Fondazione Giuliani
Roma
via Gustavo Bianchi, 1
06 57301091
WEB
Oscar Tuazon
dal 19/4/2012 al 20/7/2012
mar - sab 15-19.30 e su appuntamento

Segnalato da

Elena Bari




 
calendario eventi  :: 




19/4/2012

Oscar Tuazon

Fondazione Giuliani, Roma

Con Scott Burton, Beau Dick, Peter Fend, Jackie Ferrara, Martino Gamper, Bruce Goff, Elias Hansen, Bea Schlingelhoff, Oscar Tuazon. "L'essenza di una sedia e' che quando la stai usando non la stai guardando. Puo' una scultura di una sedia puo' essere anche una sedia, puo' una cosa puo' avere una doppia identita', essere raddoppiata, transessualizzata, perche' non puo' una cosa puo' essere due cose?" (O. T.)


comunicato stampa

-----English below

“La base, o il piedistallo, è una forma specializzata del tavolo.”
– Scott Burton

Ho intitolato la mostra “Scott Burton” perché dovevo scegliere un nome che esprimesse il mio stato d’animo. Probabilmente avrebbe avuto più senso prendere il titolo da Bea Schlingelhoff, e chiamarla “Fuck The Participant”, un gioco di parole che avrebbe descritto più precisamente il dualismo presente nel lavoro di Burton, sottilmente perverso, antagonista, sexy. C’è un bellissimo autoritratto di Burton, in posa con una parrucca Afro e la faccia bianca, vestito con la salopette e un enorme dildo, che potrebbe benissimo essere il sottotitolo di Fuck the Participant.

Credo di aver provato a diventare Scott Burton. Non so come fanno gli altri, ma io ho fatto così. Ed è stato strano. Un demone è entrato nella mia testa. All’improvviso ero solo dentro la casa di quel demone. Ho provato a costruire i piedistalli, ho provato a costruire i tavoli. Ho letteralmente pensato di diventare un’altra persona, indossavo una maschera di Beau Dick. Dick fa maschere della tradizione cerimoniale Kwakiutl, oggetti designati ad avere una funzione—ma un’idea di funzionalità che si espande per includere stati e sogni allucinogeni. Chiamatela utilità psichica. Io non so come chiamarla, ma so quello che fa. Sono sicuro che Dick indossa le maschere mentre le costruisce, come Martino Gamper testa una sedia, sedendovisi, collaudandola col suo corpo. Che è qualcosa che non puoi dire della pittura. Bea dice “la pittura è una tecnica che potrebbe essere intrinsecamente sospetta”, ed io tendo ad essere d’accordo con lei.

I rendering di Bruce Goff, l’originale architetto criminale, sembrano più illustrazioni di fantascienza che architetture tradizionali. Si può immaginare Goff, in pigiama di seta, mentre costruisce nella sua testa scale frattali in cristallo, porta alla luce orbite, indora l’intero portale, dentro e fuori. Anche io e Elias ci abbiamo provato, non è andata bene. Jackie Ferrara ha adottato un approccio più sistematico, rigoroso e lineare, un metodo che si ripete. Ferrara, uno dei pochi artisti che si sono avventurati nella pericolosa zona tra la scultura e l’arredo prima di Burton, è conosciuta principalmente per i lavori tridimensionali. L’ampia selezione di disegni e fotografie inclusi nella mostra, sebbene appartenga a un periodo che va dal 1981 al 2007, dimostra una notevole coerenza. Senza pretese e sobri, i disegni hanno una rara chiarezza didattica—leggendoli è quasi un’esperienza fisica.

Scott Burton fu invitato a disegnare le sedute per la galleria d’arte del Massachusetts Institute of Technology mentre stavano ancora progettando l’edificio e trascorse molto tempo a studiare le planimetrie con l’architetto, I. M. Pei, focalizzandosi alla fine su un particolare elemento dell’edificio. La proposta di Burton fu una panchina di granito nella hall, il cui schienale fungeva da ringhiera del mezzanino del palazzo, scomparendo silenziosamente nell’architettura dell’edificio. Da un altro punto di vista, la proposta di Burton travisa la funzione prestabilita dello spazio, creando una zona di confusione al centro dell’edificio. Credo che questo si chiami “dominare dal basso.” Certo, questo gesto radicale era illegale poiché trasgrediva il regolamento edilizio sull’utilizzo e sull’altezza della ringhiera. La proposta fu considerata troppo pericolosa da realizzare, e quindi Burton trasformò l’idea iniziale in un’elegante e sobria panchina che seguiva a distanza la curva della ringhiera, sparendo di nuovo.

Il lavoro di Burton è caratterizzato da invisibilità—perversamente banale, non appariscente, brutto, doloroso sui genitali, masochistico—e una specie di brutale auto-riconoscimento, realismo doloroso. Brancusi ha trovato un nome, ‘scultura pragmatica’ che a Burton piaceva usare, ma lui era più severo con se stesso rispetto a Brancusi. Mentre Burton era un vero nichilista, Peter Fend rimane, per qualche oscura ragione, un incurabile ottimista, l’unica persona che mi viene in mente che ancora crede, ardentemente, nella potenzialità rivoluzionaria di un’opera d’arte nel trasformare il mondo. Quello che condividono, a parte un amore masochista per il fallimento, è un ideale visionario e ispirante di un’arte invisibile, ubiqua, elementare. Viva nel mondo. E, come i disegni di Ferrara, decisamente parziale, incompleta—istruzioni che attendono azione.

L’essenza di una sedia è che quando la stai usando non la stai guardando. Può una scultura di una sedia può essere anche una sedia, può una cosa può avere una doppia identità, essere raddoppiata, transessualizzata, perché non può una cosa può essere due cose?

Oscar Tuazon è nato nel 1975 a Seattle, USA. Vive e lavora a Parigi. Tra le personali più recenti si segnalano: Galerie BaliceHertling, Parigi (con Elias Hansen, maggio 2012); Manual Labor, Galerie Eva Presenhuber, Zurigo (2012); Die, The Power Station, Dallas (2011); STEEL, PRESSURE-TREATED WOOD, OAK POST, OFFICE CHAIR, INDUCTION STOVETOP, ALUMINUM, Standard (Oslo), Oslo (2011); America Is My Woman, Maccarone, New York (2011); My Mistake, ICA – Institute of Contemporary Art, Londra (2010); Oscar Tuazon, Kunsthalle Bern, Svizzera (2010). Tra le mostre collettive: Whitney Biennial 2012, Whitney Museum of American Art, New York (2012); The Language of Less, Museum of Contemporary Art, Chicago (2011); ILLUMInazioni (a cura di Bice Curiger), 54. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia (2011).

Immagine: Oscar Tuazon, Two-part Chair, ink on paper, 2012

Ufficio stampa:
Elena Bari | NewRelease – info@newrelease.it – +39 3289781241

Inaugurazione venerdì 20 aprile 2012 dalle 18:00 alle 22:00

Fondazione Giuliani per l’arte contemporanea
via Gustavo Bianchi, 1 – 00153 Roma
da martedì a sabato dalle 15:00 alle 19:30, e su appuntamento

-----English

Scott Burton
by Oscar Tuazon

with Scott Burton, Beau Dick, Peter Fend, Jackie Ferrara, Martino Gamper, Bruce Goff, Elias Hansen, Bea Schlingelhoff, Oscar Tuazon

“The base, or pedestal, is a specialized form of table.”

– Scott Burton

I called the show “Scott Burton” because I had to put a name on how I feel. Probably it would have made more sense to take the title from Bea Schlingelhoff, and call it “Fuck The Participant”, a pun that would have described more accurately the dual nature of Burton’s work, subtly perverse, antagonistic, sexy. There’s a great self-portrait of Burton, posing in Afro wig and white face, wearing overalls and an enormous dildo, that could very well be subtitled Fuck the Participant.

I guess I tried to become Scott Burton. I don’t know how other people do it, but that’s how I do it. Which was strange. A demon came into my head. Suddenly I was alone inside that demon’s house. I tried to build pedestals, I tried to build tables. I thought very literally about becoming another person, I was wearing a Beau Dick mask. Dick makes masks in the Kwakiutl ceremonial tradition, objects designed to serve a function—but an idea of function expanded to include hallucinatory states and dreams. Call it psychic utility, I don’t know what to call it but I know what it does. I’m sure that Dick tries on the masks while he makes them, the way Martino Gamper tests the feel of a chair, by occupying it, testing it out with his body. Which is something you can’t say about painting. Bea said “painting as a medium might be inherently suspect,” and I tend to agree with her.

The renderings of Bruce Goff, the original outlaw architect, are closer to science fiction illustration than to traditional architecture. You can imagine Goff, in silk pajamas, building crystal fractal staircases in his mind, unearthing the orb, gilding the entire portal, inside and out. Elias and I tried that too, it was bad. Jackie Ferrara has taken a more systematic approach, rigorous and lean, a self-replicating program. Ferrara, one of the few artists to have ventured into the dangerous zone between sculpture and furniture prior to Burton, is known primarily for three-dimensional works. The extensive selection of drawings and photographs included in the exhibition, though they span the period from 1981-2007, display a remarkable consistency. Unpretentious and plain, the drawings have a rare didactic clarity—reading them is an almost physical experience.

Scott Burton was invited to do the seating for the MIT art gallery while the building was still being designed and he spent a lot of time going over the plans with the architect, I. M. Pei, finally fixating on a particular feature of the building. Burton’s proposal, of a stone bench in the lobby of the space, incorporated the hand railing of the building’s mezzanine as the backrest for the bench, quietly disappearing into the architecture of the building. Or, looked at another way, Burton’s proposal perverts the proscribed function of the space, opening a zone of confusion at the center of the building. I think that’s called topping from the bottom. Of course this radical gesture was actually illegal, contravening the building code for handrail height and use. The proposal was deemed too dangerous to build, and Burton moved on, developing the initial idea into an elegant and restrained bench, following the curve of the handrail from a distance, disappearing again.

Burton’s work is characterized by invisibility—perversely banal, inconspicuous, ugly, painful on the genitals, masochistic—and a kind of brutal self-recognition, painful realism. Brancusi came up with a name, ‘pragmatic sculpture’ that Burton liked to use, but Burton was a lot harder on himself than Brancusi ever was. Whereas Burton was a true nihilist, Peter Fend remains, for some unknown reason, an incurable optimist, the only person I can think of who still believes, fervently, in the revolutionary potential of an artwork to transform the world. What they share, apart from a masochistic love of failure, is a visionary and inspiring ideal of art as invisible, ubiquitous, elemental. Alive in the world. And, like Ferrara’s drawings, resolutely partial, incomplete—instructions awaiting action.

The thing about a chair is that when you’re using it you aren’t looking at it. Can a sculpture of a chair can also be a chair, can a thing can have a dual identity, be doubled, transsexualized, why can’t a thing can be two things?

Oscar Tuazon (b. 1975, Seattle, USA) lives and works in Paris. Recent solo shows include Galerie BaliceHertling, Paris (with Elias Hansen, upcoming); Manual Labor, Galerie Eva Presenhuber, Zurich (2012); Die, The Power Station, Dallas (2011); STEEL, PRESSURE-TREATED WOOD, OAK POST, OFFICE CHAIR, INDUCTION STOVETOP, ALUMINUM, Standard (Oslo), Oslo (2011); America Is My Woman, Maccarone, New York (2011); My Mistake, ICA – Institute of Contemporary Art, London (2010); Oscar Tuazon, Kunsthalle Bern, Switzerland (2010). Selected group exhibitions include Whitney Biennial 2012, Whitney Museum of American Art, New York (2012); The Language of Less, Museum of Contemporary Art, Chicago (2011); ILLUMInations (curated by Bice Curiger), 54th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, Venice (2011).

Image: Oscar Tuazon, Two-part Chair, ink on paper, 2012

Press contact:
Elena Bari | NewRelease – info@newrelease.it – +39 3289781241

Opening Friday 20th April 2012 6:00 to 10:00pm

Fondazione Giuliani per l’arte contemporanea
via Gustavo Bianchi, 1 – 00153 Rome Italy
Tuesday through Saturday from 3:00pm to 7:30pm, and by appointment

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