32 sculture in creta di personaggi illustri napoletani, i cui caratteri somatici sono reinterpretati artisticamente. A cura di Mario Pellegrino.
a cura di Mario Pellegrino
Poeta dello spazio, Giuseppe Manigrasso da tempo ha rivolto la sua creatività verso la scultura, come se lavorare con la creta servisse a ridare vita alle persone, a darne contorni di verità, di originalità, non di riproduzione della realtà, ma interpretazione della vita stessa. Il 14 dicembre si inaugura al “Al Blu di Prussia “ - lo spazio multidisciplinare di via Filangieri 42 ricreato da Giuseppe Mannajuolo sulle orme dell’antica galleria dello zio, Guido, e diretto da Mario Pellegrino - una mostra di trentadue sculture di altrettanti personaggi “illustri” della città: e sarà l’occasione per tanti di chiedersi perché solo trentadue “ritratti” in creta (soprattutto gli “assenti”, i non effigiati, se lo domanderanno), e per tutti l’occasione di celebrare l’incontro con uno degli artisti più originali degli anni Settanta (la sua prima mostra con Lucio Amelio nel ’68), a pieno titolo inserito in quel gruppo di artisti e di operatori culturali (galleristi, ma non solo) che fecero di Napoli una città in prima fila a livello internazionale nell’arte d’avanguardia.
Come ricorda Mario Franco in un testo che accompagna la mostra, e intitolato non a caso “Sculture come fotogrammi di un racconto”, oggi Manigrasso è un artista anomalo, “un artista che usa il disegno e la creta come supporto per rivelarci una realtà fatata. Una sorta di paesaggio incantato, dove le parole non hanno più un corrispettivo grafico e l'alfabeto fonetico è in equilibrio instabile o emerge da un silenzio irreale”. E sempre Mario Franco ricorda che ciò che è maggiormente evidente, in questi suoi ritratti di amici e colleghi, è la materia scabra e ruvida di cui sono composti. Una materia raffinatissima che contrasta con la plastica morbidezza della creta e che si presenta come pietrosa o come – più raramente – metallizzata o porcellanata. Una materia che spinge lo spettatore verso l'opera, ipnotizzandolo, sfidandolo al gesto - impossibile da trattenere - di toccarla per sperimentarne la consistenza.
Giuseppe Manigrasso nasce a Taranto (1947) ma è napoletano a tutti gli effetti essendosi trapiantato giovanissimo sulle rive del Golfo, qui ha studiato (Architettura), qui è diventato artista, performer, designer, poeta visivo, regista, pittore, scultore, attraversando tutti i segmenti espressivi della creatività, tutte le opzioni possibili per esprimersi artisticamente. Qui ha tessuto la rete umana e intellettuale della quale ha fatto parte con la cara, compianta Deli Pezzullo, con Salvatore Pica, Fabrizio Mangoni, Fabio Donato e altri, che in seguito - ricorda Mario Franco – “gli saranno vicini nei momenti difficili del suo ictus, della progressiva riabilitazione, del ritorno alla pittura e alla scultura, “con la mano sinistra””.
Si diceva di ritratti in creta, ma è bene chiarire che le sculture di Manigrasso non vanno confuse con la ritrattistica perché lo scultore non cerca di ripresentare somiglianze per così dire fotografiche; le sue opere sono il risultato di un viaggio conoscitivo attraversato dai sogni, dalla sensibilità poetica dell’artista: “Queste teste, cesellate in ore e ore di lavoro – dice infatti Mario Franco, critico tra i più acuti della scena napoletana - sono ora l’una accanto all’altra, come se fossero meri fotogrammi dello stesso film. Il racconto di queste sculture è, infatti, fortemente autobiografico: a generarlo, è stato un percorso verso l'elaborazione di una nuova emotività, un'ascesa progressiva o uno scandaglio psicologico alla ricerca della parte più profonda dell’artista”.
Un artista generosamente dispersivo, irrequieto e impaziente nella vita privata come nell’attività artistica, Manigrasso portava le sue poesie e la sua contagiosa voglia di stupire a Spoleto come a New York, a Barcellona come a Firenze, a Venezia come a Sidney. A Lima, in Perù, teneva seminari sul design e corsi all’Istituto italiano di Cultura, e alle Università di Quito, Santiago del Cile, La Paz. Nel 1980 tornò a Napoli, dove aprì una galleria, la “N7”, che ebbe vita breve e travagliata. Alternava il suo lavoro d’architetto ai suoi impegni artistici. Di lì a poco fondò la rivista “AURA, Arte Urbanistica e Architettura” e qualche anno dopo entrò tra i consulenti del Comune di Napoli per il “Piano del Colore” nel Programma straordinario d’Edilizia pubblica del dopo terremoto.
Un artista complesso e completo, che il Blu di Prussia convintamente presenta al pubblico di esperti e di appassionati d’arte e di eventi culturali per far conoscere il passato, e il presente, della grande produzione creativa espressa dagli anni ’70 ad oggi, e di tutto un mondo (fotografi, operatori culturali a vario titolo, osservatori) che si muoveva attorno ad essa, e a volte dentro di essa.
L’Ufficio Stampa Pasquale Esposito (347-8558890)
Napoli, 5 dicembre 2011
Vernissage mercoledì 14 dicembre dalle 18,00 alle 20,30
Anteprima per la stampa martedì 13 dicembre alle 12,00
Al Blu di Prussia
via Gaetano Filangieri, 42 - Napoli
Orario: mar-ven 16.30-20; sabato 10.30-13 e 16.30-20 ingresso libero. Catalogo della mostra in galleria.
Ingresso libero