Un ripostiglio monetale della fine del XVIII secolo. L'esposizione, affiancata da un filmato multimediale, presenta 1174 monete in gran parte in buona lega d'argento al fine di richiamare a una memoria storica che rimanda a un'economia di altri tempi.
Gruzzoli, tesoretti, ripostigli, nomi diversi con cui indicare monete o altri oggetti preziosi nascosti dai loro proprietari per evitarne il furto, la requisizione, la tassazione o il sequestro
Quello di Faenza, più di mille monete in gran parte in buona lega d'argento, racconta molte storie, fotografando la Faenza pontificia e la sua situazione socio-economica all'avvicinarsi dell'armata napoleonica, e illustrando un campionario pressoché esaustivo delle monete presenti sul mercato romagnolo intorno al 1796
Doppio giulio da venti baiocchi, Benedetto XIV, ritratto del pontefice. Il gruzzolo di Faenza
Un ripostiglio monetale della fine del XVIII secolo
“Durante un piccolo lavoro di ristrutturazione nello scantinato di casa, in un angolo del muro vicino al pavimento, senza rendermene conto ho colpito con il martello una ciotola di terracotta che si trovava in una nicchia creata tra le pietre.
Così dev'essere apparso il gruzzolo a Vittorio Gambi al momento della scoperta nel 1993 (ricostruzione Roberto Macri, SBAER)La ciotola, rotta nella parte superiore vicino al coperchio di ferro, lasciava cadere per terra delle monete. Una volta estratta dal muro, ho notato che la parte rimasta intatta della ciotola conteneva ancora molte monete, sistemate in verticale e incastrate in modo ordinato tra loro. Con grande stupore e curiosità ho estratto le monete, erano moltissime e non mi capacitavo di come potessero essere tutte contenute in quella piccola ciotola.” Così racconta Vittorio Gambi, proprietario dell'immobile situato nel centro storico di Faenza, ricordando l'emozionante momento della scoperta, del tutto casuale, avvenuta nell'ormai lontano 1993.
In questi quasi vent'anni, sono successe molte cose. Superato il primo momento di comprensibile sorpresa, il Sig. Gambi parla subito dell'inconsueto rinvenimento a un parente che a sua volta, conoscendo l'ispettore onorario della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Emilia-Romagna, li mette in contatto. Durante l'incontro, Gambi esprime la volontà di rendere pubblico il rinvenimento, consapevole di avere trovato qualcosa di importante per la storia della propria città.
Ricevute le monete, la Soprintendenza inizia lo studio del gruzzolo, a cui fa seguito una pubblicazione, diffusa solamente tra gli specialisti numismatici; nonostante resti del tutto ignota ai cittadini faentini e al grande pubblico, lo studio ha comunque il merito di rendere nota alla comunità scientifica questa importante scoperta.
L'occasione per condividerla con tutti si materializza quando il Credito Cooperativo ravennate e imolese, rispettando la volontà del rinvenitore, esprime l’intenzione di mostrare al pubblico il gruzzolo, corredandolo di una nuova pubblicazione che documenti in modo esaustivo il rinvenimento. E quale luogo migliore di una banca per esporre questo piccolo tesoro? Pare quasi di sentire il sospiro di sollievo di chi, alla fine del XVIII secolo, aveva voluto nascondere, e quindi proteggere, questo bel gruzzolo di monete...
Il gruzzolo è composto da 1174 monete, di cui il 71% in buona lega d'argento (per un peso complessivo di kg. 1,749) e il 29% di lega d'argento bassa, comunemente detta mistura (per un peso di kg. 1,191); le due monete residue sono in rame.
A parte 39 pezzi datati tra Clemente VIII (1592-1605) e Innocenzo XII (1691-1700), il 3% di tutto il ripostiglio, il grosso del gruzzolo è stato emesso nel XVIII secolo, con il 1796, anno di coniazione di quella più recente, a fissare il terminus post quem della formazione di questo ripostiglio. La maggior parte delle monete appartengono allo Stato della Chiesa di cui Faenza faceva parte dai primi decenni del Cinquecento. Le emissioni più numerose sono quelle relative ai papi Clemente XI (1700- 1721), 108 monete, Clemente XII (1730–1740), 253 monete, Benedetto XIV (1740–1758), 373 monete, e Pio VI (1775–1799), 223 monete; a queste si aggiunge un piccolo nucleo di monete appartenenti ad altri Stati (il Granducato di Toscana, la Spagna e l'area germanica), nonché quelle coniate nelle sedi vacanti del 1689, 1740, 1758, 1769 e 1774-1775.
Non deve stupire la presenza di monete provenienti da altri Stati, visto che per ovviare alla mancanza di monete in argento ed oro, lo Stato Pontificio consentiva all’interno del suo territorio la libera circolazione dei grandi nominali appartenenti a Stati esteri.
La mostra "Il gruzzolo di Faenza", collocata nella sala aperta al pubblico della Sede di Faenza del Credito Cooperativo ravennate e imolese, lo rende fruibile da chiunque sia interessato a una memoria storica che rimanda a un’economia di altri tempi, certamente più chiusa ma anche più fragile. La mostra delle monete è affiancata da un filmato multimediale che permette al visitatore di ricevere un’informazione completa di tutte le opere degli artisti locali –piccole e grandi– presenti all’interno della Banca situata nel cuore del centro storico di Faenza, in provincia di Ravenna.
Durante il week end che chiude la 14° Settimana della Cultura, si tiene inoltre l'iniziativa "Porte aperte alla BCC", visite guidate alle mostre "Il gruzzolo di Faenza" e "Piccoli tesori della Bcc:opere di maestri artigiani dal XVIII secolo a oggi" allestite nei locali del Credito Cooperativo ravennate e imolese. L'appuntamento è per sabato 21, dalle 10 alle 12, e domenica 22 aprile 2012, dalle 10 alle 12 e dalle 15 alle 18.30
Sabato 21 aprile 2012, dalle ore 17, presso il Teatro Masini di Faenza, in Piazza Nenni/Molinella n. 3, si terrà il convegno "Monete ieri, Moneta oggi", collegato alla mostra "Il gruzzolo di Faenza" e all'omonima pubblicazione curata da Michele Chimienti e da Chiara Guarnieri, archeologa della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Emilia-Romagna.
Il programma del Convegno prevede l'introduzione e la presentazione dei lavori a cura di Secondo Ricci, Presidente Credito Cooperativo ravennate e imolese, e Edo Miserocchi, Direttore Generale Credito Cooperativo ravennate e imolese.
Dopo il video che sintetizza i punti chiave dell'esposizione, avrà luogo la presentazione del volume “Il gruzzolo di Faenza” a cura di Chiara Guarnieri, Archeologa e Direttore Coordinatore della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Emilia-Romagna, e Michele Chimienti, Numismatico e studioso de "Il Gruzzolo di Faenza: un tesoro culturale". Il Convegno si chiuderà con una conversazione sul tema “Dalle monete di ieri, alla moneta di oggi, l’Euro”, con Vera Negri Zamagni, professore ordinario di Storia Economica all'Università degli Studi di Bologna.
Quali furono le circostanze che portarono all'occultamento del gruzzolo? Il rinvenimento di ripostigli di monete è sempre l'indicatore di una fase di instabilità politica ed economica: in tempi difficili si tende a risparmiare e, se sopraggiungono ulteriori difficoltà, anche a nascondere quanto si è riusciti a mettere da parte, in attesa di recuperare il tutto quando le condizioni fossero migliorate. È evidente che ciò non è riuscito a chi aveva nascosto le monete, che sono rimaste là dove erano state nascoste per più di due secoli, fino al momento in cui, del tutto casualmente, sono state ritrovate.
L'analisi delle monete e del loro stato di conservazione ha permesso a Michele Chimienti, a cui è stato affidato lo studio del complesso, di proporre un'ipotesi riguardo la formazione di questo tesoretto: si tratta con ogni probabilità del frutto di risparmi prolungati nel tempo e occultati in tutta fretta per scongiurare il pericolo che questo gruzzolo di denaro venisse requisito dalle armate di Napoleone.
La battaglia decisiva che assicurò i territori romagnoli della Legazione Pontificia ai francesi avvenne infatti il 2 febbraio 1797 sul fiume Senio, a breve distanza da Faenza; vinta la debole resistenza delle milizie pontificie la divisione Victor, assieme ad alcune compagnie della legione cispadana, occupò la città e in seguito Forlì, Ravenna e Rimini. Uno dei primi atti dei francesi fu di ingiungere il pagamento di una taglia di quattro milioni di lire che si sommava alla confisca delle casse pubbliche e dei gioielli depositati in pegno presso il Monte di Pietà. Questi onerosi tributi, che in gran parte dovevano finanziare le guerre francesi, avevano anche lo scopo di riattivare la circolazione monetaria con la monetizzazione di grandi quantità d’argento. Basta leggere il Bando emesso nel novembre 1796 dal Senato bolognese per raccogliere l’argento preteso dall’armata francese per capire in quale situazione ci si trovasse, e giustificare l'occultamento del gruzzolo faentino.
Come negli altri stati italiani, la monetazione dello Stato Pontificio era sostanzialmente di due generi: “moneta reale” e “moneta plateale”. Per “moneta reale” s’intendeva quella d’oro o d’argento di titolo elevato, il cui contenuto metallico copriva quasi completamente il valore nominale della moneta. Per “moneta plateale” s’intendeva invece quella di basso titolo d’argento (50% o meno) chiamata anche “moneta di mistura” in quanto l’argento era legato con una rilevante quantità di rame. Di solito circolava in un’area territoriale limitata per un valore decisamente superiore al suo contenuto metallico
Vi elenchiamo di seguito la composizione del ripostiglio, suddiviso per numero di esemplari e qualità della lega; l'unica moneta non riportata è una di rame per la quale non si può individuare l’autorità emittente perché illeggibile.
Le monete più recenti del ripostiglio di Faenza sono state emesse nel 1796: è quindi assai probabile che sia questa la data della sua occultazione. Due le ipotesi di formazione del tesoretto: la prima, che le monete siano state raccolte in tutta fretta nel 1796, all’arrivo dei Francesi, allo scopo di nasconderle per il timore di requisizioni; l’alternativa è che il ripostiglio sia stato formato nel tempo con una funzione simile a quella di un salvadanaio (e comunque definitivamente nascosto all’arrivo dei Francesi). Il dato che fosse murato all’interno di una parete sembrerebbe escludere quest’ultima ipotesi, mancando la possibilità di un accesso continuo. C'è anche da dire che le monete più antiche mostrano tracce d’usura molto maggiori di quelle più recenti e ciò conferma che sono state occultate tutte assieme nel 1796. Il fatto che le monete di Benedetto XIV, emesse mezzo secolo prima, presentino invece un’usura limitata suggerisce che siano state messe da parte non molto tempo dopo la loro emissione.
Possiamo quindi concludere che il tesoretto sia stato il frutto di risparmi protratti nel tempo e che sia stato murato nel 1796 per il timore di perquisizioni.
Bando pontificio sul nuovo corso delle monete pubblicato a Roma il 14 dicembre 1786 e a Bologna l’8 gennaio 1787Il solo numero delle monete, senza tener conto del valore per cui circolavano, non dà l'idea della loro importanza nella formazione del ripostiglio; ma serve a poco anche paragonare il loro peso, poiché le monete di mistura hanno leghe di rame/argento diverse tra loro e quindi il valore per unità di peso è proporzionale alla qualità.
Michele Chimienti ha quindi confrontato il valore nominale delle singole monete con una tariffa ufficiale pubblicata a Roma il 24 dicembre 1786 e a Bologna l’8 gennaio 1787 (a sinistra), in cui le monete pontificie ed estere sono valutate in baiocchi. Con questo metodo, ha calcolato che il valore delle monete del ripostiglio di Faenza fosse approssimativamente di 9.571 baiocchi, corrispondenti a 95 scudi d’argento e 71 baiocchi. Quello delle sole monete d’argento era di 7.361 baiocchi (80% circa) e quello delle monete di mistura di 2.210 (20% circa). Il valore delle monete pontificie era di 8.181 baiocchi (85%), mentre quello degli altri stati (Toscana, area dell’impero spagnolo, area dell’impero austriaco e di quello germanico) era di 1.390 baiocchi (15%), nonostante il loro numero fosse proporzionalmente molto minore (meno del 2%).
Ma anche questo rende poco l'idea. Così, cercando negli archivi della Zecca di Bologna, Chimienti ha calcolato che il valore di 95 scudi d'argento, l'equivalente del tesoretto di Faenza, corrispondeva all'incirca al salario di due anni di un operaio oppure a un decimo di quanto poteva costare una modesta casa in Bologna.
Situazione monetaria delle Legazioni nel 1796
Chimienti osserva come i territori delle Legazioni, in particolare Bologna e Ferrara, avessero un’economia più sana rispetto al resto dello Stato Pontificio, in parte a causa di una bilancia commerciale positiva e in parte grazie a una politica monetaria più scrupolosa.
Nonostante nei periodi precedenti la Legazione di Ravenna, in cui faceva parte la città di Faenza, avesse avuto una circolazione monetaria analoga a quella delle altre due Legazioni, nell’ultimo decennio del XVIII secolo è assai probabile che abbia mostrato maggiori affinità con quella delle Marche e di Roma. Il sospetto nasce da un bando emesso a Roma il 23 dicembre 1795 (e pubblicato anche a Bologna il 2 gennaio 1796) in cui si vieta l’introduzione delle monete plateali coniate a Roma nel corso del 1795 solo nelle legazioni di Bologna e Ferrara, e non in quella di Romagna.
La conseguenza della grave crisi monetaria è la scomparsa dalla circolazione della buona moneta pontificia, in particolare di grosso modulo, e la corsa alla tesaurizzazione di ogni genere di buona moneta. Quanto ai grossi nominali d’argento, circolavano quasi esclusivamente quelli di provenienza estera, come i francesconi di Toscana ed i colonnati di Spagna. Quando poi iniziò ad avvicinarsi l’armata francese di Napoleone, accompagnata dalla fama delle sue requisizioni, la tesaurizzazione si estese certamente a qualsiasi genere di moneta valesse la pena nascondere, reale o di mistura che fosse.
È in questo clima che viene occultato il ripostiglio di Faenza.
Le requisizioni napoleoniche
Uno dei primi atti dei conquistatori fu l’ingiunzione del pagamento di una taglia di quattro milioni di lire che si sommava alla confisca delle casse pubbliche e dei gioielli depositati in pegno presso il Monte di Pietà. Questi onerosi tributi, che in gran parte dovevano finanziare le guerre francesi, avevano anche lo scopo di riattivare la circolazione monetaria con la monetizzazione di grandi quantità d’argento.
Resta il fatto che, in pratica, ogni cittadino doveva denunciare entro pochi giorni il peso esatto dell'argento posseduto (anche le posate e le fibbie, facendo eccezione solo per gli orologi). Nel caso che in seguito fosse necessario requisirli, gli veniva pagato subito l'importo totale in caso di requisizione di lieve entità, mentre sarebbero stati consegnati dei buoni fruttiferi, cioè della carta, per quelle più consistenti. Possiamo bene immaginare come questa risoluzione non sia stata molto gradita. Alla fine fu comunque raccolta un'enorme quantità di argento, forse non tanto per senso del dovere dei cittadini o per il loro desiderio di contribuire alla ripresa economica, quanto perché ben sapevano che dietro il Senato c’erano i Francesi che in fatto di requisizioni non scherzavano affatto. Con tutto quell'argento fu coniata un’enorme quantità di scudi da dieci paoli e di mezzi scudi da cinque. Il primo scudo fu emesso il 5 settembre 1796 e dopo 11 giorni uscì anche il mezzo scudo. Nei quattro mesi che seguirono, sino alla fine dell’anno, furono emesse dalla zecca bolognese monete d’argento per un valore di circa un milione di lire bolognesi.
Evidentemente il ripostiglio di Faenza venne occultato prima poiché non vi si ritrova nessuna di queste monete
Le monete estere
Francescone fiorentino del 1769 con scudo di forma sannitica e scritta "Lex tua veritas"Nel 1795 il leopoldino (scudo toscano chiamato anche francescone), le pezze di Spagna e gli scudi di Francia erano le monete estere di grande modulo che circolavano in maggior quantità nel territorio bolognese.
Se le monete toscane e spagnole sono ben rappresentate nel ripostiglio di Faenza, stupisce che non vi si trovi nessuno degli scudi francesi che un anno prima circolavano in abbondanza nel territorio bolognese. Resta il dubbio se questi fossero rapidamente scomparsi dalla circolazione nei territori delle legazioni o se fossero presenti per qualche ragione solo nel territorio bolognese e non in quello faentino.
Non può meravigliare che si trovino tante monete estere d’argento e di grande modulo in quanto le politiche economiche del tempo non escludevano la loro circolazione, se non addirittura ne favorivano l’afflusso, limitandosi eventualmente ad una modesta sottovalutazione. Infatti si riteneva che non creassero disordini economici come le moneta di mistura e di rame, il cui eccesso determinava la fuga all’estero della “moneta buona”. Potrebbe invece stupire il rapporto esistente tra il valore delle monete pontificie di grande modulo e quello delle monete estere, marcatamente sbilanciato a favore di queste ultime (1.500 baiocchi rispetto a 200). Tuttavia ciò è la prova della grave crisi economica dello Stato della Chiesa che aveva determinato l’esportazione dei nominali di grande modulo, sostituiti da quelli di minor valore intrinseco.
Per concludere, è evidente che il ripostiglio di Faenza non possa costituire un esempio perfetto di quanto circolasse nei territori delle Legazioni all’epoca dell’invasione napoleonica in quanto privo sia dei nominali d’oro (forse non alla portata di chi effettuò l’occultamento) sia, soprattutto, quelli di rame (inadatti a far parte di un ripostiglio per il basso valore rispetto al volume occupato)
Tuttavia per i restanti nominali d’argento e di mistura, che costituivano il fulcro del sistema monetario, il ripostiglio di Faenza può essere ritenuto un significativo esempio della circolazione monetaria di buona parte del XVIII secolo sino al 1796.
Catalogo "Il gruzzolo di Faenza. La scoperta di un tesoretto settecentesco" a cura di Michele Chimienti e Chiara Guarnieri (Bononia University Press, 2012)
Foto monete: Roberto Macrì (© Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna, 2012)
Restauri monete: Enrico Bertazzoli, Mauro Ricci, Micol Siboni, Monica Zanardi (Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna )
Un ringraziamento particolare all'archeologa Claudia Tempesta per l'allestimento della mostra
2 febbraio 1797, Battaglia del Senio
"Sinnius" per i romani, "Sinno" per i pellegrini medievali, il piccolo fiume Senio nasce in terra toscana, in quel di Palazzuolo, per confluire nel Reno nei pressi di Alfonsine.
Su questo fiume a breve distanza da Faenza si svolge il 2 febbraio 1797 la battaglia decisiva che assicura alle truppe napoleoniche i territori romagnoli della Legazione Pontificia. Vinta con poco sforzo la debole resistenza delle milizie pontificie, la divisione Victor e alcune compagnie della legione cispadana occupano Faenza ed in seguito Forlì, Ravenna e Rimini.
Un anno prima (1796) Napoleone aveva iniziato la Campagna d’Italia. Già nel primi giorni di maggio, a Faenza giunge notizia che le truppe francesi, al comando di Napoleone Bonaparte, sono arrivate in Piemonte, notizia che getta i faentini nello sconforto e inaugura una fitta serie di invocazioni religiose a protezione della città. Il terrore raggiunge l’apice il 19 giugno quando si viene a sapere che i francesi sono entrati prima a Bologna e poco dopo a Imola. Il 23 giugno 1796 una delegazione di faentini si reca da Napoleone per ottenere rassicurazioni in merito al trattamento della città ma la notte stessa i francesi marciano su Faenza puntandole contro sei cannoni che avevano razziato agli artiglieri pontifici di Imola. Nella mattina del 24 i francesi entrano in città con 800 uomini. Il primo atto è quello di confiscare tutte le munizioni, per passare poi al Pubblico Erario, dove sono requisiti 5000 scudi, e al Monte di Pietà da cui prelevano 70.000 scudi, più quattro cassoni d’oro e d’argento. Non è che l’inizio di altre onerose “contribuzioni” che tutta la comunità della Romagna dovrà versare ai francesi; la sola Faenza il 26 giugno 1796 dovrà contribuire con 45745 scudi.
Il primo febbraio 1797, Napoleone lancia da Bologna un proclama annunciando l’entrata in Romagna. Il 2 febbraio 1797 le truppe napoleoniche e quelle papaline si scontrano sul Ponte di San Procolo, sul fiume Senio. L’armata francese è composta da cinque legioni di fanteria, due di cavalleria, tre battaglioni di volontari lombardi e tre di volontari cisalpini al comando del generale Victor.
Le truppe del Papa sono impreparate e armate male: un migliaio di volontari guidati da sacerdoti e alcuni cittadini (la cosiddetta guardia civica) armati di lance, alabarde, armi da taglio e archibugi si affiancano a tremila soldati di fanteria, a centocinquanta di cavalleria e ad alcuni artiglieri con dieci cannoni. Si attestano al Ponte di San Procolo al comando del colonnello Carlo Ancajni di Spoleto. Il primo febbraio le truppe francesi si concentrano a Castel Bolognese. Prima dell’attacco, un ufficiale francese è inviato a chiedere all’Alcajni di lasciare il passo alle truppe in nome della Repubblica Francese, invito che viene respinto al mittente. Il generale Victor manda avanti i Lombardi e i cisalpini con il compito di assalire i Pontifici al ponte del Senio. Per tanti di loro è il battesimo del fuoco: molti di questi volontari vestono l’uniforme militare da non più di tre mesi. Quando inizia la battaglia i pontifici non sanno resistere all’attacco e si ritirano quasi subito dentro le mura di Faenza, lasciando in mano al nemico i cannoni e molti prigionieri.
Inizia con questa vittoria la conquista dello Stato Pontificio da parte di Napoleone, siglata con la pace di Tolentino del 19 febbraio 1797, con cui il Papa cede al futuro Imperatore dei Francesi i territori delle Quattro Legazioni (Bologna, Ferrara, Ravenna, Forlì) oltre a numerose opere d’arte e una forte indennità di guerra.
Promosso da: Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Emilia-Romagna e Credito Cooperativo ravennate e imolese
Catalogo: "Il Gruzzolo di Faenza. La scoperta di un tesoretto settecentesco", a cura di Michele Chimienti e Chiara Guarnieri (Bononia University Press)
Per informazioni: ufficio soci banca e territorio 331 1753966, 0546.690157 - 0546.690178
Inaugurazione sabato 21 aprile
Credito Cooperativo ravennate e imolese
Piazza della Libertà n. 14 Faenza
Orari: negli orari di apertura della banca lunedì-venerdì 8.20 - 13.20 e 14.30 - 16.30
Apertura straordinaria in occasione della XIV Settimana della Cultura: sabato 21, dalle 10 alle 12, e domenica 22 aprile, dalle 10 alle 12 e dalle 15 alle 18.30
Ingresso libero