Meta-Architetture. Nell'opera di Ballestra, nei suoi esiti fotografici e video, ricorre la presenza di componenti architettoniche. Dapprima elementi testimoniali di incontri con altre culture le architetture divengono col tempo presenze partecipi dell'incerto destino dell'intera umanita'.
A cura di Paola Valenti
Nell’opera di Maria Rebecca Ballestra, nei suoi esiti fotografici e video, ricorre la presenza di componenti architettoniche. Dapprima elementi testimoniali di incontri con altre culture – intesi e vissuti dall’artista, attraverso il viaggio, come occasioni per relativizzare il proprio punto di vista e penetrare sensibilmente nelle diversità – le architetture divengono col tempo presenze partecipi dell’incerto destino dell’intera umanità.
Tale trasformazione avviene a seguito di una svolta nella ricerca di Ballestra, che dal 2009 trova ispirazione in alcune tra le tematiche più urgenti e globali della contemporaneità, quali i cambiamenti climatici, il consumo smodato delle risorse naturali ed energetiche, i conseguenti nuovi scenari politici ed economici.
Da tali presupposti è nata l’idea di creare all’interno dell’opera di Maria Rebecca Ballestra un percorso tra diverse tipologie architettoniche – templi, chiese, palazzi storici, complessi abitativi, centri commerciali e interi sistemi urbani – individuando in esse delle meta-architetture, ossia elementi simbolici e metaforici di cui l’artista si serve per raccontare una storia in tre tempi, che si intrecciano e si susseguono: il primo momento è quello del potere, in cui l’uomo, universalmente inteso, afferma la sua supremazia culturale, politica, tecnologica ed economica proprio attraverso la progettazione e la costruzione di edifici maestosi; la successiva fase è quella del declino, in cui l’uomo, prometeico artefice, cessa di essere l’indiscusso portatore di progresso e viene messo di fronte alle proprie responsabilità di distruttore di equilibri; l’ultima era è quella, visionaria, dell’oblio, in cui l’uomo, specie tra le specie, potenzialmente scompare e l’architettura gli sopravvive, muta testimone di ambizioni e fasti passati.
Nella visione postumana di Maria Rebecca Ballestra, dell’uomo perdurano, però, istinti e attitudini, personificati da animali più o meno evoluti; e se un gigantesco struzzo bene rappresenta la diffusa tendenza della specie umana a sottrarsi al confronto con le proprie responsabilità e a non voler prendere coscienza dei problemi – inclusi quelli insiti nella stessa dimensione profondamente antifunzionale e distopica dell’attuale architettura, evocata dagli edifici tecnologici che fanno da sfondo all’imponente animale – un fiero ghepardo che incede con sicurezza nello spazio costruito, elegante nell’irreale cromatismo del suo manto, si fa metafora della sempiterna forza creativa e creatrice dell’uomo, aprendo uno spiraglio verso un futuro in cui riporre rinnovata fiducia.
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