Esasperatismo Black & White. Le opere in mostra costituiscono una breve antologia del percorso creativo dell'artista: opere in bianco e nero sotto il segno del movimento 'esasperatista'.
A cura di Stelvio Gambardella
Presentazione di Franco Lista
“ESASPERATISMO BLACK & WHITE” è il titolo della mostra personale di Giuseppe Di Franco al centro d’arte e cultura GAMEN
di Napoli curata da Stelvio Gambardella e presentata da Franco Lista.
Le opere in mostra costituiscono una breve, quanto significativa, antologia del lungo percorso creativo di Giuseppe Di Franco.
Esse riguardano unicamente l’attività in bianco e nero sotto il segno dell’Esasperatismo orientate dall’ideologia di fondo del movimento
esasperatista in cui il nero sta per la denuncia di uno stato d’animo sofferto, in linea con i tempi inquietanti che viviamo,mentre il bianco lascia aperta la porta alla speranza di un cambiamento in direzione di un mondo migliore.
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Le opere in mostra costituiscono una breve, quanto significativa, antologia del lungo percorso creativo di Giuseppe Di Franco.Esse riguardano unicamente l’attività in bianco e nero sotto il segno dell’Esasperatismo. Intanto, solo per dare qualche riferimento sul più complessivo lavoro dell’artista, va detto che egli svolge, nell’arco di tempo che va dalla fine degli anni Ottanta ad oggi, diverse e accentuate ricerche che vanno dal “simbolico-fantastico” a quelle condotte nell’ambito del movimento Esasperatismo .Sperimenta inoltre varie tecniche artistiche: dall’olio all’acrilico, dal collage alle pittosculture, assemblando poi icone elettroniche e risemantizzando moduli e sistemi elettronici in disuso.
Si tratta, pertanto, di una scelta di opere - così come riconosce Di Franco - orientate dall’ideologia di fondo del movimento dell’Esasperatismo in cui “il nero sta per la denuncia di uno stato d’animo sofferto, in linea con i tempi inquietanti che viviamo, mentre il bianco lascia aperta la porta alla speranza di un cambiamento in direzione di un mondo migliore”. L’insieme, indirizzato dal valore simbolico della dicotomia cromatica, offre un condensato e vibrante panorama di opere, particolarmente tendente alla soggettività dell’espressione, rivelatrice di una complessa realtà esistenziale: lavori carichi di ricercata densità, prevalentemente bicromatica, e di pregnante matericità.
Ed è quest’ultima, a mio modo di vedere, la connotazione più evidente e vigorosa delle opere, al punto da manifestarsi come una sorta di cifra stilistica dell’autore, come capita di percepire nelle opere di Fautrier o di Dubuffet.
Si delinea così, nel compimento pittorico, la necessità di configurare matericamente il proprio linguaggio. Il pensiero, in proposito, va ad un ricercato interrogativo di Carlo Giulio Argan: “Perché cercare la materia oltre il linguaggio, come se il linguaggio fosse qualcosa di spirituale o di razionale? Il linguaggio è anch’esso materia: e come tale duttile, plastico, impressionabile, suscettibile di trasmutarsi e corrompersi”.
Da qui il bianco e nero, il black & white della mostra, quasi si trattasse di un linguaggio che metaforicamente traducesse il nero dell’inchiostro e il bianco della carta su cui scrivere e circoscrivere l’ambito della personale poetica esistenziale.
A ben vedere, l’intensa pastosità del bianco e del nero dei suoi lavori, oltre a configurarsi come carattere distintivo, si manifesta quale ductus che introietta quell’aura pervasiva e persistente tipica e propria dell’opera d’arte. L’aura, in senso benjaminiano, va intesa come traccia intrasferibile dell’autore e proprio per questo Di Franco, che è contro ogni processo di serializzazione, avverso ad ogni meccanicistica e utilitaristica riproducibilità dell’opera d’arte, considera l’aura un quid inalienabile che è condizione di originalità e unicità dei suoi lavori.
Sottolineo il dato auratico poiché il vasto impegno culturale di Giuseppe Di Franco (che è fortemente coinvolto nel movimento di Adolfo Giuliani) si traduce, in tutta la sua produzione, in una sorta di tenace irriducibilità nei confronti dei correnti processi di omologazione, conformismo e appiattimento artistico imposti dall’attuale e complicato “art-system”. Un sistema che favorisce un’arte deprivata di aura e ridotta a genere merceologico e commerciale.
Lucidamente, Mario Perniola parla di “feticci artistici” e di “merci semiotiche”. Nel considerare poi l’esperienza artistica che precede la Pop Art, il filosofo mette in evidenza la capacità degli
operatori del “sistema dell’arte” di trasformare“l’inutile in valore”e, riferendosi alla “Pop Art (e tutte le altre mode che ad essa succedono)”, di tramutare “l’inutile in denaro”.
All’apparato sensoriale, prima ancora che alla valutazione etica, di Giuseppe Di Franco tutto ciò non sfugge proprio perché in aperto contrasto con la purezza percettiva dell’artista, impegnato com’è in un pungente e appassionato dialogo, per non dire interrogazione, con la materia, il colore e gli altri ingredienti e strumenti che predilige.
Così attrezzato, Di Franco diventa caustico e polemico interlocutore del contesto socioculturale che impone valori e modelli di comportamento scadenti; si oppone dunque, in modo battagliero, alla manipolazione dell’uomo e dell’ambiente dettata dalle leggi del profitto.
E’ contro ogni forma di sopruso e arbitrio nei confronti della vita, di cui ne rivendica l’assoluta libertà. Insomma, in quanto a libertà è sullo stesso registro di Adorno: “occorre conservare,estendere, dispiegare la libertà”.
Questo convincimento lievita nel linguaggio provocatorio, spesso violento ed esasperato, delle sue opere, dove emergono tensione dinamica e libertà cinestetica generative di forme dagli innumerevoli esiti, esaltati dalla diversità delle trasposizioni cromomateriche e, nella fattispecie, bicromomateriche. Sono questi i segni di una natura espressiva che respinge ogni stereotipato ripiegamento estetizzante, ogni banale schematizzazione, qualsivoglia forma preconcetta.
Qui vorrei aggiungere, ancora, una particolare considerazione sul forte contenuto materico presente nelle realizzazioni in mostra: l’intensità con la quale Di Franco penetra in profondità la materia non è mai il risultato di un gesto casuale, è piuttosto l’effetto di un lucido atteggiamento di chi va alla ricerca di una substantia ormai perduta e sostituita dal fenomeno virtuale e dall’abuso acritico degli strumenti multimediali.
Certo, c’è l’idea – come scrive Raffaele Simone – “che vada preservato e arricchito il contatto con la realtà, non quella simulata ma quella vera, quella ‘fisica’, che richiede spirito di esplorazione e di scoperta, movimento, manipolazione”.
Nel procedere di Giuseppe Di Franco non c’è solo questo, che è la condizione fondamentale del moto libero della creazione; c’è dell’altro!
Colpisce anzitutto l’intima coesione tra il pensare e l’agire nei confronti della materia, individuabile anche nelle riflessioni dei suoi scritti, per cui la complessità e la fluidità dei luoghi, della realtà, della natura, sempre insidiati dal “falso”, diventano in lui materia cognitiva.
E dunque si tratta di un “addensarsi mentale”, ancorché sensibilmente fisico,, che potrebbe essere meglio definito (adoperando parole care a Jean Baudrillard) “sostanza mentale”, sostanza che è sollecitazione e causa della trascrizione, in termini di forma e contenuto, di intensi stati d’animo.
Emerge qui l’animo esasperatista, cioè di quegli artisti, come dichiara Di Franco, che “con le loro opere compiono il processo alchemico di sublimazione della materia violata restituendole vita e dignità.”
Ma la materia è sempre in un rapporto di reciprocità con il colore; nessuna delle due cose si sostituisce all’altra; semmai possiamo concepire queste due cose come “pure profondità” (parole di Dubuffet).
Sono le stesse profondità alle quali attinge la creazione artistica di Giuseppe Di Franco, dove ritrova l’inconscio dionisiaco che, per Nietzsche, è substrato del mondo dal quale “può passare nella coscienza dell’individuo solo esattamente quello che può essere di nuovo superato dalla forza di trasfigurazione apollinea, sicché questi due istinti artistici sono costretti a sviluppare le loro forze in stretta proporzione reciproca, secondo la legge dell’eterna giustizia. Dove le forze dionisiache si levano così impetuosamente come noi possiamo sperimentare, là deve essere già sceso sino a noi, avvolto in una nube, Apollo.”
La traiettoria sublimale di Giuseppe Di Franco credo sia, tendenzialmente, la stessa di Grotjahn che vede nell’artista colui che “lavora con l’inconscio dionisiaco e gli dà forma apollinea” e ciò in linea con le riflessioni del nostro artista, testimone e critico del particolare momento storico che viviamo, che nell’Esasperatismo vede “un movimento di arte e di pensiero di grande attualità per una sensibilizzazione delle coscienze e per una riconciliazione dell’uomo con l’arte e con la vita.”
(Franco Lista)
Inaugurazione: sabato 8 ottrobre 2011 ore 18:00
Centro d’arte e cultura GAMEN
via Pontenuovo 26 - Napoli
Da lunedì a sabato ore 16,00-19,30