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Se Lilliput...
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27/11/2002

Se Lilliput...

Interno&Dumdum, Bologna

Mostra di Stefania Balestri. La formalizzazione di Stefania Balestri (Firenze) riguarda lo spazio intimo e le prevaricazioni emotive, immobilizzate e bloccate nella loro idiota fissita'.


comunicato stampa

mostra di Stefania Balestri

cura e testo di Colomba D'Apolito


inaugurazione:
giovedì 28 novembre 2002 ore 21

dal 29 nov. al 7 dic. dalle ore 18 alle ore 20
(dal 9 al 14 dic. su appuntamento)


La formalizzazione di Stefania Balestri (Firenze) riguarda lo spazio intimo e le prevaricazioni emotive, immobilizzate e bloccate nella loro idiota fissità. Sono rinchiuse in scatole di plexiglas trasparenti, visibili e inalterabili, nella loro gelata trappola. Ma tutto è così colorato e intrigante che possiamo illuderci nel gioco giocato, ripetuto e moltiplicato.

La moltiplicazione, come in questo allestimento, in un ideale condominio (scatole sovrapposte come piani di palazzi) costringe l'occhio a guardare in ogni singola abitazione e come guardoni ci troviamo ad osservarci nella vita dentro, in quella struttura miniaturizzata. Gulliver e Lilliput interscambiabili. Cucine, camere, salotti in miniatura, abitati da piccoli giocattoli retrò.

Le situazioni paradossali, gli incontri improbabili e di suggestiva surrealtà, mimano, nella loro fissità, un momento topico. Un tridimensionale frame di una storia che necessita un prima e preannuncia un dopo. E lo sguardo va sempre più nel fondo, nei particolari enormemente ingranditi delle fotografie specchianti, necessarie l'una all'altra, dietro ai colori tenui, ingenui, angelicati. Si arriva così alle commoventi preghiere in forma di ex-voto: il miracolo dell'armonia supplicata (icone realizzate con materiali eterogenei: cera, stoffa, giocattoli etc..).

Il mondo miniaturizzato di Stefania Balestri è il nostro mondo interiore. Tutti lo possediamo. Pochi sanno ri-guardarlo. E trarne la misura di paragone nei momenti di sconforto quando il dolore ci opprime e ci sembra insopportabile. Possiamo essere Gulliver o Lilliput, volendo…a nostra discrezione.


Stefania Balestri, diplomata all'Accademia di belle Arti di Firenze. Vive e lavora a Firenze.

Mostra personali recenti: 2002 La Corte Arte Contemporanea (FI) a cura di Lorenzo Bruni;
2001 Studio Mugnaini (FI) a cura di Colomba D'Apolito; 2000 Immaginaria (FI); Mercurio (Viareggio) a cura di Maria Perosino: 1999 Liba (Pontedera) a cura di Chiara Chelotti;
Mostre collettive recenti: 2002 Villa Caruso Bellosguardo (Lastra a Signa); 2001 Stazione Leopolda (Firenze); Itinerante (Tokio); 1998 Trevi Flash Art Museum (Trevi)



Se Lilliput …
testo di Colomba d'Apolito

Se abitassimo a Lilliput ed improvvisamente arrivasse un essere mostruosamente più grande di tutto quello che conosciamo e ci osservasse dall'alto delle sue dimensioni di montagna semovente, la percezione del nostro mondo verrebbe a mutare attraverso il cambio del punto di vista. E' quello che immediatamente succede guardando le scatole di Stefania Balestri. Ci sentiamo tanto Gulliver e guardiamo questi mondi in miniatura ricostruiti usando piccoli oggetti, giocattoli degli anni '60 ( che ognuno ha o ha avuto la tentazione di collezionare), con la segreta speranza di avere il controllo - un controllo - un qualche tipo di controllo su ciò che ci circonda. Sono evidentemente "piccole cose" che riproducono il mondo conosciuto del quotidiano domestico, ma che non generano esattamente quel sentimento di sicurezza e gratificazione che ci si aspetterebbe davanti ad oggetti da gioco: piccoli orsi, piccole bambole, piccole cucine, piccoli tinelli, piccole tavole; perché seduto sul tavolo al centro c'è un mostro, un dinosauro fuori proporzioni che presiede al luogo in cui si consuma il pranzo familiare, un orso che esce dall'oblò di una lavatrice.

"Ti avevo detto di..", sembra di sentire la voce arrabbiata della mamma che da piccoli ci aveva ordinato di fare una cosa e noi non abbiamo eseguito, e forse ci sarà una punizione… La negazione della funzione di questi oggetti produce un sentimento di sottile sfasatura, simile a quello che si ha quando si assiste non visti a scene di ordinaria quotidianità nell'intimo di qualche gruppo familiare, in cui ci troviamo a condividere segreti di personaggi che sono prigionieri come di un sogno sulla cui trama non possono intervenire, ridicoli e penosi come una mosca nella bottiglia. Ci sentiamo come quando veniamo a conoscenza in maniera "fraudolenta" di segreti di famiglia e nemmeno gli oggetti-gioco alleviano la sensazione che neppure l'infanzia é immune dall'inquietudine del vivere. Hanno una strana capacità queste scatole, come la musica di certi carillon, che ripetono sempre la stessa musica con una nota stonata, e proprio per questo altamente ipnotici. E' come se fosse proprio quella nota stonata l'unica giusta di tutto il ritornello. E' come quello che ci accade quando, leggendo i racconti di Gulliver, il decano Swift descrive la ragione iniziale per cui i nemici sono diventati tali ( quando hanno deciso di rompere l'uovo dalla parte grossa...): siamo immediatamente scoperti nella stupidità, nella comunanza della stupidità delle leggi che governano le relazioni fra i gruppi sociali.

Il moralista Swift ha canonizzato in una storia facilmente memorizzabile la stupidità degli esseri umani. La formalizzazione di Stefania riguarda lo spazio intimo e le prevaricazioni emotive, immobilizzate e bloccate nella loro idiota fissità. E rinchiuse in scatole trasparenti, visibili e inalterabili, nella loro gelata trappola. Per fortuna é tutto così colorato e a suo modo intrigante che possiamo illuderci che sia solo il gioco giocato nell'infanzia ripetuto e moltiplicato. La moltiplicazione, come in questo allestimento che ha luogo in un ideale condominio, intrappola l'occhio nello sguardo rivolto all'interno di ogni singola abitazione e, alla maniera dei guardoni, ci troviamo ad immaginare com'è la vita dentro a quella particolare struttura. Che tipo di cannibalismo si sta mettendo in scena davanti al nostro sguardo. Chi é l'orco che si nasconde dietro al gioco conosciuto e temuto. Non é la dimensione che fa l'orco, é il suo egotismo e si va sempre più nel fondo dei particolari enormemente ingranditi delle fotografie specchianti, necessarie l'una all'altra: dietro ai colori tenui ingenui angelicati é come se sapessimo che c'è o c'è stato qualche orco che si é nutrito di questa purezza, come nella madia che diventa bara per teneri petali.

E così si arriva alle preghiere in forma di ex-voto: il miracolo dell'armonia supplicata, basterebbe così poco, basterebbe che non ci fosse l'orco, basterebbe che non ci fosse mai stato ma la storia degli uomini dice che l'orco c'é e c'é stato e da questo dolore si ricomincia a vivere mandando via Gulliver. E' il suo sguardo che ci radiografa, non lo vogliamo, il suo sguardo ci rivela nudi. Nudi dentro. Basta, non vogliamo essere guardati! Gulliver mangia troppo, ci costa troppo il suo sguardo così distante dal nostro piccolo mondo. Se non possiamo cambiarlo, ci prenderemo le misure, con la speranza che qualche preghiera risulti gradita a qualche dio che non vediamo. E così potremo godere del colore, della leggerezza e della grazia che a volte ci pervadono.
Colomba d'Apolito


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