Angele. 'Un paesaggio cupo e desolato, arso dalle fiamme, punteggiato di sterpi bituminosi. Poche, sobrie macchie di colore: ocra, grigio perla, viola. Su questa landa il cielo e' caduto, giace sgretolato. Dalle rovine s'innalza - o forse ancora non ha toccato il suolo? - un'ala di piombo. L'ala di un uccello? Di un angelo? Un'ala, pero', senza dubbio incapace di tornare a volare o che mai ha saputo farlo.' Franca Cavagnoli
Presso Pizia Arte a cura di Patrizia e Manuela Cucinella mostra personale di Paul Kroker.
Franca Cavagnoli nel testo che accompagna la mostra dal titolo ''Angele'' scrive:
Un paesaggio cupo e desolato, arso dalle fiamme, punteggiato di sterpi bituminosi. Poche, sobrie macchie di colore: ocra, grigio perla, viola. Su questa landa il cielo è caduto, giace sgretolato. Dalle rovine s'innalza - o forse ancora non ha toccato il suolo? - un'ala di piombo. L'ala di un uccello? Di un angelo? Un'ala, però, senza dubbio incapace di tornare a volare o che mai ha saputo farlo. Posa greve sulla terra guasta di paglia e corda e latta.
Il travaglio di quest'ala è raffigurato in un quadro di Kiefer, Das Wölund-Lied. Ma la desolazione sulla tela non è che il riflesso dell'inumana desolazione che alberga nel cuore degli artisti tedeschi più che in quello di qualsiasi altro artista europeo. Cinquant'anni fa Vercors faceva dire a un suo personaggio, un ufficiale della Wehrmacht, a proposito di un altro artista suo connazionale: ''Bach? non poteva essere che tedesco. La nostra terra ha questo carattere: questo carattere inumano. Voglio dire, non in misura dell'uomo''. È questo il tratto saliente delle Angele di Paul Kroker: sono creature non più angeliche e non ancora umane, sono creature inumane nel senso che Vercors dà alla parola.
Il viaggio che hanno compiuto non è dalla terra al cielo: sono angeli caduti, o forse soltanto discesi, attratti dal mistero dell'essere umano. Ma il mistero attrae e seduce, e talvolta è proprio il suo fascino a impedire la conoscenza. Non qui. Queste creature sembrano infatti discese sulla terra per penetrare l'essenza della sofferenza umana, restando sospese sulla fune sottilissima che divide il corporeo dallo spirituale. E d'altronde un artista berlinese come potrebbe non misurarsi con la linea sottile della separazione, essendo abituato come nessun altro in Europa a misurarsi con la linea del fuoco che per decenni ha diviso in due la sua città , il suo Paese e l'intero nostro continente? Le sue creature, dunque, sono destinate a essere per sempre esuli, come senza patria è l'artista che le ha concepite: con lo sguardo in parte rivolto all'indietro dell'emigrato, che scruta la polvere alla ricerca delle tracce non più riconoscibili della patria perduta o lasciata...
...''Chi mi conosce sa che il mio lavoro è da sempre improntato alla figura della donna, la sua sofferenza e gioia nonché la sua passione e passionalità . Anni fa, poi, era subentrato anche l'elemento vendicativo nel senso dell'autodistruzione, dell'annientamento'' ha affermato più volte Paul Kroker. In queste figure la sofferenza della donna - la sua passione - pare essersi rappresa nella materia di sangue che percepiamo dentro di esse, perché dagli squarci nei corpi inferti da coltelli, forbici, granate, non una sola goccia di liquido pare essere fuoriuscita; il sangue pare essersi riversato tutto all'interno, là dove si condensa il dolore del mondo di cui esse si fanno carico. Alcune conservano ancora il retaggio della patria celeste perduta o lasciata - le ali - altre non le hanno più ma al loro posto non hanno ancora sviluppato gli arti. Di nuovo, s'incamminano con la sola forza degli organi vitali che governano le passioni lungo la linea impalpabile eppur netta dell'essere mezz'e mezzo. Un'indicibile sofferenza continua ad attanagliarle, lasciandole ferite, mutilate, sofferenti nel corpo non più spirituale e non ancora umano. Sebbene il materiale di cui sono fatte le ali sia lieve - Kroker usa materiali poveri: plastica, cartone, cartapesta, stracci - e dunque in nulla paragonabile alla latta o al piombo che ostacolano il movimento dell'ala caduta dal cielo nel quadro di Kiefer, ciò nonostante sappiamo che neppure queste Angele mai più spiccheranno il volo...
...Figure d'oro e figure bianche. L'oro, emblema di una sacralità sempre violata e trasgredita dalle azioni compiute dal soggetto che riveste. Angeli d'oro grevi di pensieri, somma espressione di una cerebralità che non lascia spazio ad altro, di pensiero puro, di algida astrazione. È forse per questo che le statue di Kroker sono tutte decapitate? È dunque la testa, più che gli organi che governano le passioni, la principale artefice del loro dolore? E infatti il punteruolo esce dal ventre, a mo' del tentacolo di un polipo che forse stringe nella sua morsa gli organi che producono gli umori, minaccia dappresso vie biliari, ingrossa fegati, procura rigurgiti di bile, prosciuga e priva delle loro funzioni primarie pancreas e milze. Essere senza testa non significa essere senza pensieri, sembrano volerci ricordare queste figure: se la testa è troppo satura di pensieri capaci solo di girare in tondo, se il pensiero diventa cerebralità , si esaspera e sa essere solo rovello della mente, lascia un'unica via di uscita, quella verso una lucida follia...
...Accanto all'oro il bianco, simbolo di un lutto cui nulla porrà fine. Quale lutto non riusciranno mai a elaborare queste donne dalle ali sgualcite? Quale storia ci racconterebbero - prive come sono di bocca per dar voce ai pensieri, di occhi per guardarci con cipiglio, oppure attraversati da un velo di malinconia o dal lampo di una stizza improvvisa - se ci accostassimo ad ascoltare i moti del loro animo? Forse ci parlerebbero di un tempo apocalittico in cui la loro vita ha potuto solo compiere la propria lenta autodissoluzione, come un altro tedesco, figlio dell'ultimo scorcio del secolo appena concluso, ha saputo con fiammante intensità narrare nei suoi libri. Come l'Austerlitz di Sebald ci insegna, saper ricordare può essere una maledizione, anche se dall'arsenico che ne avvilisce le sorgenti nessuno riesce a tenersi lontano. Ciò nonostante, in questo etereo corpo bianco non può che essere in corso un viaggio verso le scaturigini, verso le regioni profonde e buie da cui sgorga la luce che illumina il nostro spazio interiore, l'unico antidoto all'arsenico che l'essere umano sia riuscito a trovare.
Figure che ricevono la morte e che si danno la morte ma che a loro volta la danno. Infatti che cosa può succedere all'incauto che osasse avvicinarsi a quel punteruolo che esce dal ventre? O a che altro, a parte impiccarsi, può servire quella corda portata vezzosamente intorno al collo come una collana o una sciarpa? Mai angeli solari, dunque, malgrado il fulgore dell'oro, semmai angeli notturni, bagnati dall'argento della luna. Angeli di passione. Un tempo su queste statue c'erano teorie di figurine danzanti che mai mi sono parse gioiose, né tantomeno giocose, dilaniati com'erano i corpi. Quella cui assistiamo mi pare la naturale evoluzione dell'artista verso una genuina incredulità , l'impossibilità a credere nella vita in quanto tale, solo nella forza salvifica del proprio potere di immaginarla. E la terra sulla quale queste Angele sono discese non appare accecata dal fulgore del sublime o del sacro ma incrostata dei miasmi di un suolo ormai inaridito. Sono figure destinate ad aggirarsi tra noi, lungo il filo sottile della loro inumanità , su una terra guasta da cui pare che mai più nessun giglio sbucherà .
[Franca Cavagnoli è autrice del romanzo Una pioggia bruciante (Frassinelli 2000) e collabora al settimanale ''Diario''. Si occupa di letterature postcoloniali di lingua inglese e ha curato due antologie di narratori australiani: Il cielo a rovescio (1998) e Cieli australi. Cent'anni di racconti dall'Australia (2000). Ha tradotto e curato opere di: Toni Morrison, Nadine Gordimer, Jamaica Kincaid, V.S. Naipaul, J.M. Coetzee e David Malouf.]
Immagine: Paul Kroker
"angele della mia storia" ,2002,
carta/colla/plastica/metallo/acrilico/varie,
71x35x39
Pizia Arte
via Cavour 39
Teramo