Doing Time. L'artista utilizza vetri, specchi, carte argentate, foto o plastiche dipinte, materiali lucidi e trasparenti assemblati all'interno di installazioni: una sorta di set per reveries e attivita' mnemoniche involontarie.
Pavillon inaugura il suo secondo progetto con l’artista islandese Gudrun Benonysdottir(Guðrún Benónýsdóttir) alla sua prima personale in Italia.
Il titolo “Doing time” richiama principalmente il rapporto con il passato, il farsi del tempo e la produzione di memoria.
“Doing time” è anche concepito come il prototipo di una mostra itinerante da Lucca a Reykjavik a partire dal catalogo, che diventa parte integrante del progetto.
Spesso un catalogo costituisce una versione di una mostra. Può essere sia del tutto autonomo oppure il solo oggetto prodotto, introducendo in ogni caso al rapporto tra una mostra e la sua documentazione.
L’artista utilizza vetri, specchi, carte argentate, foto o plastiche dipinte, materiali lucidi e trasparenti assemblati all’interno di installazioni: sorta di set per rêveries e
attività mnemoniche involontarie.
La trasparenza è stata trattata da Walter Benjamin in Passagenwerk*. Le superci di vetro delle gallerie di fine Ottocento confondono interno ed esterno, diventando
parte della nuova percezione del mondo inaugurata dalla memoria distratta flâneur, dal viaggiatore che guarda sovrappensiero dal finestrino del treno in movimento, o
dallo spettatore del primo cinematografo. Alla visione surrealista della città come sogno e fantasmagoria, che in ultima istanza mostrava il carattere arcaico della modernità, Benjamin contrappone il risveglio: la presa di coscienza graduale della realtà e della storia. Si conosce difatti soltanto attraverso il ricordo. Ma ricordare è un risvegliarsi.
L’ambiente di Gudrun è un luogo reale, un set per rendere possibile l’attività del sognatore ad occhi aperti – come del resto, nel senso di Benjamin, anche il suo
risveglio. Una sorta di eterotopia, che è quasi il modello inverso dell'utopia. Laddove le utopie designano ambienti privi di un'eettiva localizzazione, le eterotopie sono
invece luoghi reali.
Eterotopia è un termine coniato da Michel Foucault per indicare i luoghi aperti su altri luoghi, ma i cui rapporti risultano sospesi, neutralizzati o invertiti **. Sono ambienti altri, simultaneamente fisici e mentali, come lo spazio di una chiamata telefonica o il momento in cui ci si vede nello specchio. Un ambiente, dunque, volto a produrre nuove possibilità.
* W. Benjamin, Das Passagenwerk, a cura di R. Tiedemann, Gesammelte Schriften, Band V, Frankfurt a.M. 1982.
** M. Foucault, 1994 M. Foucault, Eterotopie, in: Archivio Foucault, Milano, Feltrinelli
Guðrún Benónýsdóttir (Islanda) vive tra Berlino e Reykjavik. Dal 1995 al 2003 studia a Parigi e presso la National Academy of the Arts di Oslo. Dopo il suo rientro in Islanda espone in spazi pubblici e privati nel Nord Europa (Fotogalleriet Oslo; Living Art Museum Reykjavik, etc.). Dal 2010 lavora al suo nuovo film d’artista. Il suo lavoro inoltre è stato presentato in pubblicazioni e riviste quali (“Endemi” magazine, “The art of not making” Thames & Hudson; “Apogee” Revolver; “Nesten” Askehaug).
Lavora attualmente a un M.A. degree per Educational studies all'Università dell'Islanda. Parallelamente alla sua attività artistica è tra i fondatori e direttori di Útúrdúr a a Reykjavík, casa editrice e bookshop specializzato per l'arte contemporanea ed è stata tra I fondatori della galleria islandese Kling and Bang.
Inaugurazione 16 marzo ore 17-19.30
Pavillon
via A. Mordini, 64 (gia' via Nuova) - Lucca
Ingresso libero solo su prenotazione