Chiostri di San Pietro
Reggio Emilia
via Emilia a San Pietro, 44/c

Nove mostre
dal 10/5/2012 al 23/6/2012
11 maggio 18-24, 12 e 13 maggio 10-24, dal 17 maggio giov e ven 19-23, sab, som e festivi 10-23
0522 456249
WEB
Segnalato da

Patrizia Paterlini




 
calendario eventi  :: 




10/5/2012

Nove mostre

Chiostri di San Pietro, Reggio Emilia

Nell'ambito del Festival di Fotografia Europea, sono qui allestite le personali di Paola De Pietri, Igor Mukhin, Costas Ordolis, Federico Patellani, Michi Suzuki e Massimo Vitali. Speciale Diciottoventicinque e' un progetto sulla vita in comune che vede coinvolti ragazzi tra i 18 e i 25 anni guidati da fotografi professionisti. La collettiva Sguardi di immigrazione a cura di Contrasto racconta i complessi e molteplici aspetti dell'immigrazione in Italia. Like lipstick traces documenta la vita quotidiana di 13 graffitisti.


comunicato stampa

L’esplorazione della vita comune, nella sua accezione più ampia, trasversale e sorprendente, è al centro della settima edizione di Fotografia Europea. Diversi curatori si sono confrontati con il tema, dando vita a quattro percorsi differenti: quattro sezioni che cercano di ricostruire la complessità dall’argomento. Il punto di partenza è la fotografia, l’arte come strumento e modo di riflessione. Emergono, quindi, in maniera determinante gli aspetti legati alla costruzione e ri-costruzione delle comunità, dei luoghi come spazio in cui si misura il confronto della vita in comune, della partecipazione come esigenza e risposta alle vere domande della vita democratica. Una sezione è poi dedicata alle comunità alternative, agli altri modi di vivere e abitare su questa terra, senza negare a nessuno il diritto d’esistenza. invito a immaginare nella più ampia libertà sempre diverse modalità di vita comune.

Cambiamento / Henri Cartier-Bresson, Costas Ordolis, Igor Mukhin, Michi Suzuki, Like lipstick traces

Luoghi comuni / Federico Patellani, Peter Bialobrzeski, Massimo Vitali, Paola De Pietri, Don McCullin, Lucio Rossi

Partecipazione / Pierre Bourdieu, Luigi Ghirri e l’attività curatoriale, IRWIN, Io, tu, noi e gli altri, Dalla parte delle donne, Sguardi di immigrazione, Speciale diciotto venticinque

Differentemente / Walk on the Wild Side (Ed van der Elsken, Christer Strömholm, Anders Petersen e Lisetta Carmi), Philip Townsend, Alexa e Irène Brunet, Seba Kurtis e Marco Bolognesi

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Paola De Pietri

Istanbul new stories

La fotografa Paola De Pietri realizzerà, per la settima edizione di Fotografia Europea, una produzione nella città di Istanbul. Nei prossimi mesi l’artista sarà impegnata in una residenza nella città turca dove analizzerà alcuni temi legati alle nuove comunità, agli spazi in trasformazione e all’abitare. Istanbul è una città complessa che ha avuto uno sviluppo rapidissimo sia in termini economici che culturali, con un conseguente incremento della popolazione e dello sviluppo urbanistico. La città conta oggi più di tredici milioni di abitanti e la popolazione è in continua crescita.

La ricerca di Paola De Pietri si concentrerà sulle nuove comunità, dove la trasformazione degli spazi segue e precede la costruzione della convivenza. Prive ancora di conflitti, forse per la mancata conoscenza reciproca, nascono in maniera vorticosa comunità fragili, appena costituite, nelle quali interagiscono il singolare degli individui, il plurale della famiglia (comunità minima) e la casualità del plurale della comunità.

Il progetto guarderà al ‘nuovo’ e, in particolare, a quello che succede ai bordi della città che si allarga continuamente e dove l’espansione territoriale e sociale marca anche il confine tra il costruito e la campagna.

Questa molteplicità di temi verrà analizzata in un delimitato arco temporale diventando così il parametro d’osservazione per la ricerca. Partendo dal mostrare la progettazione degli insediamenti, che possono essere di grande, media o piccola scala, la produzione fotografica proseguirà ritraendo la nuova comunità che, in forma ancora embrionale, prenderà possesso delle nuove abitazioni.

In questo progetto l’intento è quello di passare dalle vedute della città su grande scala ad una dimensione più intima, dove i temi generali della metropoli sono calati in un ambito più circoscritto, nel quale ognuno può riconoscere la propria esistenza in quella degli altri.

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Like Lipstick Traces

13 GRAFFITI WRITERS, 2 ANNI, 600 POLAROID INEDITE

mostra a cura di Aurélien Arbet e Jérémie Egry

Like lipstick traces mostra la vita quotidiana di 13 graffitisti. Coscientemente, e quindi in contrasto con le solite pubblicazioni sui graffiti, questa usa l’inconsueto mezzo della Polaroid.

L’idea era di mandare una macchina fotografica e cento foto a writer di nazionalità diverse, con il compito di riprendere la loro vita quotidiana, e dargli completa libertà nella scelta dei soggetti. È sicuramente questo tipo di libertà che rende così speciale questo libro, ma anche il fatto che tutte queste foto inedite sono state scattate appositamente per esso.

All’inizio del 21° secolo, i graffiti sembrano prendere una direzione totalmente contraria alle motivazioni che li hanno originariamente ispirati. Da un lato, questo potrebbe essere la conseguenza di sanzioni più severe; dall’altro, è dovuto al crescente interesse suscitato nei mezzi di comunicazione di massa e nelle grandi aziende. Così, abbiamo deciso di presentare quegli artisti che si dedicano a questa arte in maniera impegnata, non soccombono alle pressioni del mercato e danno nuova vita a questo movimento.

LIKE LIPSTICK TRACES

Like lipstick traces deriva dal titolo di un libro di Greil Marcus (“Tracce di Rossetto”) che descrive i movimenti alternativi del 20° secolo, come il Punk, il Lettrismo, il Surrealismo e il Dadaismo. L’autore esamina la Cultura di Protesta che si è sviluppata in Europa e che, ai suoi occhi, era l’origine di quei movimenti alternativi. Metaforicamente, li chiama ferite della storia. Dopo aver letto questo libro, noi abbiamo pensato che anche i graffiti avrebbero potuto farne parte.

Perciò, abbiamo deciso di lanciare il progetto Like lipstick traces, per suggerire umilmente un capitolo aggiuntivo che completi il libro di Greil Marcus. Noi vogliamo mostrare che i graffiti sono diventanti anch’essi una di quelle ferite della storia.

All’inizio, i graffiti erano considerati impulsivi e marginali: non erano capiti ed erano persino trattati come un atto sciocco. I graffiti non erano fatti per durare nel tempo o per ottenere un riconoscimento istituzionale. Comunque, qualche tempo dopo, la gente li ha consacrati come una parte culturalmente importante di un’intera generazione e, improvvisamente, i graffiti sono parsi abbastanza digeribili da essere assimilati nella cultura di massa. Il loro potenziale commerciale è aumentato traducendosi in un boom di vendite, specialmente nella moda e nella pubblicità.

Oggi leggiamo sui muri o sentiamo dire “I graffiti sono morti” e sembra proprio che l’approccio originario ai graffiti non esista più. Tuttavia, ci sono ancora quelli che perseverano, realizzando la loro arte e le loro idee, che rispettano a una certa estetica e tengono le distanze dall’istituzionalizzazione dei graffiti.

È questo genere di writer che noi vogliamo presentare in Like lipstick traces. I 13 artisti nel libro sono oltre il potere costituito e mantengono vivi i graffiti. Essi dimostrano una certa spontaneità rifiutando i compromessi e sfidando gli interessi economici.

Noi abbiamo deciso di non analizzare l’argomento per iscritto, ma di lasciar parlare da sole le foto, perché volevamo rimanere fedeli alla nostra percezione, che è nell’immagine. In ogni caso, abbiamo chiesto ai 13 writer di rispondere a tre domande, per esprimere il loro punto di vista riguardo al tema del libro.

Quanta distanza metti tra la storia della tua generazione e il tuo ruolo nella storia?

Quali circostanze, fatti e influenze hanno fatto di te la persona che sei oggi? In altre parole, dove trovi l’ispirazione per la tua pratica artistica?

Come hai affrontato il “compito” di scattare delle foto per 2 anni?


GRAFFITI E POLAROID

Graffiti e Polaroid: Due cose che sono molto care ai nostri cuori e che uniamo in questo libro. Noi possiamo vantare più di dieci anni di esperienza coi graffiti e la Polaroid.

La scelta degli artisti si è basata su vari criteri: il loro contesto geografico, lo stile del loro graffiti, la loro generazione e la loro presenza nei mezzi di comunicazione.

Da un lato, noi volevamo presentare una diversità geografica e culturale. Ecco perché ci siamo rivolti ad artisti di origini differenti. Dall’altro, la scelta è dipesa anche dal loro stile. Non solo vogliamo che sia rappresentata un’ampia gamma di stili, ma non vogliamo perdere di vista la vera idea fondante dei graffiti: l’illegale, oltre le ultime tendenze nel mondo dell’arte, comunicate su Internet.

I 13 writers sono stati scelti anche perché la maggior parte di loro compare raramente nelle riviste o nei libri. Infine, noi abbiamo scelto writers di generazioni diverse – attivi dal 1990 al 2000.

Dunque, Like lipstick traces offre una modesta panoramica internazionale della marginale arte dei graffiti che resiste e protesta continuamente.

Noi vogliamo enfatizzare l’ambiente degli artisti, la loro vita quotidiana, le loro famiglie, i loro amici, le loro case, i loro viaggi e il loro aneddoti. Scattando delle istantanee delle loro vite per lasciare un segno.

Sotto molti aspetti, l’istantanea è incarnata dalla Polaroid. Noi pensiamo che sia il mezzo perfetto per questo tipo di fotografia e vogliamo anche opporci alla popolarità della fotografia digitale. Le foto fatte sono uniche, non possono essere riprodotte, hanno le loro peculiarità e hanno una qualità totalmente particolare, simile allo stile degli anni ’70 e ’80. Inoltre, abbiamo scelto questo tipo di fotografia per dare al libro un’unità grafica: ogni immagine ha lo stesso, preciso formato.

Drammaticamente, a metà della produzione del nostro libro, la Polaroid ha all’improvviso annunciato che avrebbe smesso di fabbricare tutte le pellicole per le istantanee! Allora la foto inserite in questo libro diventano le ultime testimonianze di un processo fotografico che avrà lasciato il segno nella storia.


UNA TRACCIA

Abbiamo deciso di realizzare il progetto benché ci fosse chiaro che conteneva elementi di incertezza e che era esposto alle coincidenze. Noi non sapevamo quale ne sarebbe stato il contenuto. Nondimeno, sono quelle difficoltà e quei rischi che rendono il progetto così speciale e interessante.

Non è sempre stato facile comunicare con i diversi artisti, perché tutti hanno personalità differenti, operano diversamente e non sono sempre immediatamente raggiungibili. Questa è una delle ragioni per cui il progetto è durato così tanto: abbiamo ricevuto le prime foto nel maggio del 2006, le ultime nel febbraio del 2008, alcune non sono mai arrivate a destinazione e per altri si dovuto spedire la macchina fotografica tre volte (perché era arrivata danneggiata o perché era stata confiscata dalla polizia).

Una peculiarità è che noi non abbiamo dato istruzioni riguardanti il contenuto delle immagini. Così, alcune foto sono banali, pasticciate, sfocate, sotto- o sovraesposte, graffiate, segnate, o hanno degli appunti scritti sopra. Eppure, è in queste foto amatoriali, il cui aspetto tecnico è trascurato, che la realtà si manifesta. Esse hanno un significato particolare per gli artisti perché ritraggono degli istanti della loro vita.

La libertà di scelta dei soggetti è stata concessa per rimanere il più vicino possibile alla filosofia sottostante i graffiti e i movimenti alternativi e, inoltre, per mostrare un contenuto senza tempo: spontaneo, sovversivo, eterogeneo, in aperta sfida al sistema che va per la maggiore.

Aurélien Arbet e Jérémie Egry

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Igor Mukhin

mostra a cura di Elio Grazioli

courtesy Laura Bulian Gallery, Milano

Per Fotografia Europea 2012 Igor Mukhin, uno dei più importanti fotografi russi contemporanei, espone un progetto dedicato alla sua città natale, Mosca, nella quale ancor oggi vive. La mostra trae origine da una lunga ricerca confluita in un libro dal titolo La mia Mosca, titolo scelto dall’artista anche per la personale che sarà allestita a Reggio Emilia.

I suoi scatti, tutti in bianco e nero con stampa ai sali d’argento, catturano scene di vita metropolitana di un paese in rapida trasformazione, documentando, attraverso poetiche istantanee, l’era post-sovietica e concentrandosi in particolare sui fenomeni della sottocultura giovanile.

Nelle sue immagini i giovani sono protagonisti indiscussi di scene di vita quotidiana, come di momenti di partecipazione pubblica. Con un approccio quasi documentaristico, Mukhin ritrae una generazione che ha assistito al passaggio dal comunismo al capitalismo e che appare divisa tra l’entusiasmo per un futuro insondabile e la nostalgia di un passato irrimediabilmente perduto, tra le icone di un nuovo corso e le polverose reliquie del passato.

Mukhin è stato testimone di questa generazione e ha dato vita a uno spaccato unico sulla gioventù, nel suo caso degli anni della post-Perestrojka, illustrando il disincanto e le conseguenze del tramonto di un’epoca. Lo sguardo di Mukhin non appare mai precostruito, scontato, banale, ma sempre privo di riferimenti ideologici, di condanne o denuncie, per riflettere, invece, un’inquietudine tipicamente giovanile.

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Costas Ordolis

Grecia. Angelica luce nera

mostra a cura di Elio Grazioli

Angelica luce nera è la luce dei nostri tempi, quella di cui diciamo non aver mai fatto esperienza prima; la luce che non è reminescenza di qualche cosa, la luce di cui non vogliamo sapere cosa ci ricorda.

La luce della Grecia è stata oscurata con un po’ di nero, non è colpa della luce ma di come noi la percepiamo. C’è ancora l’ottimismo, la libertà e il piacere di poter bere il caffè o l’ouzo con gli amici per ore. Ma tutte queste cose non sono luminose come in passato, qualcosa di molto profondo genera pensieri e grandi preoccupazioni. Non solo per quello che sta accadendo ma soprattutto per quello che è dietro a tutto ciò.

La mia fotografia non mostra eventi specifici, non documenta, non avvalora nessuna ipotesi su quello che sta succedendo. Cerca piuttosto di creare un’atmosfera, di rendere emozioni, di guardare luci offuscate e ombre distorte, di esplorare le caratteristiche del bianco e nero odierno, le forme e gli stili, tutti questi innumerevoli stimoli del quotidiano che costituiscono la nuova realtà visiva negli occhi dei Greci in crisi.

Infatti l’evento non è predominante nelle mie fotografie, mi interessa di più la suo eco, l’aura che genera qualcosa e persiste sulla sua scia. Non tanto le persone quanto i loro segni, le loro impronte, la polvere sollevata dai loro passi, quel ricordo che il fruscio che la loro presenza attorno a noi sa creare.

Quello che sto cercando di fare non è tanto parlare delle situazioni delle persone, quanto ricreare la loro vita attraverso la fotografia. Usando personali forme visive, cerco di articolare un linguaggio fotografico chiaro che sento di costruire costantemente ma non so se sarò mai in grado di delineare in modo definitivo.

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Federico Patellani

mostra a cura di Kitti Bolognesi e Giovanna Calvenzi

promossa insieme al Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo e con la collaborazione di Regione Lombardia

La mostra presenta quaranta fotografie di Federico Patellani (Monza 1911 – Milano 1977), grande maestro del fotogiornalismo italiano. Le fotografie datano dalla fine della Seconda Guerra Mondiale agli anni Cinquanta.

Sensibile e colto narratore, testimone puntuale della società italiana, Patellani inizia a collaborare nel 1939 con “Tempo” di Alberto Mondadori, settimanale che si rifaceva all’esperienza di “Life” ma lo interpretava adattandolo alla realtà italiana. Dopo la sospensione nel periodo bellico, riprende la collaborazione come fotografo e giornalista, realizzando importanti storie fotografiche sulla società italiana nell’immediato dopoguerra e nel periodo della ripresa economica: dal referendum monarchia-repubblica all’occupazione delle terre, dai diversi ambienti di lavoro nelle campagne e nelle fabbriche ai momenti di vita quotidiana e di condivisione degli spazi delle case e delle strade, alla nascita dei concorsi di bellezza e del cinema, dai ritratti di artisti e intellettuali alle foto di moda. Per Tempo Patellani inventa i “fototesti”, piccoli “documentari” a immagini fisse nei quali i testi avevano solo una funzione esplicativa. Già nel 1943, in un testo in cui affrontava la definizione del “giornalista nuova formula”, Patellani distingueva fra fotografia documentaria e bella fotografia, teorizzando che il giornalista deve preoccuparsi di documentare, di informare. La “bella fotografia” era un optional o un impegno per chi non praticava il mestiere: il giornalista nuova formula doveva invece preoccuparsi soprattutto di informare il lettore.

Le sue teorizzazioni, tuttavia, vengono certamente disattese: il lettore contemporaneo viene informato grazie alle sue immagini ma la loro forza narrativa non risiede solo nella sua capacità di essere giornalista bensì nella raffinata capacità di vedere e di raccontare con le immagini. Nel periodo nel quale collabora a Tempo con questo imperativo professionale non ci sono argomento o situazione o personaggio che non abbia fotografato. Ma soprattutto Patellani racconta gli sforzi compiuti dagli italiani verso la costruzione di un’identità comune fatta di molti intrecci di sfumature culturali e di costume, e i diversi modi di costruire il senso della comunità e dell’appartenenza e di partecipare alla vita civile di un Paese che da contadino sta diventando industriale.

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Sguardi di immigrazione

Tommaso Bonaventura, Francesco Cocco, Nicolò Degiorgis, Salvatore Esposito, Elena Givone, Alessandro Imbriaco, Francesca Leonardi, Martino Lombezzi, Emiliano Mancuso, Lorenzo Pesce, Gabriele Rossi, Riccardo Venturi, Antonio Zambardino

Negli ultimi cinque anni, circa un milione e mezzo di stranieri è immigrato in Italia, con un incremento medio annuo del 13%. L’Italia, in un brevissimo arco temporale, si è così allineata alle presenze migratorie medie del resto dell’Europa, ma i tempi accelerati hanno inevitabilmente prodotto squilibri, tensioni, difficoltà.

Una delle domande più ricorrenti è se, in un Paese in cui lo sviluppo va a rilento e centinaia di migliaia di posti di lavoro sono state persi, l’immigrazione possa essere un valore aggiuntivo.

Contrasto ha raccontato attraverso la documentazione fotografica dei suoi autori i complessi e molteplici aspetti dell’immigrazione nella nostra nazione: il dramma degli sbarchi a Lampedusa, il bisogno di integrazione, le seconde generazioni, la molteplicità e i luoghi delle religioni, le comunità, la ricerca della casa, il lavoro integrato e quello irregolare, la clandestinità, la salute.

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Speciale Diciottoventicinque

La mostra è frutto di un particolare progetto promosso dal Comune di Reggio Emilia rivolto a ragazzi tra i 18 e i 25 anni. Indirizzati, affiancati e seguiti da tre fotografi professionisti, Alessandro Bartoli, Fabio Boni e Fabrizio Cicconi, i giovani autori hanno interpretato nei loro scatti un personale concetto di VITA IN COMUNE, il senso di CITTADINANZA e di appartenenza ad un macro o micro gruppo.

DICIOTTOVENTICINQUE vuol rappresentare la vetrina di questa comunità.
Il progetto ci spalanca la porta di un mondo vero, recuperando così storie graffiate sui diari personali, immagini scattate con le digitali e ri-prodotte clandestinamente sui muri.
Questo progetto-laboratorio mostra il mondo come lo vedono i ragazzi: un universo catturato nella sua forza primitiva. Storie viscerali, senza censure e ad alta emotività.

Si susseguono su un unico lungo muro diverse ricerche, a volte partite da semplici oggetti-sineddoche, simboli del vivere contemporaneo intimo o sociale.
Abiti che comunicano appartenenze, intimi letti disfatti, bagni e cucine dai caffè caldi, latrine erranti, schermi social-tecnologici e insegne di un pop multietnico cantano le nuove storie della generazione @.
I linguaggi scelti rispecchiano il nostro tempo e le nuove scelte comunicative contemporanee: sinossi tradizionali e analogiche o nuove tecniche prodotte dai ragazzi nei modi più disparati. La diffusione della tecnologia digitale a basso costo, le grandi campiture dei writers, i nuovi programmi informatici sulla grafica: tutte queste suggestioni hanno liberato una straordinaria potenzialità espressiva, rivelando un territorio creativo interiore da esplorare, valorizzare e conservare.

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Michi Suzuki

Nel 2011 l’Italia ha celebrato 150 anni dell’Unità. Il 17 marzo, la data ufficiale dell’anniversario, sono stati organizzati numerosi eventi e chiunque ha partecipato alle manifestazione, inclusi gli stranieri, ha dimostrato l’orgoglio di far parte di questa nazione. Quel giorno ho condiviso anch’io la gioia, probabilmente perché, dopo quasi 16 anni dal mio trasferimento in Italia da Tokyo, mi sento “metà” italiana in qualche modo.

Dal principio ho deciso di lavorare sull’identità italiana, soprattutto dopo aver letto per l’ennesima volta un articolo su un giornale che parlava della discriminazione razziale. Ho sentito la necessità di illustrare la società contemporanea e futura fotografando volti italiani, di persone nate però dall’unione tra un italiano e una persona straniera, per partecipare, con l’occhio da fotografo, alla lotta contro il pregiudizio che persiste nel Paese.

Lavorando sul progetto ho realizzato che, in verità, il percorso che ho fatto per cercare l’identità italiana si sovrapponeva alla ricerca della mia stessa identità di giapponese puro sangue ma con lo spirito italiano acquisito nel corso degli anni.

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Massimo Vitali

Una mostra di Massimo Vitali, concepita appositamente per Fotografia Europea , riunisce per la prima volta a Reggio Emilia , una serie di lavori realizzati dal 2006 in poi. Fotografo italiano tra i più affermati sulla scena artistica a livello mondiale, Vitali ha sviluppato nel corso del tempo un modus operandi e un’estetica inconfondibili che l’hanno imposto definitivamente nel 1998, con la presentazione ai Rencontres d’Arles, su iniziativa di Giovanna Calvenzi.

Le sue immagini immediatamente riconoscibili, di grandi spiagge disseminate di bagnanti, riprese sotto un sole schiacciante che rende tutto un po’ lattiginoso, sono sempre più grandi, le più recenti, con un vero exploit tecnico raggiungono le dimensioni record di 240×310 cm. Ma il ricorso al grande formato, con Vitali non sembra tanto un adeguarsi alle esigenze del mercato dell’arte – che ne ha inventato e imposto il concetto – quanto a quelle della natura stessa dei suoi lavori e alla loro finalità.

Per fotografare le spiagge, Vitali ha inventato una specie di torre d’osservazione che gli permette di avere i bagnanti di fronte, un sistema di impalcature alte 5 metri, piantate in mare a 6 metri dalla riva, dove passa giornate intere aspettando la luce giusta e il momento di grazia in cui le microstorie che si intrecciano sulla spiaggia si organizzino davanti alla camera e nello spazio dell’immagine. Una ricerca sistematica lungo le coste italiane e altrove, in località emblematiche , ha fatto collezionare a Vitali, in vent’anni, centinaia di luoghi e situazioni che permettono un ritratto assai esaustivo del turismo di massa e dell’idea di vacanza nella società dei consumi. Immagini imponenti e neutre se contemplate da lontano, ma che sembrano animarsi quando attratti dal loro magnetismo se ne osservano i dettagli.

Più che di paesaggi, si tratta di ritratti di gruppo contestualizzati, dove in una sorta di sociologia del paesaggio, su fondo di decori naturali, scene di ordinaria quotidianità illustrano comportamenti di spaccati di sociétà e assurgono a paradigmi. Un lavoro creativo quanto documentario, fatto d’immagini di chiara bellezza e d’ispirazione pittorica che ormai da anni, fanno le bonheur dei collezionisti, raggiungono record ad ogni vendita e che, dietro un’apparente neutralità, celano una riflessione e una presa di posizione politica, di cui sono risultato e vettore.

Laura Serani

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Immagine: Michi Suzuki

INFO: tel 0522 456249
Ufficio I.A.T. Informazione e accoglienza turistica
Via Farini 1/a - Reggio Emilia
Tel. 0522 451152 - Fax 0522 436739 - iat@municipio.re.it
Aperto tutti i giorni dalle 8.30 alle 13.00 e dalle 14.30 alle 18.00; domenica aperto
dalle 9.00 alle 12.00. Aperture straordinarie venerdì 11, sabato 12, domenica13 maggio dalle 9.00 alle 23.00

UFFICIO STAMPA: Comune di Reggio Emilia
Patrizia Paterlini Tel. 0522.456532 - cell. 348.8080539 patrizia.paterlini@municipio.re.it - ufficiostampa@fotografiaeuropea.it

Ex Libris Comunicazione
Tel. 02 45475230- ufficiostampa@exlibris.it
Carmen Novella c.novella@exlibris.it
Cristiana Pepe cell. + 39 338 4066474 c.pepe@exlibris.it

Sala Stampa c/o Chiostri di San Pietro
via Emilia San Pietro, 44/c – 42121 Reggio Emilia
orari: venerdì 11 maggio aperto dalle 16.00 alle 20.00; sabato 12 e domenica 13 maggio dalle 10.00 alle 20.00.

Preview per la stampa giovedì 10 maggio, ore 11 da Palazzo Casotti ai Chiostri di San Pietro
Giornate inaugurali: venerdì 11 maggio aperto dalle 18.00 alle 24.00; sabato 12 e domenica 13 maggio dalle 10.00 alle 24.00

Orari Chiostri di San Pietro, Chiostri di San Domenico, Palazzo Casotti, Palazzo della Frumentaria, Spazio Gerra, Sinagoga e Villa Zironi:
dal 17 maggio al 24 giugno aperto giovedì e venerdì dalle 19.00 alle 23.00; sabato, domenica e festivi dalle 10.00 alle 23.00
Apertura la mattina su richiesta per le scuole
Per le altre sedi consultare il sito web.
Biglietto unico per accedere a tutte le mostre (esclusa Don McCullin. La pace impossibile 1958-2011)
intero € 10, ridotto € 7
Riduzione: Biglietto ridotto per studenti, soci TCI, CTS, AIB, possessori tessera CRAL Comune di Reggio Emilia, clienti e dipendenti Cariparma, Carta Giovani Comune di Reggio Emilia, ragazzi dai 13 ai 25 anni, over 65, gruppi composti da almeno 15 persone, soci dell'Alliance Française di Bologna, e visitatori della mostra in programma alla Fondazione Palazzo Magnani, soci e dipendenti Unieco.
Gratuito per visitatori di età inferiore ai 12 anni, scolaresche, disabili e accompagnatori, giornalisti accreditati e soci ICOM.
Venerdì 11 maggio tutte le mostre sono a ingresso gratuito. Il 19 maggio in occasione della "Notte europea dei Musei" mostre aperte, con ingresso gratuito, dalle ore 21 all’1.

IN ARCHIVIO [7]
Abel Herrero
dal 3/10/2013 al 2/11/2013

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