Tempus mutandis. "Enrico elabora la struttura delle sue invenzioni fotografiche secondo precisi script concettuali e metodologici" (Luca Christe').
Con Enrico Fuochi, si inaugura il primo evento del terzo anno di attività espositiva proposta da
Phf Photoforma presso lo Spazio Pretto di Trento.
Si terrà sabato 5 maggio la prima rassegna organizzata da Phf Phptoforma dal titolo "Tempus mutandis" del fotografo trentino Enrico Fuochi. La rassegna inaugura una serie di eventi espositivi dedicati alla fotografia.
Enrico Fuochi è un autore affermato, decisamente eclettico e creativo e che fonda la sua lunga
esperienza fotografica sia in un’intensa attività di ricerca personale, sia, sotto il profilo teorico,
negli studi sul linguaggio, l’estetica e la critica fotografica compiuti al DAMS di Bologna.
La proposta di “Tempus mutandis” trae fondamento da quell’impegno alla sperimentazione e
dalla capacità di “costruire immagini” e “raccontare storie”, che sono peculiarità operative ed
espressive di Enrico Fuochi. Come ho avuto modo di scrivere nella presentazione del suo
penultimo importante libro “FotoStorie di ordinaria immigrazione”
“... Quella di Fuochi è una fotografia “lenta”, costruita, ancor prima che eseguita,
entro uno spazio mentale che non lascia nulla all’improvvisazione o al caso.
Enrico,elabora la struttura delle sue “invenzioni” fotografiche secondo precisi script
concettuali e metodologici. In un certo senso, superando il rischio di una
connotazione “fredda” o troppo “razionale” derivante dal termine, mi sentirei di
dire che Enrico Fuochi è “un’analista”. Per precisione, al fine di comprendere la
corretta prospettiva con cui intendere questo termine, aggiungerei: un “analista
situazionale ...”
Nello
specifico
caso
di
“Tempus
mutandis”,
l’immagine
fotografica,
anche
grazie
all’intenzionalità dell’autore di giocare letteralmente su una possibile, quanto bislacca e
spritosa, designazione del titolo, diviene parodia di una condizione di evidente surrealtà.
Fuochi inventa immagini nelle quali l’Oggetto non è frutto di un “ritrovamento” (come avviene
nella più prevedibile fotografia reportagistica o di street), ma è composto e “assemblato” dallo
stesso autore secondo soluzioni che, apparentemente oniriche e prive di collegamento con la
realtà, sono in realtà figlie di un preciso intento concettuale, razionale e basate sulla precisa
conoscenza del linguaggio fotografico e del suo duttile potenziale. Le immagini della serie
“Tempus mutandis”, un po’ come quelle, enfatiche, paradossali (e talvolta inquietanti) del
fotografo surrealista David Lachappele, hanno il privilegio/svantaggio della dicotomia: possono
piacere
o
non
piacere.
Appartengono,
salvo
possibili
declinazioni
ad
indulgenze
linguistico/interpretative, al genere “on/off”.
Per comprendere queste foto, occorre rifarsi sia alla visione dell’autore sul mondo degli uomini
e delle cose, caratterizzata costantemente da un umorismo amaro e mai prevedibile, sia alle
forti suggestioni che alcuni autori possono aver esercitato nel suo pensiero (da Man Ray in primo
luogo, per giungere al geniale Uelsamm e al suo celebre articolo del 1996: “Post-visualization”;
con il quale egli affermava il superamento del momento creativo – limitato al solo momento
dello scatto – con le teorie sulla pre-visualizzazione e quelle basate sulla straight photography).
Le fotografie di Fuochi non trascendono o deformano il reale. Nella sue invenzioni la plausibilità
situazionale non è mai messa in crisi dalla costruzione scenica e il “reale” non viene mai
deformato. La forza di queste immagini, aldilà ed oltre l’evidenza di ciò che lo stesso Fuochi
scrive, risiede nell’intrinseca ed amara ironia dei personaggi e nel porli, in relazione agli
elementi che sono oggetto della riflessione critica di Fuochi, completamente “svestiti”, in senso
figurativo e concettuale, della loro fragile identità sociale. Una prospettiva che considero, con
grande interesse, autenticamente esistenzialistica.
Per la comprensione del lavoro di Enrico Fuochi è interessante leggere quanto lo stesso autore
ha proposto nella presentazione del suo lavoro:
Fin dai tempi della sua nascita, si è spesso discusso su quale sia il ruolo della
fotografia e che posto ad essa debba essere riservato nel mondo delle “Arti visive”.
Personalmente, tra le molteplici risposte che ho ipotizzato, ho sempre ritenuto che
la fotografia debba essere un mezzo per rendere fruibile un’idea e che la sua vera
essenza vada ricercata in una sintesi tra il processo pratico, estetico e concettuale.
Seguendo il mio convincimento che le potenzialità concettuali non devono essere
soffocate
dal
fascino
dell’estetica,
ho
concepito,
ambientato
e
costruito
scenograficamente queste immagini sforzandomi di non tralasciare l’aspetto
compositivo, ma anche pensando alla fotografia non come documentarietà
semplicemente strumentale ed a volte arida, ma come strumento espressivo di
natura concettuale. Le immagini di “Tempus mutandis”, tempo del cambiamento,
non sono immagini di vita,ma situazioni assurde che, anche se ambientate in luoghi
urbani, non rientrano certo nella tipologia delle streetphotograpy di marchio
bressoniano. Rappresentano un percorso che mi sono sforzato di rendere intrigante
filtrando la realtà con l’assurdità delle situazioni. La surrealtà delle situazioni è
strumentale alla riappropriazione di una libertà che sopravanza, grottescamente,il
mondo delle finzioni e delle apparenze del nostro quotidiano. Ho creato le immagini
di Tempus mutandis con la consapevolezza che possono far trasparire, ad un primo
acchito, un senso di ilarità, ma anche con la convinzione che oltre a far discutere sul
loro contenuto, faranno sicuramente riflettere l’osservatore più attento e meno
superficiale. Tempus mutandis è sì un gioco di parole ambiguo, ma è altrettanto
vero che il suo contenuto, attraverso un simbolismo ben definito, mostra l’uomo
spogliato della sua vanità (e non solo in senso figurativo) a contatto con quanto da
lui ideato e costruito: architetture, manufatti, arte, tecnologia e quant’altro.
Privando la persona della sua dignità ho messo a nudo la sua finitezza nell’alterità
delle cose da lui create, cose che con il tempo mutano e vengono restituite al mondo
naturale mostrando l’originaria accidentalità dell’uomo.
[Enrico Fuochi]
Trovo interessante citare un semplice paragrafo, del critico Maurizio G. De Bonis che, con
grande acutezza, scrive:
“La natura della fotografia è inafferrabile, imperscrutabile, onirica. Si tratta di una
disciplina che si situa in un territorio “altro”, territorio che può essere esplorato
solo grazie a un lavorio mentale continuo, che nulla ha a che fare con l’atto fisico
dello scatto. La fotografia non può che essere allusiva ed enigmatica, poiché prima
di tutto è possibilità di interconnessione tra luce e segni del mondo visibile,
combinazione infinita di elementi.”
Luca Chistè / Phf Photoforma © | aprile 2012 |
Contatti & info: Phf Photoforma | Luca Chistè
www.prettoexpo.org |info@prettoexpo.org | luca@lucachiste.com
Inaugurazione: Sabato 5 maggio ore 18.30. Incontro con l'autore in galleria.
Spazio espositivo Pretto
p.zza San Benedetto, Trento
Tutti i giorni h24
ingresso libero