'Seduzione e morte. Si gioca tutto tra questi due estremi il lavoro di Paolo Schmidlin, scultore eccentrico e raffinatissimo, quasi maniacale nella cura del piu' piccolo e solo apparentemente insignificante dettaglio o difetto anatomico senza mai cadere nella banale tautologia del piu' vieto realismo, e men che meno in quella un po' ammiccante e furba dell'iperrealismo.' A. Riva
Presso Pizia arte a cura di Patrizia e Manuela Cucinella Mostra personale dello scultore PAOLO SCHMIDLIN.
Alessandro Riva nel testo critico che accompagna la mostra scrive:
Seduzione e morte. Si gioca tutto tra questi due estremi il lavoro di Paolo Schmidlin, scultore eccentrico e raffinatissimo, quasi maniacale nella cura del più piccolo e solo apparentemente insignificante dettaglio o difetto anatomico - una macchia sulla pelle, un eritema, una ruga, la linea d'un bitorzolo o di una smagliatura - senza mai cadere nella banale tautologia del più vieto realismo, e men che meno in quella un po' ammiccante e furba dell'iperrealismo. Quella di Schmidlin è una folle rincorsa dell'arte contro il potere di disfacimento del tempo e dell'incombere della morte, e allo stesso tempo un irriverente gioco a rimpiattino con i miti della bellezza e della giovinezza e con il culto un po' perverso delle terapie estetico - chirurgiche volte a sottrarre l'uomo - e soprattutto la donna - all'incedere degli anni, è una danse macabre spietata e irriverente volta a spogliare lo star system della sua folle utopia di volare oltre - e fatalmente contro - le leggi di natura.
Eternamente giocato sull'ambiguità (ambiguità sessuale - ''non a caso'', dice l'artista, ''amo molto i trans, con il loro voler sfidare a tutti i costi il destino: in loro c'è qualcosa di tragico e sublime'' - ma anche quell'ambiguità che nasce dalla mescolanza tra bellezza naturale e artificiale, tra giovinezza e vecchiaia, tra vitalità e decadimento, tra erotismo e malinconia, tra divertimento e tragicità ), il lavoro di Schmidlin è una sfida ai canoni della bellezza imposti dal sistema della moda e dall'industria della cosmesi - quell'industria che, coi suoi modelli standardizzati e preconfezionati, produce quotidianamente quei personaggi pirandelliani in bilico tra disfacimento fisico e artificial beauty - ''donne'', come le definisce l'artista, ''ancora belle che camminano sul baratro della vecchiaia'' - che costituiscono ormai la riserva di caccia, il bacino prediletto di immagini e memorie da cui l'artista trae spunto per creare il suo strano universo di comparse e di fantasmi strappati per sempre alla caducità del tempo e della storia, quella sorta di strana e bizzarra freack gallery, quell'inquietante e privato museo delle cere e degli orrori, dove non c'è spazio per la caricatura ma solo per la tenerezza, per la pietas, per la malinconica presa d'atto di quella farsa tragica e grottesca che è la vita, con tutto il suo contorno di debolezze e vanità , di ambizioni frustrate e aspirazioni mancate, di ridicole mascherate e drammatiche cadute. Nella sua foga certosina e minuziosa di testimoniare insieme la bellezza e il disfacimento, il fascino della giovinezza e l'incombere lento ma inesorabile del tempo, c'è in Schmidlin una disperata volontà di esorcizzare il proprio terrore della morte e la consapevolezza di esserne egli stesso testimone e complice, c'è la certezza di non poterglisi sottrarre e il tentativo di fermarne, nonostante tutto, l'ineluttabile incedere - e non sarà un caso che l'artista ammetta esplicitamente di associare alla bellezza un vago senso di morte: ''non mi interessa'', dice, ''la bellezza da passerella televisiva, ma quella che racchiude in sé un'ombra di transitorietà , come il presagio di un disfacimento''.
Ecco allora che il riferimento a Hollywood, ai riti e ai miti dello star-system cinematografico e televisivo, con il loro miscuglio di bellezza autentica e artificiale, di sacro terrore del decadimento e sadica volontà di sbatterlo in prima pagina sui giornali - spazzatura, con la loro congerie imbellettata e siliconata di attricette dedite al culto della forma fisica perfetta e di bellezze già sfiorite ma tenacemente attaccate a un passato che non vuol passare, diventa metafora e paradigma universale di una civiltà  quella occidentale - che ancora oggi, a più di trent'anni di distanza dall'uscita del celebre libello di Guy Debord, si rispecchia ancora perfettamente nella descrizione che il filosofo francese ne diede nella Società dello spettacolo  come di una ''Weltanschauung divenuta effettiva, tradotta materialmente'', di ''una visione del mondo che si è oggettivata''. E di questa visione spettacolarizzata del mondo  filtrata attraverso decenni di bellezze da cinematografo e da passerella televisiva  divenuta ormai essa stessa il mondo, il paesaggio naturale e il naturale orpello del nostro mondo di tutti i giorni, quelle di Schmidlin appaiono come le silenziose vestali, i numi tutelari, gli archetipi visivi, fissati per sempre nella durezza e nella duttilità della terracotta, con l'espressione vitrea e immobile di certe statue del tardo ellenismo - nel cui sguardo si conserva però, stranamente, un che di vivo, di emozionale, di sordidamente palpitante, quasi che dentro di loro si celasse ancora, per una sorta di osmotica memoria ancestrale della forma o della materia, il ricordo o il fantasma della vita che - da vive  esse sprigionavano un tempo.
Pizia Arte
via Giovanni XXIII s.n.
Tortoreto Lido (TE)