Testimone di fatti ordinari. "Nel mio lavoro sono alla ricerca continua di nuovi archetipi, che e', di per se', una contraddizione in termini. L'archetipo, per sua definizione, e' qualcosa di preesistente nella coscienza di ognuno, oltre la conoscenza diretta che si possiede di una cosa specifica. Un archetipo, insomma, non puo' essere inventato, tutt'al piu' puo' essere scoperto". (A. Piangiamore)
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Testimone di fatti ordinari
Ho deciso di scrivere in prima persona, senza delegare ad altri questo compito.
Non intendo giustificare alcuna delle opere, per il motivo semplice che qualsiasi spiegazione potrebbe
limitarne le potenzialità.
È sempre difficile parlare del lavoro, probabilmente - credo – perché composto di immagini, le quali, per
loro natura, sono difficili da comunicare.
Viene tutto dal mondo, ma non in quanto avvenimento esterno. Sono come dei "presagi" che possono
solo essere accennati; andare a fondo sarebbe troppo difficile e anche inutile.
Una precisazione necessaria riguarda la performance eseguita in relazione ad un’opera in mostra, che
vede la presenza esclusiva, tra gli esecutori, di persone a me vicine, sempre presenti durante il mio
lavoro. Sono i miei giganti. Ho chiesto loro di fare uno sforzo inutile, dispersivo e certamente fallimentare.
Io percepisco quest’azione come un sacrificio. Un sacrificio è, nel senso etimologico del termine, la
produzione di cose sacre; al contempo, secondo George Bataille, è una sorta di consumo violento,
dispersivo. Credo che la mia idea si posizioni tra queste due definizioni.
Nel mio lavoro sono alla ricerca continua di nuovi archetipi, che è, di per sé, una contraddizione in
termini. L'archetipo, per sua definizione, è qualcosa di preesistente nella coscienza di ognuno, oltre la
conoscenza diretta che si possiede di una cosa specifica. Un archetipo, insomma, non può essere
inventato, tutt'al più può essere scoperto.
Non ho mai provato a inventare nulla, se non quello che esiste: mi viene in mente una frase di Walter
Benjamin, “tutto ciò che è stato fatto dagli uomini ha sempre potuto essere rifatto dagli uomini”.
Qualcosa inizia a esistere nel momento stesso in cui è concepito, al di là della sua materialità e delle sue
motivazioni. Sempre Benjamin: “la produzione artistica comincia con figurazioni che sono al servizio del
culto. Di queste figurazioni si può ammettere che il fatto che esistano è più importante del fatto che
vengano viste.”
Sono sempre stato attratto dal limite, da quel punto oltre il quale resta solo l’incertezza. Le immagini che
scelgo contengono questo principio. Ognuna delle immagini presenti in questa mostra viene dal mio
archivio: alcune sono realizzate da me, altre trovate. Tutte hanno la caratteristica di contenere azioni
indefinite, non collocabili in una precisa sfera temporale.
Alessandro Piangiamore
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ALESSANDRO PIANGIAMORE
Witness of Ordinary Facts
I have decided to write in the first person, without delegating to another voice. I do not intend to justify
any of the work, for the simple reason that any explanation might limit the potential of the work. It is
always difficult to talk about the work, I think probably because it is made up of images, which, by their
very nature, are difficult to describe.
Everything comes from the world, but not as an external process. They are instead like “intimations” that
can only be mentioned; to investigate more deeply would be both too difficult, and useless. Still, an
explanation is necessary concerning the performance in connection with a work on display that involves
the presence, among the performers, of those close to me, always present during my work. These are
my giants. I have asked them to make a useless effort, inconclusive and certainly fallible.
I perceive this action to be a sacrifice. A sacrifice is, in the etymological sense of the word, the
production of sacred things; at the same time, according to Georges Bataille, it is a sort of violent
consuming, dispersive. I believe that my thought situates itself between these two definitions.
In my work I am constantly searching for new archetypes, which is, in itself, a contradiction in terms. The
archetype, by definition, is something already existing in the collective consciousness and beyond the
direct knowledge that one has of a specific thing. An archetype, finally, cannot be invented; at the most it
can be discovered.
I have never tried to invent anything, if not that which already exists: a phrase of Walter Benjamin occurs
to me, “Everything made by man can always be remade by man.” Something begins to exist in the
moment it is conceived, beyond its materiality and its motivation. To quote Benjamin once more, “Artistic
production begins with figurations that are in service of worship. Out of these figurations, one can allow
that the fact that they exist is more important than the fact that they are seen.”
I have always been attracted by limits, beyond which there is only uncertainty. The images I choose
contain this principle. Each of the images in this show come from my archive: some are made, and some
are found. All of them are characterized by containing indefinite actions that cannot be located in a
specific temporal sphere.
Alessandro Piangiamore
Opening Mercoledì 8 Giugno 2011 - ore 19
Magazzino
Via dei prefetti 17 - Roma
Orari d’apertura: martedì – venerdì 11-15/16-20 sabato 11-13/16-20
ingresso libero