Sala del Silenzio
Bologna
vicolo Bolognetti 2

Egle Mammi
dal 7/6/2000 al 8/7/2000

Segnalato da

Vittorio Riguzzi



approfondimenti

Egle Mammi



 
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7/6/2000

Egle Mammi

Sala del Silenzio, Bologna

Artista bolognese attiva da oltre un ventennio Egle rappresenta sicuramente un caso eccezionale nel panorama artistico bolognese: un talento fuori dal comune rimasto per anni entro le mura del proprio studio, senza mai il desiderio reale di lasciar fuggire le proprie opere in direzione della conoscenza altrui, quasi esse "avessero ali per proprio conto, che le conducono nell'iperuranio dell'arte". E quelle ali, i quadri, le tele, le installazioni di Egle paiono averle veramente tanto è la leggerezza e il fascino etereo che, pur nella lavorata, scabra sostanza materica che le si offre da supporto, riescono a comunicare al fruitore.


comunicato stampa

In data giovedì 8 giugno 2000, alle ore 18.00 inaugura presso la Sala del Silenzio, vicolo Bolognetti 2, la mostra personale di pittura astratta di Egle Mammi, artista bolognese attiva da oltre un ventennio.

Egle rappresenta sicuramente un caso eccezionale nel panorama artistico bolognese: un talento fuori dal comune rimasto per anni entro le mura del proprio studio, senza mai il desiderio reale di lasciar fuggire le proprie opere in direzione della conoscenza altrui, quasi esse "avessero ali per proprio conto, che le conducono nell'iperuranio dell'arte". E quelle ali, i quadri, le tele, le installazioni di Egle paiono averle veramente tanto è la leggerezza e il fascino etereo che, pur nella lavorata, scabra sostanza materica che le si offre da supporto, riescono a comunicare al fruitore.

Certamente un artista da scoprire e valorizzare, che non lascerà indifferenti i visitatori, critici e amanti dell'arte.


Dialettica tra vita vissuta e sogno infinito nell'opera di Egle Mammi

Il percorso artistico di Egle Mammi, articolato in una produzione eclettica per l'uso di materiali e soluzioni stilistiche, disegna una trama narrativa che offre al lettore tutto il potere evocativo di un romanzo per immagini. E' difatti una storia di esperienze interiori riflesse nell'atto creativo quella che si che snoda lungo opere di quasi vent'anni di attività: pittura astratta e composizione materica che unite giungono fino alle sfere di una metafisica del sogno, ravvisabile nei significati psicologici di delicata ma incisiva evidenza.

Nel gruppo dei paesaggi ad olio e solvente, degli anni '80, è riconoscibile una fase di ricerca in cui il colore viene ad essere l'elemento sul quale Egle sperimenta i più tardivi effetti dell'elaborazione stilistica e degli interventi corrosivi sui materiali. Queste opere sono accarezzate da un fascino che fa di esse non solo il tratto formativo del percorso dell'artista - preludio alle successive opere ora solo in potenza e meta successiva di una ricerca interiore - ma un ciclo a sé che ha valore e dignità autonomi, tanto da potere essere considerato pienamente "un periodo".

Il gruppo dei "deserti", tele dipinte con acrilici e sabbia, prelude alla tecniche miste e ai nuovi materiali. Hanno l'inquietante parvenza di rilievi satellitari, come cartografie che rivelano increspature montuose, bizzarrie geologiche, correnti ed eventi atmosferici in prossimità dell'acqua i cui riflessi metallici, come di una marea che s'infrange sulla riva, si mostrano alla luce del sole.
Qui, come nelle prime opere, sono i temi spirituale l'uno, terreno ma non meno etereo l'altro, dell'amore e del deserto, che s'incontrano come i due opposti della femminilità e della maschietà. Un dualismo questo che si esprime ancora nei motivi ad un tempo iconici e morali della solitudine e dell'universale, dell'aridità e del mistero della vita, fino agli ampi gesti pittorici che cantano sulla tela l'impetuosità, la freschezza, la semplicità rappresentate nel fragore muto dei due 'Il mare degli albatros" e nei mari cosmici offerti dalla serie delle "Costellazioni".

Sono le due facce dell'infinito, forse, il vero tema di Egle. L'infinito come desolazione, oceano che si perde in un orizzonte senza fine; l'infinito di un universo illimitato, muto, silenzioso, dalle atmosfere rarefatte dei deserti, terrestri e celesti, dei tramonti lunari. E l'infinito che trova la sua incarnazione nel mistero della femminilità, come sessualità e maternità, come universo introspettivo la cui lettura, la cui interpretazione rinvia ad un compito continuo e irrealizzabile per la ragione. E se ciò che spezza questa infinità nello scenario desertico, cosmico e terreno, sono la luce e l'acqua come sorgenti di vita, come possibilità di comprensione, giustificazione del mistero, così nel mistero della donna - nella licenza infinita di un'esistenza sospesa sopra il tempo come quella che s'intesse sui sogni, sul possibile - è l'esperienza della vita, dell'amore, della maternità a materializzare, a circoscrivere, ad incarnare appunto la propria realtà.
L'incontro dei mari con i deserti, allora, dei cieli con gli oceani all'orizzonte, delle lune con gli steli che le trattengono e le reggono, divengono metafore di quell'incontro più grande e talora drammatico che è tra il sogno e la vita vissuta, tra ciò che ancora non è e tutto può essere (il cielo che si apre sul vuoto, come sipario di un palcoscenico, nel segno di presentare una scena che non vediamo: la speranza de "Il vaso di Pandora"), tra l'anelito e ciò che è evento già accaduto, il passato, l'esperienza del vivere.
Tanto inquietanti quanto rassicuranti, sia l'uno che l'altro, in un gioco di rinvio emotivo che non lascia pace, non almeno quella esclusa dal processo continuo, dialettico dei contrari, a chi guarda da vicino, nel profondo, il significato dell'arte di Egle Mammi.


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