Prigionieri in galleria. I decorati riquadri del soffitto a cassettoni sono come ribaltati di 90 gradi e trasformati in un grande muro assemblato di cassette vuote di legno grezzo nelle quali, imprigionate con cavi o tondini di acciaio, restano sospese le ferrose forme di derivazione industriale di Conti.
La PoliArt Contemporary è lieta di presentare Prigionieri in galleria, una mostra nella quale Paolo Conti, modifica la percezione abituale dello spazio espositivo.
Appena ritornato da un ciclo di conferenze negli Stati Uniti, incentrate sull’influenza della scienza nell’arte moderna e contemporanea, l’artista, in una sorta di ristrutturazione interna, ha costruito un muro di opere che spezza in due l’eclettica eleganza della galleria milanese.
I decorati riquadri del soffitto a cassettoni, sono come ribaltati di novanta gradi e trasformati in un grande muro assemblato di cassette vuote di legno grezzo, nelle quali, imprigionate con cavi o tondini di acciaio, restano sospese le ferrose forme di derivazione industriale di Conti.
L’effetto è quello di un’incombente cesura dello spazio, in grado di mostrare la claustrofobica condizione di un allestimento abituale. Tuttavia, una stretta porta consente di attraversare la parete, ma non per passare da una all’altra di due nuove stanze, bensì per cercare di orientarsi in ciò che resta della sala originaria.
Il processo così innescato è quello di un ripensamento dello spazio unitario, attraverso la creazione di spazi parziali comunicanti, potenzialmente moltiplicabili sino ad una completa saturazione, in cui resta soltanto il corpo dell’opera, attraversabile nelle sue indefinite porte interne.
Tuttavia, Paolo Conti, per ora, si accontenta di alludere soltanto alle radicali conseguenze della sua installazione, in cui lo spazio di fruizione tra l’opera e il visitatore sarebbe negato, nell’estrema alternativa tra l’essere-dentro, prigioniero dell’opera, o non-essere. Poi, in ciò che resta dello spazio espositivo, l’artista, come se nulla fosse cambiato, allestisce alcune opere del ciclo dei Frammenti, nelle quali le forme ferrose paiono aggregarsi autonomamente sulle pareti e una decina di Plaghe del silenzio, opere su tela in cui viene scardinata la percezione univoca del monocromo, in improvvise cangianze e brillamenti.
Durante il vernissage e per tutto il periodo della mostra, verrà proiettato in HD il film di Stefano Attruia, L’Aleph di Conti.
Inaugurazione 9 giugno ore 18
PoliArt Contemporary
viale Gran Sasso, 35 Milano
orari di apertura: mer–gio 16,30-19,30; ven - sab 10,30-13 e 16,30-19,30
Ingresso libero