Galleria Comunale Santa Croce
Cattolica (RN)
via Pascoli, 21
0541 967802 FAX 0541 967803
WEB
Pasta di Romagna
dal 12/3/2011 al 1/5/2011
16-19
0541 966603
WEB
Segnalato da

Lorenzo Amaduzzi




 
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12/3/2011

Pasta di Romagna

Galleria Comunale Santa Croce, Cattolica (RN)

Lorenzo Amaduzzi e Daniele Lisi con i loro obiettivi sono entrati nell'ex pastificio Ghigi: in questa porzione di paesaggio urbano, cellula un tempo produttiva, ne hanno letto il sistema, hanno osservato i suoi ingranaggi, le sue arterie di grande corpo ora inerte.


comunicato stampa

Passaggi in fabbrica

E' stato poco prima dello sgombero dei macchinari della ex Ghigi di Morciano di Romagna nel 2010 che Lorenzo Amaduzzi e Daniele Lisi, fotografi, hanno posato uno sguardo diffuso sugli interni della fabbrica. La loro azione ha acceso il valore culturale della fotografia e la virtuosa attitudine ad uno sguardo ampio, capace di traslare diversi piani di significato. Una dilatazione visiva che diviene ontologica.

La macchina fotografica ha ancora una volta contribuito a ridefinire la realtà, anzi è la stessa realtà ad esserne ampliata o sostituita dalla ‘scrittura paradossale’ e accesa dell’immagine fotografica. Perché la fotografia ha il dono di documentare e agire come story telling. La Ghigi che Amaduzzi e Lisi consegnano appartiene ad un nuovo confine visivo, di insoluta indefinitezza, nel valore insospettabile della sospensione che precede il riuso o l’abbattimento di un sito industriale. Prima di essere archeologia, dopo essere stato un luogo dismesso. La loro ricerca pone al centro la libertà dello sguardo e una riflessione di ordine estetico, dove il concetto di scarto, di relitto diviene seducente ‘perturbazione’ in grado di assorbire nuove valenze. La coscienza dei luoghi apre spesso ad una molteplicità di passati, allude ad una funzionalità perduta e a un presente che possiede tutte le tracce temporali: è il “tempo senza storia” cui allude Marc Augè. Da quando l'invenzione estetica del paesaggio è divenuta fondante nella riflessione contemporanea il paesaggio è scoperto come 'qualità' generale del territorio, determinata dalla natura o dall'insediamento e dalle attività umane. Ma soprattutto rappresenta una presenza continua nello scorrere del tempo naturale. Lo stabilimento Ghigi, con elefantiaca, incombente mole costruttiva cresciuto nel cuore del paese, è diventato il suo monumento, a lungo è stato il suo baluardo economico, la sua cattedrale. E per quanto ogni reliquato industriale determini complesse ipotesi tutelari o di preservazione o di reimpiego l’insieme della struttura Ghigi si svela come un esempio ricco e complesso di stratificazioni morfologiche, fortemente caratterizzate, dotate anche di un potenziale simbolico elevato. La Ghigi è dunque un’area artificiale, frutto di un progetto cresciuto informalmente ma che ha definito topograficamente lo spazio urbano. Come molta architettura destinata all’industria non si è concessa divagazioni, ma ha corrisposto prestazioni codificate in base alle necessità produttive, quelle dell’uso e della economia. La crescita dello stabilimento e le sue addizioni spesso spontanee, assemblative, quasi pittoresche, è avvenuta secondo un processo graduale, relazionale alla produzione e al mercato. Connessa con quel lungimirante piano regolatore d'inizio secolo che Diomede Forlani formulò sui principi dell'ampiezza dotando la città di una coerente scacchiera infrastrutturale che guarda con anticipo una nuova 'civiltà delle macchine'. La storia del Pastificio Ghigi partecipa ad una lunga tradizione molitoria cresciuta sul fiume Conca e inizia a Morciano di Romagna, paese dell'entroterra di Rimini al centro della Valconca, nel 1870 quando l'artigiano Nicola Ghigi, pastaio e fornaio, diede il nome di famiglia al suo mulino. Nicola Ghigi
'impasta la semola di scelte farine di grano duro italiano all'acqua dei vicini Appennini'.

Nasce allora il pastificio. Per oltre un secolo il Pastificio Ghigi ha prodotto pasta secondo quell'antica ricetta. Un marchio da sempre legato alla tradizione, alla cultura della cucina italiana, come recitavano gli slogan commerciali. La pasta Ghigi è stata ai vertici della produzione negli anni '60. Poi sono venuti i tempi dello scioglimento, della divisione degli opifici, della liquidazione coatta. Le voci e gli echi delle attività, dei turni di lavoro, delle tracce annidate tra le pareti o negli armadietti degli operai, tutto partecipa al nuovo silenzio di spazi, divenuti labirinti vuoti ma capaci di conservare l’essenza del tempo. Con la scorrevolezza di un racconto le fotografie di Amaduzzi e di Lisi restituiscono al sito e alle cose quei significati che sono stati erosi dall'allentamento della memoria. La farina, ancestrale nutrimento, e poi la pasta, nel metaforico viaggio verso la sua trasformazione in un alimento divenuto espressione di cultura, è, con le macchine, il filo conduttore di questa esplorazione nel luogo che fu della sua fabbricazione, oggi orfano delle sue funzioni.

Il transito è stato documentato nella percezione delle tracce antropiche, nel respiro sospeso, nelle ombre dei vari corpi di fabbrica disfatti, nella salita o nella discesa ai reparti di produzione e alle sezioni; nell’attraversamento di spazi inorganici, tra i segni dell'abbandono, tra le cicatrici della passata attività e il colore residuo delle esistenze che qui hanno contribuito con il loro lavoro a dare identità all'economia del paese. Contemplare l'architettura, che ha già il germe e il sapore di rovina, equivale a un viaggio non solo nella storia, ma nel tempo.
Etiam capillus unus habet umbram suam

Lo sguardo posato dai due fotografi sullo stabilimento Ghigi esprime una diversa temporalità, che non è più l'attuale, né solo il passato, ma il sospeso. Lorenzo Amaduzzi e Daniele Lisi con il loro obiettivo digitale sono entrati in questa porzione di paesaggio urbano, in questa possente cellula un tempo produttiva, ne hanno letto il sistema, hanno osservato i suoi ingranaggi, le sue arterie di grande corpo ora inerte. Un corpo relazionale che si misura ancora con la vita di una comunità, con la stessa identità del paese.

I segni costruttivi della fabbrica, come palinsesti letti dai fotografi, disgiuntamente e autonomamente, attraverso una lingua attrezzata sulla fotografia contemporanea, acquistano la irresistibile evidenza formale di tutte le necessità che furono funzionali. Gli elementi della fabbrica scorrono nelle immagini, dagli scarichi delle granaglie con l'imboccatura per le aspirazioni, ai nastri trasportatori, i silos, i camini.
Ritmati e chiaroscurati emergono per il potere che ha la fotografia di non ‘riprodurre’ il visibile ma di contemplare territori inesplorati, il particolare e l'estensione, le fughe e le simmetrie, e le ombre. Come protesi e estensioni della memoria cui un intero paese stenta a staccarsene.

Annamaria Bernucci
Galleria Comunale S.Croce

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