Totem. Attraverso i vari ambienti in cui si sviluppa la mostra, si possono 'attraversare' produzioni piu' o meno recenti, inedite e un grande intervento site-specific. Nel lavoro dell'artista la ricerca di una sintesi alternativa al dato visivo originario procede per specifiche sottrazioni e scomposizioni progressive.
La comparsa della parola totem (ote, la radice originaria del lemma, era utilizzata da alcuni nativi americani per indicare relazioni di parentela) risale al 1791, ‘importata’ in Occidente, per così dire, dal mercante -e interprete- inglese J. K. Long.
Nel 2011, ormai ben oltre l’alba di un nuovo millennio, l’uomo sembra aver quasi totalmente rimosso ogni traccia di meraviglia di fronte all’insieme dei codici visivi che regolano il suo immaginario e il continuo tentativo di appropriazione intellettuale dell’ambiente circostante. Perché totem, dunque. Ai primi studiosi del secolo passato a contatto con l’analisi sociologica delle tribù native, apparve presto piuttosto chiaro che queste strutture, rituali e materiali, al centro della vita attiva delle comunità stesse volessero rappresentare una possibilità alternativa di definizione di un ordine naturale, all’interno di un sistema in cui la struttura dell’universo riproduceva quella della società.
Più di un parallelismo con questa lettura può risultare utile ad introdurre, almeno in parte, la produzione di Simone Tosca. Nel suo caso, la ricerca di una sintesi alternativa al dato visivo originario procede per specifiche sottrazioni, scomposizioni progressive e senza alcuna volontà di arrivare ad un nuovo punto di significato: al contrario, il profilo semantico dell’oggetto non muta per niente generando così una nuova, primigenia meraviglia. Al nostro campionario di codici interpretativi viene offerta una seconda possibilità, un’alternativa oggettiva, a sua volta totalmente relazionata allo spazio e alle sue caratteristiche ambientali; come nel caso di Double Nickels, la complessa struttura in alluminio che trae origine dall’osservazione ‘ravvicinata’ di una pianta: la sua de-frammentazione in singole unità di colore ripropone un manufatto in realtà preciso gemello ideale del suo omologo naturale, orientandolo però verso un grado percettivo differente. In una simile prospettiva, gli elementi naturali appaiono come strumenti concettuali: non vengono scelti perché esteticamente rilevanti (“belli”) ma perché “belli da pensare” (per citare un’espressione di Claude Lévi-Strauss ne Il totemismo oggi, 1962).
Attraverso i vari ambienti in cui si sviluppa la personale, si può essere testimoni di un détour tra produzioni più o meno recenti, inediti e un grande intervento site-specific. Proprio la componente ambientale risulta variabile determinante nei lavori dell’artista (così come la pre-produzione, il momento di campionamento dati, che non si manifesta quasi mai in maniera esplicita nelle opere, e non è un caso): lo spettatore si ritrova solo (e solitario) nell’attraversamento di una natura e di un linguaggio trasfigura(n)ti; in questa discontinuità sistematica, l’unico legante possibile è costituito dal ricordo. Come amava ripetere il grande intellettuale argentino Eduardo Mallea “Il destino di ogni uomo è personale solo perché può accadere che assomigli a ciò che è già nella sua memoria”.
Riccardo Bonini
Inaugurazione Lunedì 28 febbraio ore 18:30
Confindustria
via IV Novembre, 132 (Palazzo Cheope) - Piacenza
Lun-ven 08:30-12:30 e 14:30-19:00 o su appuntamento
Ingresso libero