il risentirsi della superficie in
pieghe, che si evidenziano anche sulla carta. A queste desuete matrici viene data
una insperata zattera estetica: divengono diafane presenze sospese nel vuoto e
appese, come frutti da cogliere, allo stelo metallico che, in giravolte di contorsioni,
ostende una rara e peculiare chioma. La forza della linea, devota all'eloquio della
pittura vascolare, si manifesta in queste opere doppiamente: nell'esito scultoreo
del fusto metallico piegato e nel segno incisorio denunciato dalle matrici.
Un'oscillazione costante si avverte pure tra il legame alla natura e alla descrizione
accurata di essa, quasi da rigore filologico da erbario, e la tentazione
all'astrazione, tra la solidita' del figurativo e l'irrequietezza dell'informale. In Capisani
questa dualita' stridente ha trovato un giusto equilibrio, una sorta di compromesso,
di patto di non-belligeranza, tale per cui gli esiti sono paradossalmente armonici,
visivamente impegnativi ma intrinsecamente completi.
Una riflessione la merita pure il concetto di stratificazione che nelle opere
dell'artista ha subito con evidenza una evoluzione o, meglio, una trasformazione
sintomatica di un ritorno all'essenzialita'. Se cioe' inizialmente lo stratificarsi era
sicuramente sostanziato di costrutti segnici ma pure di materiali, in una sorta di
collage e decollage articolati, che tendevano a sfondare nella tridimensione,
man mano la stratificazione e' divenuta impalpabile alternanza di strati e
memorie, stampata su acetati lasciati cantare al riverbero della luce o su pellicole
adagiate in un sistematico accartocciarsi su lastre irregolari di alluminio o su tele
fotosensibili.
In sostanza la stratificazione non e' piu' tangibile sovrapposizione ma diviene
evidenza immateriale, o quasi, di un processo che l'artista ha realizzato
concretamente per poi epurarlo delle scorie materiali, restituendo ad esso
l'integrita' del pensiero, l'essenzialita' autarchica dell'idea. L'espediente individuato
dall'artista si potrebbe definire con un ossimorico "stratificare nel togliere". Quello
che rimane e' l'eco, l'onda di risonanza, che se non si esplicita piu' nel sciabordare
rigoglioso dei materiali, acquisisce nerbo nella pura affermazione in superficie di
tracciati segnici cromatici e mentali. Capita pero' che, a volte, la tentazione
ultima dell'artista, quella cioe' di siglare l'opera attraverso la tradizionale manualita'
del gesto, abbia il sopravvento e allora l'intervento finale con smalti ne sancisce
ulteriormente, se mai ce ne fosse bisogno, la paternita' e l'unicita'.Infine e'
senz'altro da segnalarsi l'importanza della fotografia, intesa sia come mezzo
strumentale di riproduzione dell'esistente sia come scrittura di luce. La fotografia
nel senso canonico e' inclusa nelle rielaborazioni dell'artista ma pure la luce si fa
elemento sinergico e complementare nelle sue opere e viene, in tal senso, a
scrivere e descrivere storie figurate ed emozioni di cromie. Non e' un caso che
tanto spesso i materiali privilegiati siano trasparenti e permettano cosi' l'azione
performativa della luce e dello spazio.
In conclusione, il percorso artistico di Ferdinando Capisani e' in realta' non solo un
tracciato di pigmenti e linee ma soprattutto un racconto, i cui segni si sono di volta
in volta modificati ora incatenati in sovrapposizioni di materiali ora rasserenati in
linee essenziali, secondo un dictat interiore e formale assai coerente, che ha fatto
della fedelta' alla purezza del segno e della sperimentazione a oltranza il proprio
fiero carattere distintivo. -Elisabetta Pozzetti
Inaugurazione sabato 11 dicembre ore 17
Abitart
piazza Martiri, 33 - Carpi (MO)
Orari: Martedì - Venerdì 17-19 Sabato - Domenica 16-20
Ingresso libero