Bambole dal Giappone, meccanica e poesia. Una tradizione da oltre 400 anni, ma la mostra apre al futuro con i robot
Le Karakuri Ningyo, ovvero le bambole meccaniche giapponesi, lasciano senza parole. Raffinate, quasi magiche, sono la sintesi perfetta di gusto estetico e ingegno 'meccanico' del Sol Levante. Per la prima volta in Italia una ventina di bambole Karakuri saranno esposte al Mao e a Palazzo Barolo, grazie all'Associazione Yoshin Ryu, alla collaborazione con Japan Foundation e con l'Artcraft Museum di Inuyama. Poco note al pubblico occidentale: le Karakuri Ningyo sono una tradizione artistica ed artigianale che affascina e intrattiene da oltre quattrocento anni, a partire dal periodo Edo: accolgono gli ospiti, servono il te', lanciano frecce, suonano strumenti con grazia, nascondendo meccanismi d'antica fattura molto sofisticati. Karakuri significa letteralmente 'meccanismo', ma anche 'sorprendere', mentre Ningyo, scritto in ideogrammi separati, significa 'persona' e 'forma', dunque bambola meccanica. In Giappone le bambole sono sempre state un must have, non solo per le bambine: sono declinate in moltissime tipologie e scopi, dal gioco infantile alla devozione, da quelle enormi per i carri animati, ad oggetti piccoli e sofisticati da collezione; e' possibile recensirne decine di categorie diverse. La mostra apre al futuro con i robot. Un simpatico ospite Wakamaru e' infatti il ritratto vivente e contemporaneo di un antico servitore di te' Karakuri. Al fil rouge bambole e robot verranno dedicate alcune iniziative con esperti del Politecnico. Tre pezzi sono esposti al MAO insieme alla proiezione di un filmato illustrativo.