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13/12/2002

Gaspare Sicula

Spazio Arte, Gavi (AL)

Ercole, Amleto e Don Chisciotte. Milioni di parole frattali e di nerissimi neri in fondo all'abisso del frattale ultimo che di nero illumina l'ultimo quadro e il fuoco fatuo di una vita ancora da conoscere, mai dipinta.


comunicato stampa

Ercole, Amleto e Don Chisciotte

Milioni di parole frattali e di nerissimi neri in fondo all'abisso del frattale ultimo che di nero illumina l'ultimo quadro e il fuoco fatuo di una vita ancora da conoscere, mai dipinta. Vita che adesso irrompe squarciando le tende di una porta da sempre sepolta; porta di conchiglie e di stiletti flagellati dall'aria intrusa e salsa, annegati nei flutti e tra le acciughe salate del nulla. Don Chisciotte perciò Cervantes e di volta in volta gatto quindi me: cavalletto e cavallo.

Don Chisciotte e Sancio Panza, storia espressa dalla sua stessa sostanza, idea che collima con la forma piegando i secoli e il tempo sullo spessore di un foglio che dovrà essere dispiegato per guardare al di là e al di qua dell'acqua, in quella lieve acqua del passo che fa eco alla parola, ad un intreccio di parole. Ed è quell'intreccio vocale che l'enigma di Amleto diluisce e su di esso naviga, ma anche il passo di mani pensanti e il disincanto del moto avuto facendo volare tumultuosi il sibilo con le voci dei cavalli a vento, delle pale feline, nel canto e nel cemento. Ah, dipingere con la passione di un serpente per l'infinito mare in una spirale ininterrotta, in una ruota caduta e frantumata! Tutta la nebbia e tutto il fumo da Ercole a un guercio sciolti in un batter di ciglia dal moto ansimante e dal sospiro stanco di un mimo. Dalla sua morte statue di cani vivi sopra i rosei e visionari muri di Palagonia e nell'aria nera e disperata dei Vespri siciliani l'ultimo clamoroso guaito impacchetta la Gorgone a tre gambe, la carta rilegata del mito, il buio e la carta pesta dei sogni.

Si ferma e giace la noce di Peggy. Scuote lo scudo agitando le dita, additando il vuoto dilapidato dal dislocamento locos forzato di ogni cosa, liberato e poi lasciato da un'improvvisa fuga iniziatica. Si ferma e giace con un punto rosso fuori e l'altro dentro. Tutto è tenuto dal niente sul limitar di quel solo punto accovacciato sulle dipanate note, ora leggiadre, di un topo più bianco del mare preda dell'ira. Una noce che ha sanato le sue ferite, che avanzando curva e muove lo scudo eccentrico. Si ferma e tace, la noce di Peggy, tra bianche onde di peli di gatto, ad un tiro di voce dal candido topo che contiene e tiene i confini del mondo, l'iperboreo mondo in un notturno frutto d'Esperia. Promontorium Sacrum e il sipario del teatro della vita. Cadendo lungo l'ansa di un'erma di flipper un monocolo riflettente guarda la scala nera da Ernst a Van Gogh, punto lesto un piccione impiccato in volo il giusto contrappeso. Nell'arrampicata artefatta precipita e ammutolisce il fiato di vuote trombe trionfali e dei semi di zucca accampati per tempo a tenere in bilico screziati sedili di legno, perché chiaramente la luce buia possa impilare finalmente un sogno mancante dopo l'altro.

In questo quadro c'è tutto: il mito, lo sfarfallio delle voci della natura, i riccioli degli acuti alla luna di vetro graffiato, il salto a piè pari, l'isola del tesoro in costume da bagno a righe orizzontali "accarpate" e non, sul davanzale o al di fuori; c'è il massacro e la non-morte della pittura tutta, della letteratura che scrive per sé il doppio di ciò che non lo è, il bianco lamento della sua storia sanguinante e stagnante, nella calma apparente e turgida, nella perenne nenia, nella luce affettata sempre irrimediabilmente assente.
G.S.

Immagine: HEAD, 1991/2002 - Olio su tela, cm 70 x 70

Inaugurazione: sabato 14 dicembre alle ore 17,30

Orari: 17 - 19 feriali, 16 - 19 festivi, chiuso il lunedì e il martedì, il 25 e il 26 dicembre

SPAZIO ARTE - Corte Zerbo, 15066 GAVI 2 (AL)

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