Museo d'Arte Contemporanea di Villa Croce
Genova
via Jacopo Ruffini, 3
010 580069 FAX 010 532482
WEB
Meri Gorni
dal 17/1/2011 al 22/1/2011
mart-ven 9-18.30; sab e dom 10-18.30; lunedi chiuso

Segnalato da

Massimo Sorci




 
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17/1/2011

Meri Gorni

Museo d'Arte Contemporanea di Villa Croce, Genova

Parole. L'artista da sempre pone al centro del suo lavoro la scrittura e la lettura, e le sue opere sono legate profondamente al mondo della parola. In mostra, oltre a piccoli libri di poesia stampati e rilegati a mano dall'artista, e' allestito 'Vocabolario alla voce:..', una raccolta di video in cui ad ogni parola corrisponde un video.


comunicato stampa

A cura di Elisabetta Longari

PAROLE è il titolo del progetto che l’artista Meri Gorni presenterà al Museo di Villa Croce il 18 gennaio 2011. L’artista da sempre pone al centro del suo lavoro la scrittura e la lettura e le sue opere (video, fotografia, disegno, installazione, performance, libri) sono legate profondamente al mondo della parola.

In mostra, oltre a piccoli libri di poesia stampati e rilegati a mano dall’artista, verrà allestito il suo vocabolario. “Vocabolario alla voce: …”, lavoro iniziato nel 1997, è una raccolta di video in cui ad ogni parola corrisponde un video. “In ogni video cerco di restituire alla parola quell’immagine affettiva che le appartiene e che la mente razionale ha separato: infatti, ciò che muove la mia immaginazione e che mi spinge verso una parola, non è solo la conoscenza, ma prima di tutto un’emozione”. Questo è la riflessione di Meri Gorni citata dal libro d’artista, stampato in 70 copie numerate e firmate, che verrà presentato durante la mostra e che sarà accompagnato da uno scritto di Elisabetta Longari.

Elisabetta Longari
Scrittura al vivo

Il lavoro di Meri Gorni si fonda in larga parte sulla scrittura, o meglio, sul gesto che traccia indifferentemente disegni e parole, come se muovesse direttamente dalla fonte etimologica: graphein in greco antico significa tanto disegnare quanto scrivere, e solo in un secondo tempo si è operata una distinzione creando termini diversi per designare le due azioni. I suoi primi lavori sono dipinti che prendono vita dall’articolazione di una sorta di scrittura cuneiforme; le superfici vibrano di segni che, simili nella forma a rondini stilizzate, come sciami di uccelli in volo, creano improvvise e impreviste condensazioni e dilatazioni. Le sue prime prove pittoriche sono già scrittura per immagini, ne hanno il ritmo e rispondono a un desiderio latamente narrativo. Poi Meri Gorni incontra la poesia, il suo flusso che sente quasi come un corpo a corpo, un’im-mersione; poiché il suo fare, a prescindere dal mezzo espressivo prescelto, non può prescin-dere dal corpo: qui perfino la parola è corpo che il profondo senza nome riesce a darsi per rendersi parzialmente visibile.

L’autrice, “collezionista” di parole e immagini, ha trovato presto anche alcuni oggetti, tra cui principalmente fotografie (ovvero testualmente: scritture di luce), d’epoca, virate seppia o in bianco e nero, che devono avere risvegliato in lei una sorta di pietas. Ha sentito la necessità di rianimarle, salvandole dall’indistinto brusio degli oggetti accumulati alla rinfusa nei mercatini, per organizzarle come perle di una rarefatta collana, piena di vuoti come la memoria. Affioramenti. Della fotografia, come della parola e del segno, Meri coglie il lampo inspiegabile della presenza, la ricchezza dell’inespresso, caratteristiche proprie di ogni oggetto, anche del più semplice e consueto. La realtà “passata” al filtro dei suoi occhi fa crescere nei nostri una specie di strana benevolenza mista a interesse, ciascuno scoprendosi contagiato dalla cifra affettiva che sprigiona dalle apparizioni che danno voce alla peculiare metafisica del quoti-diano di Meri Gorni: porte, finestre, stanze, giardini, libri, tazze, tavoli, vasi e piante…

La forma prediletta del libro prolifera e attraversa come un Lietmotiv tutto il lavoro. “Il mondo esiste per approdare in un libro”; con buona pace di Mallarmé, esso è da Meri utilizzato tanto come oggetto vero e proprio quanto sotto forma di rappresentazione. È l’elemento ricorrente anche nei disegni che hanno una semplicità disarmante, vagamente infantile. Il segno, esile, netto e preciso come la cicatrice lasciata da un bisturi, porta con sé l’idea dello scavo e dell’incisione, richiama la funzione del cesello, ritaglia le sagome di quanto è essenziale. S’incarica anche di dire della fragilità di ciò che è umano, assediato com’è da tutto quel bianco che dilaga e sembra poterlo sopraffare da un momento all’altro. Alla labilità del segno corrisponde la deperibilità dei materiali poveri, in primis l’amata carta, supporto tra tutti il più sensibile. Le strutture più monumentali cui Meri ha dato forma sono colonne composte da libretti (1996-2007) stampati personalmente a mano utilizzando caratteri di piombo, impressi uno per volta, come un amanuense dell’era gutemberghiana. Il dispositivo creativo posto in essere è il seguente: Meri sceglieva un poeta e un artista e, dopo avere invitato il poeta a scrivere un componimento appositamente per il progetto, questo veniva consegnato direttamente all’artista che era anche il primo lettore della poesia e che liberamente elaborava il proprio contributo.

Questo procedimento mette in luce un altro aspetto fondamentale del fare di Meri Gorni, la sua vocazione a costituirsi come luogo d’ascolto e di scambio interpersonale (penso ai numerosi libri “collettivi” da lei concepiti e realizzati chiamando a collaborare attorno a un tema molte persone di varia età e provenienti da ambiti culturali diversi). Il carattere volutamente semplice e l’effetto “home made”, che sono garanti in larga misura di alcuni valori portanti della poetica di Meri quali la concretezza e la condivisibilità, permangono nel lavoro anche quando l’autrice sceglie il mezzo del video, che nelle sue mani sembra ritrovare un sapore pastoso, quasi archeologico, simile a quello dei videotape degli anni sessanta e settanta, sporchi e indifferenti all’idea di perfezione tecnica. Se l’arte parla della vita, allora sarà sempre spuria, fatta di contaminazioni, prima fra tutte quella tra immagini e parole.

Le cifre più autentiche del fare di Meri, scrivere per immagini e disegnare con le parole, trovano nei video una particolare ampiezza d’espressione e d’intreccio. Con l’utilizzo di questo mezzo sta componendo i lemmi di un vocabolario visivo, che attualmente è a quota trentacinque. Le voci tra loro instaurano numerosi, sottili e intricati sistemi di echi e riscontri: Parola(2006) e Ricordo (2000) introducono le tematiche filosofiche centrali della ricerca e dell’illuminazione; in Strada (2001) i capelli neri, percorsi da un occhio molto ravvicinato e percepiti come fili di un labirinto, richiamando la fisicità del flusso della scrittura, stabiliscono un ponte con la selva vertiginosa del Libro (2001), in cui le parole ordinate di un testo vengono perquisite una a una da uno sguardo inquieto, mentre sembra che scorrano, fuggano, si fermino, a volte quasi si gonfino. Della scrittura, “infinito intrattenimento” secondo una felice immagine di Blanchot che sembra posta al cuore del lavoro di Meri Gorni, questo rispecchia proprio la natura incessante del work in progress, un dire che è continua approssimazione mai definitiva.

Inaugurazione 18 Gennaio 2011, ore 18

Museo d’arte contemporanea di Villa Croce
via Jacopo Ruffini, 3 - Genova
Orario: mart-ven 9-18.30; sab e dom 10-18.30; lunedi chiuso

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