An artistic encounter on an ambitious scale, the annual Monumenta exhibition invites a well-known contemporary artist to create a work especially for the huge space inside the glass-roofed nave of the Grand Palais in Paris. Following Richard Serra, Anselm Kiefer, Christian Boltanski and Anish Kapoor, Daniel Buren takes over the Grand Palais. At the end of a long corridor, visitors discover a forest of colour, light and sound spanning more than 6,000 square meters. A novel way to tackle the immensity of the setting.
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Daniel Buren a Monumenta 2012 con illy
L'opera "Excentrique(s)" lavoro in situ, la pubblicazione "Les Ecrits, 1965-2011" e
la nuova illy Art Collection
Parigi, aprile 2012. Daniel Buren è il protagonista della quinta edizione di
Monumenta, a Parigi dal 10 maggio al 21 giugno al Gran Palais, con l'opera
"Excentrique(s)" lavoro in situ.
illy ha collaborato alla sua realizzazione come partner del Centre National des Arts
Plastiques. Lo spazio bar all'interno della navata è stato studiato come parte
integrante del progetto e l'artista ha realizzato una illy Art Collection ideata per
l'occasione. L'azienda contribuisce anche alla pubblicazione di "Les Ecrits,
1965-2011" edita da Flammarion, collezione che racchiude gli studi effettuati da
Daniel Buren nel corso dei suoi oltre cinquanta anni di attività.
La illy art collection creata da Daniel Buren per Monumenta 2012 - quattro tazzine
in edizione numerata limitata - ritrova l'elemento visivo scelto nel 1965
dall'artista, diventato poi ricorrente nelle sue opere: strisce bianche e colorate
in alternanza, larghe 8,7, ispirate alla stampa di un tessuto molto impiegato in
quell'epoca per confezionare tende da sole, sedie a sdraio, materassi e cuscini. Un
"outil visuel" che l'artista utilizza per ridefinire gli spazi e costringere
l'occhio a creare un nuovo rapporto con il luogo e l'oggetto.
Le quattro tazzine nere poggiano su piattini dal diametro sempre più ampio; la
striscia nera al centro, come un racconto che si svela poco a poco, lascia spazio al
bianco; poi al verde, al giallo, all'arancione e al blu che colorano il lato
nascosto del piattino ridisegnando l'opera e l'ambiente di cui è parte.
E' la seconda volta che illy e Buren si incontrano. La prima è stata nel 2004 in
occasione di un altro grande progetto pensato per gli spazi del Palais de Tokyo,
allora l'artista applicò la propria cifra concettuale alla struttura della tazzina.
Buren al Gran Palais
"Entusiasta della trasparenza e della luminosità della cupola, ma anche consapevole
della sfida dettata dal magnifico scenario" Daniel Buren ha pensato per la navata
del Grand Palais un'opera che mira a far riscoprire la struttura in una prospettiva
totalmente inedita: il visitatore diventa attivamente partecipe alla creazione del
nuovo spazio e quindi dell'opera stessa scoprendo attraverso la lente dell'outil
visuel le dimensioni nascoste dello spazio, il suo potenziale invisibile, il suo
passato e il suo presente.
Il risultato è quello di una dimensione sospesa nello spazio e nei colori, dove ogni
sensazione è amplificata e coinvolti tutti i sensi.
Daniel Buren
Nato nel 1938 nei dintorni di Parigi, Daniel Buren si diploma presso L'Ecole
Nationale Supérieure des Métiers d'Art di Parigi nel 1960. Già dal 1965 adotta la
striscia di 8,7 cm: l'elemento caratterizzante di tutta la sua opera che deriva da
un tessuto per tendaggi molto comune in Francia e non solo. Nel 1966 è tra i
fondatori del gruppo minimalista concettuale Buren, Mosset, Parmentier e Toroni. Sin
dalla sua prima esposizione internazionale collettiva "Prospect 68", a Düsseldorf,
nonché a partire dalla sua esposizione personale presso la Galleria Apollinaire di
Milano, sempre nel 1968, utilizza insieme architettura e pittura lavorando in situ.
Nel 1986 rappresenta la Francia alla Biennale di Venezia e gli viene assegnato il
"Leone d'oro" per il migliore padiglione. Le sue opere architettoniche l'hanno
portato a lavorare sui supporti più diversi o direttamente sulle strutture sulle
quali interviene. Le sue opere, quasi sempre monumentali, sono site-specific e
vengono in seguito quasi sempre rimosse. Ne rimane testimonianza grazie alle
registrazioni fotografiche o ai filmati che esegue lui stesso. Tali documenti
vengono definiti "foto ricordi" e non vengono mai esposti oppure venduti. Si
limitano a illustrare testi all'interno di libri o cataloghi. Questi "foto ricordi",
come il loro stesso nome suggerisce, non sostituiscono mai l'opera stessa. Daniel
Buren ha creato in tutto il mondo e si dichiara cittadino del luogo in cui lavora.
illy, mecenate a Parigi
A Parigi hanno preso vita alcuni dei progetti artistici che hanno segnato il
percorso di illy nel mondo dell'arte contemporanea. Prima ancora del progetto
realizzato con Daniel Buren nel 2004, il Palais de Tokyo ha ospitato le esposizioni
di Louise Bourgeois "Le jour, la nuit, le jour"- in occasione del decennale delle
illy Art Collection nel 2002 - e "Nightshift" di Tobias Rehberger. Parigi ha accolto
nel 2004 anche la mostra del fotografo Sebastiao Salgado dedicata all'India
nell'ambito del progetto "In Principio": una storia di persone, di paesaggi, di
rapporto armonioso con la terra. Un viaggio fotografico alla ricerca delle radici
della cultura del caffè.
Nel 2008 Jan Fabre ha creato mille esemplari della illy Art Collection "Art kept me
out of jail (and out of museums)" in occasione dell'omonima perforamance al Louvre.
L'esordio dell'attività di supporto all'arte nella capitale francese risale però al
1994 con la partecipazione alla mostra di Marino Marini "Place Vendome".
illy, le illy Art Collection, l'arte contemporanea
La filosofia che ha guidato illy all'apertura di un canale di comunicazione
privilegiato con il mondo dell'arte contemporanea si basa su un'interpretazione
estesa del concetto di "cultura del caffè". La bevanda che ci sveglia ogni mattina è
la medesima che durante il giorno assume un altro significato: incarna il puro
piacere di un rito. Lo stesso caffè che fisiologicamente ridesta i nostri sensi, si
trasforma in occasione di incontro, di dialogo, di stimolo per l'intelletto. La sua
valenza è dunque fisiologica, estetica, sociale e intellettuale. Con le illy Art
collection, l'azienda triestina ha perseguito questa filosofia fino a realizzare
fisicamente un oggetto in grado di riassumere e reinterpretare la cultura del caffè.
Così chi assapora un espresso illy in una tazzina d'artista, associa nel medesimo
gesto l'aroma e il gusto della miscela a un'esperienza estetica completa, visiva e
tattile, di contatto con l'arte contemporanea.
La tazzina d'artista (e in seguito anche i barattoli), arricchita dal segno grafico
o concettuale è il luogo dove si incontrano e infine si fondono i diversi linguaggi
dell'universo illy: la scienza dell'espresso e la cultura del caffè. Un progetto che
in questi primi vent'anni hanno visto coinvolti oltre oltre 70 artisti.
Michelangelo Pistoletto, Marina Abramovic, Jeff Koons, Bob Rauschenberg, James
Rosenquist e Julian Schnabel sono solo alcuni dei grandi maestri che hanno
contribuito a questo progetto. Lo stesso Rosenquist che ha ideato nel 1996 l'attuale
logo dell'azienda, a dieci anni di distanza ha decorato un'edizione limitata del
barattolino di caffè con l'immagine della sua opera "Coffee Flavours Ideas".
Come naturale conseguenza di questo approccio, illy ha deciso di contribuire come
parte attiva alla diffusione dell'arte contemporanea, sostenendo grandi mostre
internazionali e lavorando fianco a fianco con artisti affermati ed emergenti per la
creazione di nuovi progetti.
Nel 1997 e nelle edizioni 2003, 2005, 2007, 2009 e 2011 l'azienda è stata partner in
Italia della Biennale Arti Visive di Venezia. E' inoltre presente alle più
importanti fiere e autorevoli istituzioni d'arte internazionale: Armory Show (New
York), Frieze (Londra), Arco (Madrid), Artissima (Torino), Art Forum (Berlino),
SP-Arte (San Paolo), Art Rotterdam (Rotterdam).
Per ulteriori informazioni:
Anna Adriani/Christine Pascolo, illycaffè, Tel. 040/389.0111 - Fax 040/389.0490
Alessandra Bettelli/Giulia Perani, Cohn & Wolfe, Tel. 02/20239.374/352
alessandra.bettelli@cohnwolfe.com
giulia.perani@cohnwolfe.com
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MONUMENTA is an ambitious artistic encounter unmatched anywhere in the world, organized by the French Ministry of Culture and Communication. Each year MONUMENTA invites an internationally renowned contemporary artist to appropriate the 13,500 m² of the Grand Palais Nave with an artwork specially created for the event.
Contemporary art accessible to all
A new kind of artistic performance, MONUMENTA is open to all, a way of discovering a unique event in which great French and foreign artists succeed each other each year. After the success of the first three MONUMENTA events entrusted to German painter Anselm Kiefer in 2007, to American sculptor Richard Serra in 2008, to French artist Christian Boltanski in 2010, each drawing close to 150,000 visitors in five weeks, then the British Indian-born artist Anish Kapoor whose work in 2011attracted over 270,000 visitors in six and half weeks, it is Daniel Buren- one of the most highly recognized and honoured artists, by both his peers and the public - who will take up the challenge in May and June 2012.
The Grand Palais, a prestigious setting dedicated to a unique event
The 13,500-square-metre Nave of the Grand Palais, with its stunning 45-metre glass vault, hosts new works created specifically for the event. In the heart of Paris, the most visited city in the world, adjacent to the Champs-Elysées, the Grand Palais is one of the French capital’s finest architectural gems.
An initiative of the French Ministry of Culture and Communication, the concept has proven hugely popular.
The exhibition has so far featured Anselm Kiefer in 2007, Richard Serra in 2008, Christian Boltanski in 2010 and Anish Kapoor in 2011. The guest artist of 2012 is to be Daniel Buren.
The notion of work in situ, as Daniel Buren uses it to describe his art since 1965, means that the work is site-specific; it cannot be envisaged without the setting that it was designed for and built in.
This postulate and method emerged at a time when Buren was experimenting with painting. He quickly realised that “the painting’s surroundings […] always seem richer and more important than the painting itself.” But the decisive nature of the context is often overlooked, ignored or just silently accepted because of “the work’s so-called independence” (it supposedly has an intrinsic content which behaves in the same way under all circumstances). Daniel Buren objects to this idea. He believes that the surroundings have a powerful, unspoken influence on the work: museums in particular impose their constraints and their underlying implications, which are almost always in profound contradiction with the works on display.
Through the idea of work in situ, he tries to reverse this relationship so that the art work transforms the place or at least reveals exactly what it is and what influence it has. The principle is simple: the work’s design, construction and exhibition must be deduced from the site and done on the spot. This method means doing without a studio and refusing the usual formats (canvases that can be transported from one exhibition to another, photos, films, three-dimensional objects, and so on.)
Daniel Buren therefore goes from place to place without knowing in advance what he will do there. His official biography just says he “lives and works in situ”: what counts is making, seeing and experimenting in the place itself. Each installation is unique and is demolished when the exhibition closes (except for long-term commissions), because it cannot be installed anywhere else (the “situated works” are the sole exception). Every work by Daniel Buren is inseparable from its site, acting sometimes in osmosis and sometimes in opposition.
Working in situ, is a way of questioning the artist’s supposed freedom and, more importantly, revealing the unsuspected but significant features of the site, giving a new vision of both the place and the work, which is broadened and perhaps liberated by the process.
Situated work
A work in situ, closely linked to the place in, for and in relation to which it was designed, is, by definition, site-specific. But there is second series of works that can be moved according to ad hoc rules: Daniel Buren calls them “situated works.”
From the outset, his works on striped canvas, although in many ways close to painting, were always accompanied by precise instructions on the way they were to be shown when exhibited in another venue. The idea was clarified in 1975 when the museum in Mönchengladbach, Germany, where Daniel Buren had just exhibited a piece, had to move and transport his work to a new building. The question of how the works could be transferred to a new venue was then addressed.
Just as certain pieces of conceptual art can be “performed” in other contexts, so situated works can be played out in other places, as long as the principles laid down by the artist are respected. But unlike conceptual art, the work cannot be reduced to these instructions. It exists only physically, in a space.
Most of the Exploded Huts, for example, are situated works: they are arrangements that are inseparable from a particular environment but can be adapted to an infinite number of different situations. The work changes each time, just as it transforms the site.
But Daniel Buren insists that these works cannot be put “just anywhere,” and that is part of his struggle against the “artwork’s so-called independence.” There are rules to be applied and a type of space to be used: situated works are mobile works, which can be seen in various combinations and versions.
The theatre seems to be the most pertinent metaphor for the principle of his situated works. Each installation is like the performance of a play: the text has not changed, but the staging and sets have nothing to do with the original performance and have a huge impact on our appreciation of the play and the look of the stage.
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Grand Palais, Nef – Porte Nord
Avenue Winston Churchill 75008 Paris
Every days except Tuesdays, from 10am to 7pm Mondays and Wednesdays and 10am to midnight from Tuesday to Sunday.
Admission Full rate : 5 € Concession : 2,50 €
Acces
Métro ligne 1, 9 et 13 Champs-Elysées Clemenceau or Franklin Roosevelt