Galleria Paolo Nanni
Bologna
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Geo-grafie del possibile
dal 8/5/2003 al 9/6/2003

Segnalato da

mario suarez




 
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8/5/2003

Geo-grafie del possibile

Galleria Paolo Nanni, Bologna

Il motivo che accomuna i lavori dei tre artisti che partecipano a questo progetto espositivo - Pietro Miraglia, Mario Suarez e Laurence Ursulet - e' il riferimento a figure e suggestioni riprese dall'immaginario geografico, cioe' da quell'insieme di rappresentazioni e ipotesi suggerite dalla scienza geografica.


comunicato stampa

Tre ipotesi a confronto
miraglia + suarez + ursulet

testi: Francesco tedeschi

Il motivo che accomuna i lavori dei tre artisti che partecipano a questo progetto espositivo - Pietro Miraglia, Mario Suarez e Laurence Ursulet - è il riferimento a figure e suggestioni riprese dall'immaginario geografico, cioè da quell'insieme di rappresentazioni e ipotesi suggerite dalla scienza geografica.

Rispetto al modo in cui in passato la geografia veniva concepita come forma di conoscenza descrittiva e deduttiva, è andata ormai prevalendo una visione della geografia come scienza complessa e in evoluzione, che ha spostato il suo raggio d'attenzione sempre più verso fattori umani o umanistici, recuperando una dimensione culturale allargata ad altre discipline. Il fascino della carta geografica come disegno e racconto del territorio è solo una delle ragioni che possono interessare artisti che uniscono il lato visivo dell'operare con altre vie di esperienza del mondo interiore o esteriore, collegate a interpretazioni mentali, individuali o sociologiche, della realtà da rappresentare nelle loro opere. Negli ultimi decenni, per effetto di percorsi indipendenti, fra il 'pensiero geografico' e la creazione artistica si sono verificate nuove possibilità di scambio, che non si limitano, come poteva accadere in passato, a corrispondenze di natura esteriore, iconografica, ma introducono forme di relazione più articolate, dal momento che la geografia ha aperto spazi di lettura del suo oggetto in chiave critica, mentre l'arte, concettualizzandosi, ha avuto modo di verificare coincidenze con le scienze interpretative, soprattutto quelle in cui la comunicazione per segni ha un ruolo particolare. Vi sono artisti che hanno agito come geografi non solo per ragioni legate al piano visivo, ma per quel livello di ipotesi nell'indagine sul territorio e sul contributo del fattore umano alla sua trasformazione, che coinvolge aspetti mentali, filosofici, critici. Ci si potrebbe domandare come e perché la geografia possa essere un valido campo di ricerca per artisti che aspirano a dare vita a figure complesse, capaci di comprendere elementi esplicitamente formali con altri di natura più propriamente analitica o poetica.
Il tema è stato oggetto di numerose disamine e attende ancora una possibile lettura complessiva. Nel 1994, per esempio, il Museum of Modern Art di New York ha ospitato una rassegna di opere di artisti contemporanei fondate sulle figure della carta geografica, curata da Robert Storr, intitolata Mapping. In polemica e in contrapposizione ad essa Peter Fend, artista che ha fatto del rapporto con la ricerca geografica attuale l'argomento centrale della sua poetica e delle sue installazioni, ha elaborato un'altra mostra, Mapping. A Response to MOMA, nel volume realizzato per la quale sostiene che il risultato della mostra del MOMA sia stato insoddisfacente, perché legato alla semplice indagine su una sommaria questioni di iconografia, senza elaborare una reale comprensione dei problemi della cartografia come forma di conoscenza del territorio. Qualche anno dopo, in un percorso itinerante per i musei di alcuni dei paesi che maggiormente hanno visto trasformarsi la loro immagine nella cartografia del mondo contemporaneo - dalla Croazia ad altre capitali dell'Est europeo - un'altra rassegna, Cartographers. Geo-gnostic projection for the 21st Century (la mostra è stata organizzata dal museo d'arte contemporanea di Zagabria nel 1997 ed è stata presentata in seguito in musei di Varsavia, Budapest e Maribor), è tornata a fare il punto sulla confluenza fra ricerche di diversa origine, e dispiace che in occasione della mostra recentemente organizzata (nel 2001) a Milano, in Palazzo Reale, sul tema della rappresentazione cartografica del mondo - Segni e sogni della Terra - non si sia sfruttata l'occasione per un confronto con le tematiche geografiche trattate in ambito artistico.

Il rapporto fra operazioni artistiche di diversa accezione e figure dell'immaginario geografico trova le sue ragioni probabilmente nella generale crisi del sapere e dei saperi che attraversa il pensiero contemporaneo, dove proprio la geografia ha acquisito una posizione di nuovo e singolare prestigio, in quanto conoscenza che sa essere sintesi di molteplici tensioni: ambientali, sociologiche, culturali, economiche, esistenziali. Potremmo quasi dire che la geografia, pur radicata nella concretezza della comprensione di questo mondo e della sua realtà fenomenica, costituisca la memoria o l'aspirazione verso un sapere enciclopedico, che si riproduce come essenziale e complessivo, una sorta di 'metafisica' ritrovata, e per questo varrebbe la pena parlare di 'meta-geografia', per tutti gli usi che di essa vengono presi in considerazione per mezzo della presenza attiva e passiva dell'uomo e attraverso le varie forme dell'esperienza della realtà del territorio, da quelle più marcatamente filosofiche a quelle di sapore più poetico, come quelle ideate in ambito artistico.
Guardando retrospettivamente a quanto accaduto nell'arte degli ultimi trent'anni almeno, molti sono stati gli esempi di interventi che usando la mappa o il territorio fisico concreto hanno ricondotto esperienze di natura geografica nell'ambito della creazione artistica (e viceversa). Dai numerosi giochi semantici sulla definizione della mappa messi in atto in ambito concettuale alle realizzazioni di Land Art o di arte ambientale, per passare alla frequente presenza di forme e sagome di natura cartografica nella pittura anche recente, o all'uso di immagini e espressioni di derivazione scientifico-geografica in lavori di valenza schiettamente politica e critica, i riferimenti sarebbero infiniti e si potrebbe tracciare una singolare lettura dell'arte recente alla luce dei suoi contatti con le immagini della geografia.
Problemi di conoscenza geografica sono tra i temi trattati nei lavori degli artisti in questione, con differenti direzioni di ricerca e ambiti di espressione. Va sottolineato che nessuno dei tre si limita a un uso esteriore, superficialmente formale, del modello geografico quale esso sia, ma ciascuno di loro trae da ipotesi e teorie fornite da ragioni culturali o da intuizioni personali un genere di incontro che suggerisce l'adozione di rappresentazioni legate all'immaginario personale, e che per questo potremmo ricondurre alla vasta categoria delle 'geografie del possibile', che non provengono cioè dalla rappresentazione dell'esistente in quanto tale, ma dal collegamento fra immagini e idee che danno una nuova eventualità, per l'interpretazione dell'opera in primo luogo.

Miraglia: il 'disegno della terra (madre)'
Non è solo una corrispondenza esteriore a determinare la relazione con una rappresentazione dello spazio geografico nell'opera di Pietro Miraglia. Il suo è un lavoro essenzialmente pittorico, che, visto attraverso la lente del mezzo adoperato, si offre come uno scambio fra sensibilità del colore e l'accorparsi probabile di forme interne. L'addensarsi e il diluirsi del pulviscolo cromatico offre segni, increspature, traiettorie virtuali, che restano sotto traccia. Nei suoi lavori di qualche anno fa si riscontrava, in superficie, un'affinità con le sagome che apparivano nelle opere di Burri, sia nei 'cretti' degli anni Settanta, sia nei più tardi lavori in cui il maestro umbro, riconquistando la compattezza di forme definite, aveva dato vita a segni dipinti o incisi che producevano associazioni con l'immagine di un territorio visto dall'alto. Non bastava nel caso di Burri, e non è sufficiente a Miraglia, il passaggio a una considerazione della pittura come rappresentazione di una visione zenitale, rispetto al genere di visione dello spazio prospettico proprio della cultura pittorica occidentale, per comprendere i caratteri propri di una geografia come segno e come metafora, attraverso la figura del confine, o del limite, e quello del disordine interno che caratterizza la superficie della terra. Il riconoscimento del limite come separazione e motivo di relazione tra le forme è alla base del valore normativo e psicologico del confine. Per legge l'uomo impone dei termini, traccia dei confini che sono esistenziali prima che politici. Le norme superiori, come il riconoscimento delle colonne d'Ercole, imponevano un limite all'uomo prima che al mondo. I confini non sono però mai definitivi, né quelli posti dall'uomo, né quelli dati dalla natura, e questo senso di labilità, di integrazione tra le forme, è insito nel modo in cui nella pittura di Miraglia il segno diventa traccia interna, percorso che perde la sua entità di confine per diventare direzione interiore, venatura che accompagna i complessi itinerari dell'esistenza. Così, nei suoi lavori più recenti, la possibile definizione della forma in associazione con un'idea di confine è andata perdendo importanza, come se quella concezione metaforica dell'associazione visiva con la figura del territorio non fosse sufficiente a indicare il valore ideale del confronto con i temi geografici intesi nella loro accezione fondativa, di mito più che di realtà tangibile. L'origine geografica della sua forma pittorica, dichiarata anche nei titoli, suggeriti dai termini greci legati alla definizione della natura del territorio, si apre allora ad altre dimensioni, che dalla rappresentazione cartografica trovano coincidenze con una narrazione dell'io, per ritrovare un respiro universale, archetipo. L'accostamento che nella sua pittura Miraglia ricerca è quello con l'origine, la terra - Gea - che è madre di tutte le cose e immagine di uno spazio che ha doppio valore, visibile e nascosto, dove si incontrano la fisicità sensibile e l'immaterialità del pensiero e del desiderio.

Suarez: il mondo come immagine virtuale
Suggestioni derivate dalle carte geografiche sono usate anche da Mario Suarez, in un modo che non è esclusivo né immediato. La mappa è infatti per lui uno sfondo, un'immagine che serve a evidenziare un insieme di relazioni che riguardano la percezione del mondo che riceviamo, nella costante condizione di viaggiatori, esploratori, nomadi, da lui particolarmente sentita per ragioni esistenziali. Alle rappresentazioni geografiche si associano altre immagini, secondo un processo di stratificazioni che è il dato caratterizzante del suo pensiero e della stessa tecnica da lui elaborata. Il risultato implicitamente pittorico nei suoi lavori deriva infatti dalla stesura progressiva di strati di resina e colore che contengono a vari livelli le parole e le immagini utili a determinare la molteplicità di sensi e di figure simboliche che si rincorrono nella sua sintesi visiva e mentale. La mappa serve per ingaggiare un confronto tra il vissuto, l'immagine del mondo contemporaneo e altre vie di interpretazione della realtà, senza che ciò fornisca alcuna certezza sulla propria condizione nel mondo. I nomi delle principali città possono essere ridistribuiti a caso sulle sagome dei cinque continenti, in sostituzione di altri luoghi, così come qualche carta antica può essere usata per mostrare una diversa visione delle cose, come ha fatto Torres-Garcia elaborando un'immagine ribaltata dell'America del Sud, per mostrare una diversa percezione del rapporto Nord-Sud per chi vive nell'emisfero meridionale. Sappiamo del resto dalla cartografia che non può esistere una rappresentazione fedele del mondo su un planisfero, in quanto è impossibile trasferire la rappresentazione delle terre emerse in un'immagine bidimensionale, se non attraverso proporzioni falsate, che conseguono da una determinata concezione della centralità, generalmente attribuita all'emisfero settentrionale e ancor più specificamente all'Europa. Si tratta in ogni caso di una convenzione, in base alla quale possiamo anche recuperare una validità scientifica alle teorie sull'esistenza di terre scomparse o alle relazioni tra terra e cielo.
La sovrapposizione di percorsi virtuali a quelli fisicamente praticati produce altri segni, altri 'indici' nelle opere di Suarez, che propongono un continuo rapporto tra le figure della memoria, quelle del mito e quelle della realtà virtuale o percepita, dove le mucche della pampa, la testa di Medusa o le tracce di un biglietto aereo contribuiscono a definire la natura dei legami e delle distanze, insieme ai tracciati che segnano le rotte transoceaniche degli aerei. Forse il tipo di mappa che più ci rivela il modo di agire attuale dell'artista è quello che illustra il flusso di contatti che vengono attivati sulla rete informatica mondiale. L'insieme di parole e segni così evidenziati dà luogo a una sovrapposizione di parole e idee che sembrano nascere una dall'altra, come il racconto del mito. Osserva, Suarez, che il silicio che permette la comunicazione delle informazioni sulla rete mondiale sia della stessa natura del carbone, da lui usato nei suoi lavori pittorici, e che si può quindi evidenziare l'immagine di un anello che unisce il tempo del mito con quello del presente, dove le forme e le forze della terra si prendono allora la rivincita sulla manipolazione dell'ambiente che l'uomo ha messo in atto. Lo spazio da lui illustrato è così qualcosa che trascende i caratteri fisici come quelli temporali, instaurando relazioni che vanno oltre le dimensioni del visibile, come le conoscenze attuali tendono a confermare.

Ursulet: 'territori dell'immanenza'
Anche nell'opera di Laurence Ursulet si incontrano aspetti estremamente manuali che intendono sintetizzare processi di pensiero complessi, che troviamo all'origine della sua ispirazione. Da tempo l'artista francese ha infatti posto al centro della sua riflessione i concetti esposti da Deleuze nella sua teoria di una 'geofilosofia' che permette di leggere i processi in atto nella storia interna della terra e del suo sfruttamento da parte dell'uomo come figura filosofica e metaforica di un processo di 'deterritorializzazione' e 'riterritorializzazione', da intendersi in senso non esclusivamente legato ai fenomeni tellurici o di migrazione. Tali fenomeni sono infatti, per il filosofo francese, modello utile a delineare il funzionamento del pensiero stesso, soggetto a fenomeni di apertura e chiusura che riguardano la percezione della storia e il rapporto fra sé e l'altro, come del confronto fra lo spontaneo movimento di forze ed energie umane o naturali e le imposizioni derivate dal potere e dall'organizzazione razionale.
In modo sempre più sottile Laurence Ursulet è passata da una 'costruzione' di mappe che univano immagini tratte dalla cartografia esistente con altre frutto dell'immaginazione, all'attuale composizione di immagini a contrasto che illustrano processi di slittamento e disgregazione che si dispiegano in uno spazio senza definizione, dove i segni in positivo e in negativo, che possono equivalere, ma non dichiaratamente, alle relazioni fra terra e acqua, indicano una destrutturazione in atto, che ha la sua immagine originaria nella teoria della deriva dei continenti. Quel tema geografico-scientifico diviene simbolo di processi derivati, nell'equilibrio ogni volta ritrovato fra gli impulsi all'ordine e la percentuale di disordine, dove sembra di vedere illustrato, idealmente, il processo entropico che determina la continua riconquista di uno stato di quiete all'interno del dinamismo universale. Come Penelope, allora, Laurence Ursulet si trova a ricomporre un'immagine di terra possibile mediante i processi di cucitura e con l'uso del colore, dando vita a nuove, possibili rappresentazioni di territori utopici, ben sapendo che quello che si manifesta come immagine compiuta è segno di una forma di stasi relativa, che potrà essere non più valida domani.
Anche per lei la terra è madre, ma nel senso evoluto di colei che si prende cura delle cose, che riorganizza ciò che viene offeso, sperperato, per effetto di reazioni naturali o di una improvvida volontà di distruzione, e il suo compito resta quello di restituire possibilità di vita e di residenza, per quanto temporanee.

In tutti e tre gli artisti si trova perciò una riflessione su modelli geografici, o meglio di pensiero geografico, o una poetica geografica, che ricorre a forme e immagini che non sono esplicazione di teorie scientifiche, ma punti di partenza per una rappresentazione che tiene conto del loro rispettivo modo di agire, con diverse forme di variazione sul tema della pittura, per giungere a una moltiplicazione dei motivi in essa allusi, che riguardano la percezione del mondo in cui siamo e la dimensione storica e mitologica relativa alla sua fondazione ed evoluzione.
Francesco Tedeschi

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