LipanjePuntin - Amanda Vertovese
Una mostra che tra reale e fantastico cerca di ridefinire il rapporto tra l'uomo e il mondo animale. Massimo Giacon presenta alcuni disegni recenti e una selezione di lavori in ceramica, Antonio Riello manipola immagini e oggetti sul filo della finzione ironica e del paradosso concettuale, nelle sculture e installazioni di Arnold Dall'O gli animali sono situati all'incrocio tra tradizione e cultura popolare, sacralita' e imaginerie laica.
LipanjePuntin artecontemporanea ha il piacere di presentare Down the Rabbit Hole, una mostra di Arnold Mario Dall’O, Massimo Giacon e Antonio Riello che tra reale e fantastico si inserisce nel filone tipicamente contemporaneo di ridefinizione del rapporto tra l’uomo e il mondo animale.
In un’epoca in cui anche gli scienziati hanno difficoltà a fissare i confini tra il mondo degli umani e quello faunistico, gli artisti contemporanei hanno spesso radicalizzato l’utilizzo degli animali al fine di porsi una serie di domande sulle grandi questioni quali ad esempio moralità o responsabilità e il loro contrario. D’altra parte è pur vero che una delle ragioni della continua attrazione da parte degli artisti visuali per il mondo animale deriva dal fatto che la bestia, sia essa un coniglio o un giaguaro, è spesso associata con il concetto istintivo di creatività: indagare attraverso l’arte ciò che è animale conduce evidentemente ad una maggiore comprensione di quello che significa essere umani.
In Down the Rabbit Hole, Arnold Mario Dall’O, Massimo Giacon e Antonio Riello ci conducono, attraverso i loro lavori, in uno strano mondo in costante bilico fra fantasia e realtà, fra animalità e umanizzazione della stessa, dove però anche le cose più semplici, le più normali e banali appaiono buffe, stravaganti e apparentemente ingarbugliate. Così come in Alice in Wonderland, Dall’O, Giacon e Riello, accomunati come sono dalla necessità di incuriosire e stupire, ci servono il loro personale viaggio nel paese delle meraviglie: una continua, costante sorpresa dove senza dubbio, molto di più degli altri esseri, è il coniglio a dominare la scena. Un coniglio, come quello di Alice, che è il perfetto traghettatore fra il mondo della realtà e quello dell’arte contemporanea, un luogo fantastico ma per molti ancora incomprensibile.
Down the Rabbit Hole è realizzata in collaborazione con la Galleria Goethe e Superego Design.
Arnold Mario Dall’O (1960, Merano)
Allievo di Emilio Vedova ha studiato pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia. E’ stato docente di Design all’Accademia di Design di Bolzano dal 1998–2002. Artista versatile, passa dalla pittura all’installazione, dalla scultura alla Public Art. Ha esposto, tra le altre, alla Galerie Linder di Vienna, alla Gallerie Thaddeus Ropac di Salisburgo, alla Galleria Goethe di Bolzano, alla Galleria Deanesi di Rovereto, alla Galleria Civica di Trento, alla GAM di Bologna e alla Kunsthaus Casa d’Arte di Merano. In generale il suo è un grande lavoro di sintesi e di raccordo tra immagini religiose, della cultura popolare, degli atlanti di medicina o della cronaca in una sorta di accumulo che sprigiona forza e interesse. Non a caso la critica internazionale ha parlato dei suoi lavori come di veri e propri western files. Dall’O mette a confronto la cultura occidentale sempre ricca di fascino e poliedricità, con le sue trappole semantiche e le derive simboliche, ma anche con una straordinaria capacità di seduzione. Nelle sue sculture e installazioni presenti in Down the Rabbit Hole ritroviamo alcuni degli elementi ricorrenti della sua poetica: gli animali, spesso situati agli estremi come il cervo e il coniglio ma sempre all’incrocio tra tradizione e cultura popolare, tra sacralità e imaginerie laica. Ma è il coniglio il simbolo forte della sua poetica, un coniglio, come scrive Valerio Dehò “…che non solo è un animale simpatico, non aggressivo, legato al mondo dei fumetti e dell’infanzia, ma anche una sorta di anti-eroe: quindi la scultura diventa un anti-monumento, qualcosa che non vuole essere epico e celebrativo, conservando una sottile carica ironica”.
Massimo Giacon (1961, Padova)
Dal 1980 lavora a Milano sospeso tra le sue diverse attività di fumettista, illustratore, designer, artista e musicista. Protagonista sin dai primi anni '80 del rinnovamento del fumetto italiano inizia a collaborare nel 1985 con lo studio di architettura Sottsass Associati, proseguendo la sua attività nel design con collaborazioni con Matteo Thun, Studio Mendini, Sieger design, e progetti per Olivetti, Memphis, Artemide, Alessi, Swatch, Philips, Ritzenhoff, Telecom. Ha disegnato inoltre arazzi, tappeti, ceramiche, oggetti per la cucina; prodotto illustrazioni pubblicitarie; collaborato con stilisti e riviste di moda (Romeo Gigli, Elle, Glamour); creato allestimenti per esposizioni internazionali e animazioni per la televisione. Insegna a Milano all'Istituto Europeo di Design. Unendo le sue origini fumettistiche a un radicale talento creativo, da oltre vent’anni Giacon si conferma un autore inclassificabile, un talento visionario che inventa mondi e personaggi strabilianti spaziando tra disegni, pitture, illustrazione, pubblicità, opere digitali, progetti installativi, videogames e oggetti di design.
In Down the Rabbit Hole Massimo Giacon porta a Trieste alcuni disegni recenti e una selezione di lavori in ceramica realizzati per la collezione The Pop Will Eat Himself di Superego Design. Sono sculture, ceramiche, ma soprattutto giocattoli che come ci racconta Giacon “…sono ammalati di noi, come dei moderni martiri, subiscono la nostra corruzione e il nostro malessere, e ci guardano con aria dolente dai fogli delle mie stampe, dai miei disegni su carta, chiedendosi cosa mai è successo, e perché le cose sono andate così malamente. Sono personaggi pop, e allo stesso tempo sono anti-pop, e forse era destino che uscissero dai disegni bidimensionali per diventare degli oggetti tangibili, come se non riuscissero a rimanere confinati in un ambiente così angusto. Diventando oggetti perdono forse un po’ delle loro angosce, magari trovando dei collezionisti che li porteranno a casa e che li ameranno per quello che sono, nonostante quel che sono. Siete pronti a giocare con dei nuovi amichetti?”.
Antonio Riello (1958, Marostica)
Artista, ricercatore e docente, vive e lavora tra Milano, Marostica e Londra. È visiting professor di Fenomenologia del videogame in varie Università ed Accademie. Da molti anni si occupa di arte digitale. Nel 1997 ha realizzato la prima opera d'arte italiana in forma di videogioco dal titolo Italiani brava gente.
Ha esposto, tra le altre, al NGBK di Berlino, alla Neuhausen Kunstverein di Neuhausen, al Mart di Rovereto, alla Kunsthalle di Vienna, alla Fondazione Pomodoro e al PAC di Milano, alla Galleria Civica d’Arte Contemporanea di Palermo, al Freiburg Kunstverein di Freiburg, al Elgiz Museum di Istanbul, alla XV Quadriennale di Roma e in molte altre istituzioni e gallerie d’arte.
Da sempre Riello manipola immagini e oggetti sul filo della finzione ironica e del paradosso concettuale.
Il gioco, come procedura che manipola immagini e oggetti sul filo della finzione ironica e della sciarada concettuale, è la cifra stilistica che lega le sue invenzioni Le sue famose armi, siano Ladies Weapons in versione glamour o Kombatiepolo, realizzate come ceramiche settecentesche o come brillanti, altalene chiodate, bambole in pietra come statue classiche o biberon decorati con ragni, tavoli da tortura o killer cars, cavalli a dondolo pieni di chiodi acuminati, sono tutti oggetti che, nella fantasia dell'artista deviano dalla norma e che contrappongono il paradosso ai criteri del senso comune trasformando armi da guerra in accessori di moda.
I suoi nuovi lavori fotografici in mostra alla LipanjePuntin si chiamano Today’s Special e ci raccontano con la consueta ironia stralunata una storia di tradizione locale (fatta di spiedi e di grigliate) e di innovazione globale (strani animali esotici o addirittura simulacri artificiali). I panda in pentola così come i coniglietti pasquali di cioccolato allo spiedo non sono altro che una metafora artistica di uno stilema topico e attualissimo del nostro tempo. Con ambivalenza si mescola un feeling domestico associato al cibo - confortevole e rassicurante - con una spiazzante, buffa e improbabile crudeltà.
Inaugurazione sabato 12 marzo 2011, dalle 18
LIPANJEPUNTIN artecontemporanea
via Diaz 4 – 34121 Trieste
Orario di galleria: da martedì a sabato 15.30 – 19.30 o su appuntamento
ingresso libero