I fiori in tasca. "Il lavoro di Oberti scoperchia e rende visibile una specie di densita' ottusa, un piombo nella rete che si manifesta nella forma stessa della propria - impossibile - significazione" (Massimiliano Fierro).
Vedo i fiori ai miei piedi e sono altri i fiori che io vedo. Quelli che ritmicamente calpestavamo. Sono poi gli stessi.
Samuel Becke:, Basta.
Mutuando ciò che scrive Jacques Lacan a proposito del neologismo, potremmo definire il lavoro di Giovanni Oberti, qui alla sua prima personale presso la galleria Enrico Fornello, come una strategia significante che non rinvia a nessuna significazione che non sia che la propria significazione, la quale fa peso e ostacolo in se stessa senza alcun rimando e senza alcuna inclinazione transferale. Contestualmente però e sempre attraverso Lacan, il titolo della mostra ‘i fiori in tasca’ sembra rimandare a ciò che lo psicanalista francese contrappone proprio al neologismo e cioè il ritornello, la cantilena, un qualcosa che ribatte, si ripete, si reitera, si sciorina con una persistenza integralmente stereotipa.
E’ proprio attraverso il sincronismo inallogabile e indistricabile di questa doppia pratica della contrazione e dello spargimento -‐ pratica bifida, ossimorica, indistinguibile e incollocabile che si conserva proprio perdendone l’indizio -‐ che il
lavoro di Oberti scoperchia e rende visibile una specie di densità ottusa, un piombo nella rete che si manifesta nella forma stessa della propria – impossibile – significazione, come un miraggio, scrive Massimiliano Fierro, “che non dovrebbe mai stancarsi di mostrare sempre le condizioni materiali che lo rendono tale”. Si mostra
qualcosa come niente, ma un niente senza nome –
ipostatizzato dall’artista che firma o meglio controfirma il titolo della mostra attraverso la fuliggine che demarca e rileva,
scrive Jacques Derrida, “ un resto che è d’obbligo che
non resti più: questo luogo di un nulla di nulla, un luogo
puro anche se si dovesse cifrare” -‐ ad un tempo
al di qua e al di là dell’anonimato, impersonalmente singolare,
rigettato in un evento che si fa mentre non diviene
evento che come limite interno.
Limite proprio, senza
fondo del limite puro che appare direttamente, tautologicamente,
sperimentando un atto che non si prolunga nel tempo se non temporalizzandosi, designandosi come proprio idioma diretto, pezzo di
un evento unico, adeguato all’intero tempo L’opera, l’operare di Oberti
mostra allora la chiusura che si dona proprio nella res gestae
di un’irriducibile manifestazione esautorante: un evento interno al tempo
nel senso in cui è la differenza interna al proprio tempo,
l’interiorizzazione della sua separazione che non fonda e non costruisce
ma mette sotto gli occhi una condensazione aggregata sotto i colpi
di maglio di una frammentazione sempre in agguato.
Inaugurazione: Giovedì 20 settembre 2012 ore 19.00
Galleria Enrico Fornello
Via Massimiano, 25 Milano 20134
Orario di apertura: Lunedì - Venerdì 14 - 19
Ingresso libero