Condannati a una veglia eterna. L'artista locarnese presenta una cinquantina di opere tra oli, pastelli e tecniche miste. Il tema centrale di tutto il suo lavoro ruota attorno a un unico argomento, l'essere umano: il volto, il corpo, la figura.
a cura di Stefano Crespi
Marco Gurtner torna a esporre a distanza di 13 anni nello spazio della Galleria d’arte Il Cavalletto di Locarno. L’artista locarnese presenta per l’occasione una cinquantina di opere, oli, pastelli e tecniche miste, che datano dai primi anni Novanta al 2011. Nel marzo del 1998 si inaugurava negli stessi spazi una prima mostra di Gurtner, curata dal compianto Giuseppe Cattori assieme alla moglie Fiorenza (tutt’oggi responsabile della galleria) e con il critico d’arte Dalmazio Ambrosioni.
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"Nel bagagliaio della macchina,
due teste [del quadro] sono immerse
nell’oscurità totale. Tengono gli
occhi aperti, non li potranno
chiudere mai, sono condannate
a una veglia eterna"
Josè Saramago
(da 'Manuale di pittura e calligrafia')
Varie, numerose, lungo gli anni, sono state le occasioni di incontrare Marco Gurtner, di accostarsi alla sua pittura. Davanti a una testimonianza artistica segnata da un’acuta singolarità, mi sembra sempre più di percepire da una parte un senso di partecipazione, di coinvolgimento; e dall’altra parte avverto quasi la difficoltà nel ritrovare ragioni, motivazioni che possano essere in qualche misura esplicative.
Ricordo in particolare di aver accompagnato con un testo, nel 2001, una bella mostra dedicata a Marco Gurtner nello spazio della Compagnia del Disegno di Milano; una scelta sintomatica dei quadri era stata condotta da Alain Toubas.
Nel ricercare, nella scena dell’oggi, un segno, in un certo modo unitario, per i dipinti di Gurtner, un suggerimento improvviso è venuto da un libro dello scrittore Josè Saramago (Premio Nobel per la letteratura). Manuale di pittura e calligrafia è un libro affascinante, straordinario: tra racconto, confessione, scrittura, esplorazione inedita di temi dell’arte.
Un pittore immaginario, dopo un’adesione a una ritrattistica convenzionale, entra in una crisi, in una consapevolezza, in una <
In un incontro Marco Gurtner è stato preso da questo richiamo letterario: come in una intuizione, come in uno scatto emotivo, ha percepito un connotato della propria pittura: la figura, i volti impossibili e senza fine, in esilio da astratte categorie, ma dentro la presenza, l’atto indicibile (disperante) dell’esistere.
Quel bagagliaio stesso, nella pagina di Saramago, è la condizione di un’inquietante eccentricità dove resiste una reliquia dell’umano nel deserto dei linguaggi.
C’è una riflessione sul luogo: luogo naturalistico, luogo informale, luogo concettuale, luogo mediatico, luogo tecnologico. A quale luogo è riconducibile Marco Gurtner? Ho potuto, di volta in volta, soffermarmi davanti ad alcuni suoi dipinti nelle situazioni e nei ritagli più improbabili di spazio. Non ho mai visto il suo studio. Nelle modalità più diverse, l’Atelier del pittore, si sa, è uno spazio-tempo dove nasce la pittura da una dimensione infigurabile, alla trama varia degli oggetti, dei rimandi, alla vita simbolica della pittura.
I dipinti, le carte di Marco Gurtner non hanno forse un <
Non c’è il codice dell’autoritratto, non ci sono i tratti riconoscibili dei ritratti. Questi volti si possono di più intendere come una frase senza fine di un’autobiografia, tra bagliori e assenza, tra colori e vuoto, tra viaggio e non luogo.
Ci si può ora chiedere da dove venga il lascito umano, espressivo, poetico di questa pittura. La prima considerazione (per comprenderne il congedo linguistico del volto) è che, al di là di un’innata discrezione, Marco Gurtner è un artista molto colto: ha una visione meditata, vissuta dell’arte. Chiedendo quasi scusa per un accenno personale, ho conservato in parte (nella documentazione e nello scaffale dei suoi cataloghi) le cartoline che via via ricevevo dalle sue visite ai musei: Vienna, Londra, Grünewald a Colmar, Caravaggio a Malta, Tangeri, Lubecca, Bilbao, un’immagine di Picasso, l’immagine del Ritratto di Van Gogh da parte di Francis Bacon. Sono segni di un suo orizzonte artistico, accanto alla passione per la musica; accanto alla cura di mostre (l’opera di Varlin, l’indimenticabile omaggio a Giovanni Testori nell’Atelier dei pittori del Novecento).
Con una formula di Bonnefoy che amo richiamare (l’avventura artistica tra il qui e l’altrove), anche in Marco Gurtner ritroviamo (in un’interna dialettica) l’altrove dello sfondo inquieto del Novecento e il qui invalicabile dell’esistenza. Tra i suoi artisti più amati, possiamo ricordare in Giacometti l’altrove della cultura di Parigi e la condizione originaria della sua valle nel Canton Grigioni; possiamo ricordare in Varlin Zurigo e i soggiorni nelle città europee nel congedo terminale a Bondo come in un disguido della dimenticanza.
In una recente telefonata mi disse Gurtner: <
Sono volti nell’ossessione, nell’allucinazione, nell’assedio della solitudine. Volti irriducibili a una teoria. Volti senza prova, senza maschera, senza affermazione, liberi da qualsiasi centro, liberati da ogni luogo. Volti immersi in una grande <
Proprio per le ragioni a cui si riconduce la pittura di Gurtner, più che le strumentazioni generalizzanti della critica d’arte, possono valere intermittenze letterarie nel fondo stesso della singolarità psichica. In questa occasione riprendo una sequenza di testi poetici di Friedrich Dürrenmatt, Salmi svizzeri. Una citazione in particolare: << Altrove il cielo>>. La Svizzera non ha il cielo, non ha il mare, non ha l’azzurro, non ha il simbolo, non ha la lontananza. Qui, in un esonero della storia, nell’arte e nella letteratura, hanno preso vita voci segrete, ultimative.
I volti e le teste di Gurtner non hanno nome. Il volto non ha cielo, non ha simbolo, sospinto a quel confine tra assenza e parola, sguardo e spazio vuoto. Lo psichiatra italiano Eugenio Borgna, figura austera e umanissima, di libro in libro, è andato scrivendo l’autobiografia dell’esistenza nell’orizzonte irriducibile del volto: la follia, la malinconia, la Stimmung della tristezza, l’archeologia delle emozioni, delle emozioni perdute. I volti e le teste di Gurtner, in un tempo inesauribile, irraggiungibile: da un magma corporeo, a una punta concettuale, a una sperduta geometria.
I colori stessi di questi dipinti non appartengono a nessuna relazione empirica, naturalistica. Sono colori che si svolgono nella sequenza linguistica del profondo, nelle connessioni interne, emotive: l’accensione della testa rossa, il grigio dell’assenza, l’allucinazione del giallo, il nero della notte.
Infine un’osservazione suscitata incidentalmente. In una collezione italiana ho accompagnato di sala in sala la visita di un amico del collezionista con la signora. Davanti a un quadro di Gurtner, Memorie di viaggio (Granada, 2008), dove c’era la geometria di un volto, la fissità degli occhi, la striscia bianco cenere di un viaggio, l’amico del collezionista fece notare la presenza di croci. In una sala accanto c’era anche l’immagine di un Ritratto di Testori di Varlin con le croci; le croci appaiono in Varlin nel tema dei cimiteri.
La croce è prima e dopo il linguaggio. Uno studioso come Emilio Villa (che fu vicino a Burri, Fontana, Manzoni) diceva che la croce è <
L’occasione della presente mostra è nello spazio Il Cavalletto di Locarno dove Giuseppe Cattori promosse una mostra a Gurtner (con presentazione di Dalmazio Ambrosioni). Un ricordo al tratto così umano e sensibile della figura di Giuseppe Cattori che ebbe per Marco Gurtner una vicinanza, un’attenzione, una stima.
Stefano Crespi, Magnago (Milano), luglio2011
Per l’occasione esce la pubblicazione: “Marco Gurtner, Condannati a una veglia eterna”, con un testo di Stefano Crespi, (Armando Dadò Editore, Locarno, 2011)
Con il patrocinio di: Officina Meccanica Gian Mario Mara
Inaugurazione 24 settembre 2011 ore 18.00
Il Cavalletto
Piazzetta F. Franzoni 1 - CH – 6600 Locarno
Da martedì a venerdì 14.30 – 18.30 / sabato e domenica 14.30 – 17.00
chiuso 1° novembre