La Pendolare. Il progetto "L'arte in Crisi" curato da Stefano Taccone parte con la personale dell'artista calabrese che irrompe, con le sue performance, nello spazio della vita quotidiana, "ponendo spesso vere e proprie sfide agli spettatori e determinando l'apertura di nuovi orizzonti discorsivi".
L’ARTE IN CRISI IN FLY PROJECT
“Crisi Sociale”
La Galleria Franco Riccardo Artivisive dedica una sala, chiamata FLY PROJECT, nello spazio in Piazzetta Nilo 7 al progetto “L’arte in Crisi”, volto ad indagare, attraverso una serie di mostre personali, che si snoderanno nell’arco del 2011, tanto la “crisi” dell’arte stessa, quanto la “crisi” di altri ambiti per mezzo del linguaggio artistico. Questo progetto sarà curato dal critico Stefano Taccone con il contributo del poeta Gabriele Frasca e del musicologo Carlo Mormile. Il primo appuntamento è per il 15 gennaio 2011 alle ore 12 con la presentazione dell’intero programma e alle ore 18 con la prima personale in calendario: “La Pendolare” di Valentina Vetturi.
Valentina Vetturi irrompe, con le sue performance, nello spazio della vita quotidiana, ponendo spesso vere e proprie sfide agli spettatori e determinando l’apertura di nuovi orizzonti discorsivi. Con l'operazione “La Pendolare”, realizzata nell’ambito di Living Layers, progetto di domicilio per artisti curato da Wunderkammern in collaborazione con il MACRO, condivide otto ore al giorno per una settimana la “condizione palindroma” di coloro che quotidianamente affollano il “trenino della Casilina”.
Valentina Vetturi nasce nel 1979 a Reggio Calabria. È co-fondatrice del collettivo Radice Quadrata. Nel 2007 è artista in residenza presso la FAAP- Fundaçao Armando Alvares Penteado (San Paolo, Brasile) e quindi presso la Fondazione Pistoletto (Biella). Nel 2008 vince il Premio GAP – Giovani Artisti Pugliesi. Nel 2009 è selezionata per la XIV Biennale dei Giovani Artisti del Mediterraneo, Skopjie. Nel 2010 viene invitata a partecipare ad Ottobrata, programma di residenza a cura della Galleria Bonomo di Bari e vince il Premio Mario Razzano. Vive e lavora a Bari e a Roma.
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“L’arte in crisi”
È ormai oltre un secolo che il concetto di crisi riveste un ruolo di primo piano nel discorso sullo stato della civiltà occidentale, che pure, nel corso di tale periodo conosce un progressivo ed inarrestabile, benché tutt’altro che esente da critiche, processo di espansione e sconfinamento nell’ambito delle altre aree della Terra, imponendo i suoi modelli di vita ed i suoi valori. La globalizzazione non è altro che tale “occidentalizzazione del mondo” di cui Serge Latouche parla, guarda caso, fin dall’epocale 1989. Oltre tre decenni fa, allorché Jean-François Lyotard pubblica il suo influentissimo saggio sulla “fine dei grandi racconti” (La Condition postmoderne: rapport sur le savoir, 1979), il paradigma della crisi assurge pressoché a chiave di lettura privilegiata per l’accesso ad ogni singola disciplina. Gli ultimissimi tempi, con lo scoppio della più grave recessione mondiale dai tempi del crack del ’29; con il sempre più preoccupante fenomeno del surriscaldamento terrestre; con la crescente minaccia della scarsità di risorse energetiche ed alimentari a fronte di una mole di consumi che di anno in anno diviene costantemente maggiore ed una popolazione che è destinata ad aumentare vertiginosamente; con il radicalizzarsi della inadeguatezza delle istituzioni democratiche rappresentative, la cui impermeabilità ai bisogni ed ai desideri delle comunità che formalmente rappresentano appare sempre meno reversibile, conducono ulteriormente in auge tale categoria.
Parallelamente alla questione della crisi generale del nostro mondo si situa inoltre quella della crisi specifica dell’arte, ricondotta da Giulio Carlo Argan al «trapasso dall’artigianato, che utilizzava le materie e ripeteva i processi della natura, alla tecnologia industriale, che si fonda sulla scienza ed agisce sulla natura trasformando (e spesso degradando) l’ambiente». I tentativi di fronteggiarla messi in atto dagli artisti, che «esclusi dal sistema tecnico-economico della produzione, di cui pure erano stati protagonisti (...) diventano intellettuali in stato di perenne tensione con la stessa classe dirigente di cui fanno parte come dissidenti. (...) I rapidi sviluppi del sistema industriale, sia sul piano tecnologico sia sul piano economico-sociale, spiegano il continuo e quasi affannoso mutare degli orientamenti artistici che non vogliono rimanere indietro, delle poetiche o tendenze che si contendono il successo, e sono pervase da un’ansia di riformismo e modernismo». Il fenomeno delle avanguardie sarebbe leggibile, in altre parole, come risposta alla crisi della funzione dell’arte nella modernità. Il discorso della crisi dell’arte si intreccia dunque ben presto con quello del possibile esaurimento della spinta propulsiva dell’avanguardia, circostanza che, già proclamata fin dalla metà del XX secolo da Cesare Brandi (La fine dell’avanguardia, 1949), diviene comunemente accettata dalle soglie degli anni ottanta, ovvero, e non a caso, in concomitanza con l’avvento del postmoderno, allorché, sempre non a caso, Argan scorge nell’emergere della Transavanguardia una «fase terminale» in cui «l’arte sembra avere perduta anche la forza di vivere la propria crisi».
L’ultimo trentennio procede così, mentre la dottrina neoliberista, con la sua famigerata strategia triadica (deregolamentazioni, privatizzazioni, tagli alla spesa pubblica), dilaga in tutto il mondo, all’insegna della sempre più spinta riduzione della creazione artistica alle logiche del mercato, ed alla correlata erosione di ogni proposta ad esse non immediatamente vincolata. Se la recessione globale, colpendo gravemente, come dimostra Adriana Polveroni nel suo recentissimo saggio significativamente intitolato Lo sboom (2009), anche il settore degli affari legati all’arte contemporanea, infligge, nel corso dell’ultimo biennio, un duro colpo a tali logiche e, di conseguenza, apre nuovi spazi per discorsi d’alternativa, tanto nel sistema dell’arte, quanto in quello sociale in genere, è ora il momento di elaborare e verificare l’efficacia di tali discorsi alla luce della necessità di colmare i vuoti che si sono venuti a creare.
Guardare in faccia la crisi, affrontarla di petto, cercando, sulla scorta dell’insegnamento di Socrate, il momento maieutico che ne può derivare costituisce il motivo ispiratore del progetto, procedendo da una visione dell’arte come linguaggio del confronto con la totalità dell’esistente e strumento di emersione delle sue contraddizioni, in virtù della sua tipica facoltà di rendere, come spiegava Bertolt Brecht, cristallino e fluido ciò che è torbido e vischioso e partendo dal presupposto che, contro ogni ossessiva teoria derealizzante e citando ancora una volta Argan, «nulla al mondo è, in sé, razionale, ma nulla c’è di tanto irrazionale che il pensiero umano non possa razionalizzare». L’arte è dunque “in crisi” in quanto immersa in una condizione di crisi che riguarda il suo stesso statuto, ma è anche “in crisi” in quanto il suo linguaggio è calato nel cuore della crisi di altri ambiti e discipline. La ripartizione prescelta (“crisi democratica”, “crisi ecologica”, “crisi economica” e “crisi sociale”), lungi dal derivare da una presunta convinzione che ogni aggettivo connoti una crisi distinta e separata dalle altre, ché anzi si ritiene esattamente il contrario, trova il suo punto di raccordo proprio nell’arte, intesa come territorio di una peculiare intersezione tra linguaggio e realtà, in un contesto, come quello del capitalismo in età postfordista ove queste due polarità sembrano più che mai compenetrarsi.
(Stefano Taccone)
Immagine: Valentina Vetturi, La Pendolare, 2010
Addetto stampa
Alessandra Savastano
Tel: 081 42 88 249 - 320 97 76 814
Aperitivo di presentazione progetto: Sabato 15 gennaio 2011 ore 12
Inaugurazione: Sabato 15 gennaio 2011 ore 18
Galleria Franco Riccardo Artivisive - Fly Project
Piazzetta Nilo, 7 (II piano) - Napoli
dal lunedì al venerdì ore 11-20
Ingresso libero