Prima mostra antologica dedicata a Gina Pane (1939-1990), una delle figure piu' importanti e significative della Body Art internazionale. Sono oltre 160 le opere in mostra tra installazioni, dipinti, disegni, video, fotografie, sculture, oggetti utilizzati nelle sue piu' note 'azioni' e il suo unico film. Per celebrare i 100 anni dalla nascita di Afro sono esposti lavori del periodo americano provenienti da collezioni internazionali. Da dipinti come Concertino, La Dormeuse, o Dispetto (tutti del 1948) ai bozzetti a inchiostro, acquerello e collage del 1958.
Gina Pane (1939 - 1990)
"È per amore vostro: l’altro"
Se apro il mio corpo affinché
voi possiate guardarci il vostro sangue,
è per amore vostro: l’altro. (...) Ecco perché tengo
alla VOSTRA presenza durante le mie azioni.
Gina Pane
“Lettre à un(e) inconnu(e)”
Il Mart presenta la prima mostra antologica dedicata a Gina Pane (1939-1990), una delle figure più importanti e significative della Body Art internazionale.
Dal 17 marzo all’8 luglio 2012, presso gli spazi del museo di Rovereto, si potrà ripercorrere l’affascinante vicenda dell’artista francese di origine italiana, conosciuta in tutto il mondo per le sue emozionanti perfomance.
Con questa importante retrospettiva, nata da un’idea di Gabriella Belli e a cura di Sophie Duplaix con la collaborazione di Anne Marchand (erede dell’artista), il Mart intende portare alla luce la coerenza concettuale che ha accompagnato tutte le variazioni formali e i momenti fondanti del percorso di Gina Pane: dai dipinti geometrici e le “Structures affirmées”, realizzati fino al 1967, alle “azioni” degli anni Sessanta e Settanta, fino alle “Partitions” e “Icônes” compiute dal 1980 al 1989.
Sono oltre 160 le opere in mostra provenienti dai maggiori musei d'arte contemporanea internazionali e da importanti collezioni private tra installazioni, dipinti, disegni, video, fotografie, sculture, oggetti utilizzati nelle sue più note “azioni” e l’unica opera cinematografica mai realizzata dall’artista.
Gina Pane ha segnato l’arte degli anni Settanta con una serie di “azioni” dalla forte carica simbolica. Le emozioni e le reazioni di rifiuto suscitate dalle ferite che si infliggeva con una lama di rasoio, in cui il corpo era offerto come specchio allo spettatore “anestetizzato”, e il sangue come dono vitale, hanno contribuito, suo malgrado, a identificare l’artista con la sola esperienza di Body Art.
L’esposizione propone, invece, un percorso che svela progressivamente il vocabolario simbolico di Gina Pane, composto nelle varie fasi della sua produzione. Per la prima volta viene tratteggiata la complessa rete di relazioni che uniscono, in un unico approccio concettuale, pratiche spesso lontane sul piano formale.
Il tema del sacro, per esempio, lungi dall’appartenere solo all’ultimo periodo, è una delle questioni portanti della sua opera. L’onnipresenza del motivo della croce, il dono di sé, il corpo sofferente del martirio, formano un insieme di riferimenti e di segni, attraverso un linguaggio preciso costruito nel tempo, le cui tracce si ritrovano in tutto il lavoro dell’artista.
I dipinti geometrici e le Structures affirmées, (fino al 1967):
La mostra presenta un importante nucleo delle prime opere realizzate da Gina Pane. Si tratta di dipinti e sculture dove il tema del corpo è già al centro della sua ricerca.
I dipinti e le sculture di questa prima fase, mettono in evidenza la predilezione di Gina Pane per il colore e per le forme minimaliste. La sua formazione di pittrice, sempre da lei stessa rivendicata, segna il punto d’avvio per un’approfondita ricerca sulla dimensione fisica.
Scrive Gina Pane: “Uso il colore non in quanto simulacro di spazio o profondità ma per renderlo reale, tale e quale. (...) esso concretizza una sensazione nel modo più diretto. Contatta, esiste” da (Lettre à un(e) inconnu(e), 2004).
Il corpo è al centro anche delle sue “strutture”, come in “Hyde Park Gazon” del 1965-1966, un volume incurvato che a un primo sguardo rinvia a un vocabolario “minimale”, ma che è allo stesso tempo sensuale e fisico.
Le installazioni e le azioni nella natura (1968-1970):
“Pierres déplacées”, del 1968, è il primo intervento di Gina Pane nella natura. L’artista sposta delle pietre affinché ricevano i raggi del sole, mutando così, quasi impercettibilmente, il corso delle cose e avviando un dialogo con gli elementi naturali. In “Terre protégée I, II e III” del 1968-70 l’artista mette in evidenza l’aspetto nutritivo della terra e il legame simbiotico che esiste tra l’uomo e la natura.
“Situation idéale: Terre – Artiste – Ciel” del 1969, è invece l’opera che rivela la linea di pensiero che anima l’artista nel passaggio dalle Structures affirmées alla natura, dalla natura alle azioni, dalle azioni alle Partitions.Gina Pane si staglia, in piedi, con lo sguardo diritto davanti a sé, formando una linea verticale perpendicolare al cielo e alla terra; al centro della linea d’orizzonte stabilisce metaforicamente un territorio in questo spazio intermedio, che è lo spazio dei limiti – limiti fisici ma anche psichici, o ancora il confine tra sfera pubblica e sfera privata, tra il sé e l’altro – che l’artista va sempre più esplorando. Così lei stessa commenta l’opera “Tra due orizzontali: terra/cielo, ho collocato il mio corpo verticalmente per provocare una situazione ideale”.
Nello stesso periodo realizza “Solitrac”, (1968) l’unica sua pellicola cinematografica prodotta fino ad oggi. Il film, presentato raramente, evoca l’angoscia e il panico della solitudine e contiene preziose chiavi di lettura per comprendere l’opera di Gina Pane nella sua interezza.
Le azioni in studio e in pubblico (1971-1979):
All’inizio degli anni Settanta, l’artista realizza le “azioni” in un primo momento in studio, senza pubblico, in seguito in appartamenti privati, gallerie e in diversi luoghi istituzionali.
Sono performances concepite nei minimi dettagli: una sequenza ben precisa di gesti e di pose, che lascia poco spazio al caso e include un repertorio simbolico di oggetti. La lama del rasoio, elemento ricorrente, serve a provocare ferite superficiali da cui il sangue dell’artista sgorga come energia vitale, come portatore del dono di sé e dell’amore condiviso.
Queste “azioni” eseguite davanti a un pubblico, la visione del sangue che sgorga, e la documentazione fotografica studiata in anticipo, sono per l’artista il mezzo ideale per ridurre le distanze tra gli individui, per restituire autenticità al linguaggio del corpo, per avvicinarsi all’altro, al suo dolore, alle sue passioni. Lo si legge chiaramente nelle riflessioni teoriche di Lettre à un(e) inconnu(e) in cui Gina Pane scrive “Se apro il mio corpo affinché voi possiate guardarci il vostro sangue, è per amore vostro: l’altro. (...) Ecco perché tengo alla VOSTRA presenza durante le mie azioni”.
In “Escalade non anesthésiée” (Scalata non anestetizzata) del 1971, l’artista si arrampica su un oggetto-scala di metallo, con punte taglienti. Qui Gina Pane dichiara chiaramente il suo impegno politico e sociale e introduce per la prima volta il dolore e l’immagine della sofferenza del proprio corpo nella sua produzione artistica.
In “Azione sentimentale” (Galleria Diagramma, Milano, 1973), forse tra le opere più descritte e commentate dalla critica, Gina Pane si rivolge a un pubblico composto soprattutto da donne e, con una coreografia precisa che si svolge intorno a un mazzo di rose rosse e poi bianche, sensibilizza le spettatrici sulla condizione femminile.
“Psychè” (Psiche), presentata da Gina Pane nel 1974, è invece la più visionaria di tutte le azioni dell’artista. Lo testimoniano appunti, schizzi, disegni preparatori e documenti fotografici che permettono di tracciarne la genesi, dalle prime note del progetto fino al titolo definitivo, “Action Psychè (Essai)”. Il dolore “per amore vostro” ritorna: questa volta con delle ferite autoinflitte sopra le palpebre, che simulano un pianto di sangue, e soprattutto con l’incisione di una forma a croce sul ventre, in corrispondenza dell’ombelico.
In tutte le “azioni” il punto essenziale per Gina Pane era la documentazione fotografica, e non lo svolgimento effettivo della performance. L’opera propriamente detta è quindi quella che Gina Pane chiamava “constatazione” (constat photographique).
In “Psychè” la “constatazione” si compone di fotografie assemblate in sequenza dall’artista secondo un montaggio ben preciso, ideato concettualmente già nelle primissime fasi dello sviluppo dell’opera. Al Mart la “constatazione” di Psychè sarà esposta nella sua interezza; si tratta di 27 pannelli murali, in cui la sequenza fotografica è affiancata da disegni, appunti e immagini. È la prima volta in assoluto che l’opera viene esposta nel modo in cui l’artista l’ha concepita: il visitatore avrà la possibilità di capire e ricostruire la genesi dell’opera forse più intensa di Gina Pane
Partitions e Icônes (1980-89):
Alla fine degli anni Settanta, quando ormai è sempre più nota sulla scena internazionale e incarna, grazie alle sue azioni, la figura di grande artista della Body Art francese, Gina Pane intraprende nuove sperimentazioni.
Al periodo delle “azioni”, infatti, seguono le installazioni in cui il corpo dell’artista è assente, ma che evocano le azioni precedenti con elementi fotografici e oggetti connotati da una forte carica simbolica.. Si tratta delle Partizioni (divisione, spartizione, ma anche partitura) dove lo spettatore è costretto ad un coinvolgimento più fisico che mentale. La scena è composta da una serie di oggetti e immagini fotografiche disposte in modo tale da lasciare al pubblico il compito di ricostruire i frammenti che compongono l’opera in una lettura simultanea, e allo stesso tempo a spostare lo sguardo da un elemento all’altro. Una volta ricostruito l’insieme, il risultato può produrre una deviazione e riportare lo spettatore ad una nuova ricostruzione dei frammenti.
Nelle opere convivono registri opposti: il ludico e il tragico dialogano tra loro, così come nelle azioni si alternavano momenti di tensione e momenti più rilassati e giocosi.
Il lavoro sui materiali, specialmente il vetro e i metalli, ai quali l’artista conferisce significati particolari, occupa un posto preponderante nelle opere ispirate ai santi e ai martiri, come testimonia François d’Assise trois fois aux blessures stigmatisé. Vérification – version 1, 1985 – 1987, o anche Le manteau aux stigmates pour pauvre et riche del 1986 - 1988.
Pochi artisti hanno investito con altrettanta forza e con altrettanto rigore la dimensione corporale in tutti i suoi significati: corpo sociale, corpo biologico, corpo cosmico. Che il corpo si esprima come messa in scena o come assenza – per essere meglio evocato – il linguaggio plastico elaborato da Gina Pane è senza precedenti. La carica emotiva e spirituale che attraversa la sua opera non si limita a essere ricondotta a un’epoca o a una corrente, ma in un registro universale che la rende senza tempo. Non sorprende che oggi Gina Pane sia considerata e citata dalle giovani generazioni come un punto di riferimento, affascinante ed esemplare.
Cenni biografici
Nata nel 1939 a Biarritz da madre austriaca e padre italiano, nel 1961 Gina Pane lascia l’Italia, dove ha trascorso l’infanzia e l’adolescenza, per studiare all’Ecole des Beaux-Arts di Parigi. Nella capitale francese partecipa ai lavori dell’Atelier d’Art Sacré fondato da Maurice Denis.
Dal 1965 realizza sculture e installazioni che invitano il visitatore a riflettere sul corpo, tema centrale delle sue creazioni fin da questa prima fase.
Nel 1968 l’artista si isola entrando in relazione con la natura e realizza delle azioni in situ, mettendo il suo corpo in dialogo con gli elementi naturali. Le “azioni” che Gina Pane concepisce dagli inizi degli anni Settanta in studio e poi in pubblico la collocano tra gli esponenti di punta della corrente della Body Art in Francia. Il corpo, di cui l’artista rivela ed esplora il linguaggio – biologico, psicologico, estetico e sociale – è il medium stesso dell’opera. Le ferite superficiali che si infligge con una lama di rasoio ne esprimono la fragilità, mentre il sangue manifesta l’energia vitale che il corpo contiene.
Negli anni Ottanta Gina Pane realizza opere chiamate Partitions, un insieme tra installazione e scultura rivolte a evocare il ricordo del corpo e delle azioni precedenti. La questione del sacro – che sottende tutta la sua opera – si manifesta in modo più esplicito nelle sue ultime ricerche, ispirate ai santi martiri. Dal 1975 al 1990 insegna pittura all’Ecole des Beaux-Arts di Les Mans. Nel 1978 crea e anima un atelier di performance al Centre Pompidou. In seguito a una lunga malattia, Gina Pane muore a Parigi nel 1990.
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Afro
Il periodo americano
Dal 17 marzo al 8 luglio 2012 il Mart celebra i cent’anni dalla nascita di un artista italiano tra i più amati all’estero. In mostra molte opere mai esposte, provenienti da collezioni internazionali.
Nel 1948, il trentaseienne pittore di Udine Afro Libio Basaldella – allora in rapidissima maturazione stilistica – fu presentato alla gallerista Catherine Viviano, che stava per aprire uno spazio espositivo tutto dedicato all’arte contemporanea italiana sulla East 57th Street di New York.
Afro, già di suo desideroso di evadere da una scena nazionale di cui avvertiva tutto il conformismo, stava sperimentando una personale revisione di cubismo, surrealismo e metafisica. Era una pittura astratta, che rifiutava di prendere posizione tra i gruppi di tendenza attivi in Italia, e cercava invece di aprirsi al confronto con un ambito internazionale.
Il risultato arrivò: gli anni migliori della produzione di Afro, sono quelli tra il 1948 e il 1968, in cui il pittore collaborò con gallerie e istituzioni americane, vivendo a lungo negli Stati Uniti e raccogliendo grandi successi che posero le basi di una duratura notorietà internazionale.
Il Mart in coincidenza con i cento anni dalla nascita di Afro, documenta e presenta al pubblico questo “periodo americano”. Si tratta di opere appunto importanti per la vicenda dell’artista, ma poco o addirittura mai viste nel nostro paese perché conservate quasi tutte in musei statunitensi.
“Afro. Il periodo americano”, a cura di Gabriella Belli con Margherita de Pilati e la Fondazione Archivio Afro sarà aperta al Mart di Rovereto dal 17 marzo al 8 luglio 2012. La mostra comprende 39 opere provenienti da collezioni pubbliche americane, canadesi e brasiliane. Nel catalogo, edito da Electa, sono presenti i saggi di Raffaele Bedarida, Gabriella Belli, Adrian R. Duran e Rosemary Stewart Ramsey le schede a cura di Davide Colombo e Ana Gonçalves Magalhães, e apparati a cura dell’Archivio Afro di Roma.
La mostra
A New York, nel gennaio del 1950, Afro espone alla mostra “5 Italians Painters” alla Catherine Viviano Gallery, insieme a Corrado Cagli, Renato Guttuso, Ennio Morlotti e Armando Pizzinato. Il 15 maggio dello stesso anno, l’artista allestisce la sua prima personale oltreoceano. Va notato che già l’anno prima Afro è presente nella mostra “XXth Century Italian Art”, organizzata da Alfred Barr e James Thrall Soby al MoMA di New York. Un evento che, come scrive Rosemary Stewart Ramsey in catalogo, “mirava a mitigare i pregiudizi verso una scena artistica apparentemente provinciale e a costruire ponti con una nazione non più nemica attraverso la diplomazia culturale e un mercato artistico che stava ritrovando slancio”
Ma sono le mostre presso la Viviano Gallery a consacrare Afro. “5 Italian painters” è recensita favorevolmente dalla critica Aline B. Loucheim sul New York Times; il giudizio riservato ad Afro è nettissimo: “Afro è il più sereno dei cinque. Il trattamento astratto di temi come la “Sfinge” e “San Martino” possiede una qualità poetica, una rara dignità. Il blu-nero inchiostro e i tenui rosa lampone evocano i mistici passaggi cromatici di un affresco di Piero della Francesca. Tutto questo rimanda, ovviamente, alla Scuola di Parigi. Ma presenta personali tratti di vivacità, vigore, letizia e un’irresistibile concentrazione sulla pura bellezza visiva.” Alcune delle venti opere esposte nella personale di maggio, realizzate tra il 1948 e il 1950, sono in seguito acquistate da importanti musei americani, come la Albright-Knox Art Gallery di Buffalo, la Barnes Foundation di Philadelphia e il Cincinnati Museum of Art.
La mostra del Mart documenta estesamente questo snodo fondamentale della pittura di Afro, con opere come “Concertino”, “La Dormeuse”, o “Dispetto” (tutti del 1948). “Dispetto”, in particolare, è un’opera importante, perché, come nota Adrian R. Duran nel testo in catalogo, “rivela la persistente influenza di Picasso, disponendo le forme centrali su uno sfondo liberamente geometrico, elaborato con ampie pennellate”.
Una seconda personale alla Catherine Viviano Gallery, nel 1952, segnala una nuova svolta nella pittura di Afro, che si allontana dai toni smorzati degli anni Quaranta e sviluppa uno stile maturo, riccamente cromatico e fortemente espressivo. La “Composizione astratta” del 1952, proveniente dallo Smith College Museum of Art di Northampton e mai uscita da questa sede prima d’ora, è una straordinaria documentazione di questo periodo.
Nel 1955, Afro diventa uno degli artisti italiani più noti negli Stati Uniti, come testimonia la sua partecipazione alla grande collettiva del MoMA “The New Decade: 22 European Painters and Sculptors”, dove vengono presentate le principali tendenze dell’arte non figurativa europea. Lo stesso anno, Afro tiene una personale alla Washington University di Saint Louis e prende parte alla giuria del “Pittsburgh International Prize”.
In mostra sono presenti anche le opere “Cera persa”, “Golfo degli Aranci” e “Pietra Serena”, tutte realizzate nel 1957, esposte il 25 novembre 1957 alla terza personale di Afro da Catherine Viviano, e acquistate da importanti collezionisti privati americani e successivamente rientrate recentemente in Europa.
Verso la fine degli anni Cinquanta, Afro insegna al Mills College di Oakland, in California. In questo periodo Afro viene invitato dal Comité des conseillers artistique dell’UNESCO a realizzare un’opera murale per la parete di un vestibolo al settimo piano della nuova sede dell’organizzazione culturale delle Nazioni Unite a Parigi, come parte integrante del progetto di decorazione dell’edificio, che vedeva coinvolti grandi artisti come Karel Appel, Jean Arp, Alexander Calder, Sebastian Matta, Joan Mirò, Henry Moore, Isamu Noguchi, Pablo Picasso e Rufino Tamayo. È una commissione che dimostra inequivocabilmente il successo internazionale del lavoro di Afro, e in cui l’artista si immerge totalmente e dà vita a un lavoro che si pone come tappa centrale del suo percorso artistico. Dal 18 maggio al 12 giugno 1959 Afro espone 27 studi, schizzi e bozzetti a inchiostro, carboncino, penna, acquerello e collage presso la Viviano Gallery La mostra ha un grande successo e la critica americana saluta con favore l’ampiezza gestuale dei disegni e la liberazione delle forme.
La sezione finale della mostra del Mart presenta cinque di questi lavori, uno dei quali, “Il Giardino della Speranza”, 1958 di notevoli dimensioni.
Il Mart ringrazia:
Provincia autonoma di Trento
Comune di Trento
Comune di Rovereto
in partnership con
UniCredit
Vini de Tarczal
Con il sostegno di
Premio Terna
partner tecnici
Cartiere del Garda
Trentino Marketing
vettore ufficiale: Ferrovie dello Stato
per le attività didattiche Casse Rurali Trentine
Responsabile Comunicazione Flavia Fossa Margutti
Ufficio stampa:
press@mart.trento.it
Luca Melchionna 0464.454127 cel 320 4303487
Clementina Rizzi 0464.454124 cel. 338 6512683
Venerdì 16 marzo 2012
Conferenza Stampa ore 12.00
Inaugurazione ore 18.00
MartRovereto
Corso Bettini, 43 38068 Rovereto (TN)
Orari: mar-dom 10.00-18.00 ven 10.00-21.00.
aperto l'8 e il 9 aprile ore 10-18
Tariffe: Intero 11 Euro
Ridotto: 7 Euro
Gratuito fino ai 14 anni