Paolo Veeneziani, Pittura. Anteprima Darie Dup, Scultura.
PAOLO Veneziani
dal 6 al 15 giugno
Guardare alcuni quadri di PAOLO Veneziani e andare con la mente all'ariosa delicatezza delle Ninfee di Monet è inevitabile. Così come è evidente l'assiduità con i maestri impressionisti, che sono citati uno per uno in queste tele: la pennellata larga di Monet, quella vibrante di Renoir, la geometria per piani di colore di Cézanne, i turbini nebbiosi di Turner, i punti e le macchie di Seurat e Signac.
Eppure la lezione impressionista, percorsa e compresa con amorevole studio, è ripensata come strumento per le possibilità di una pittura moderna. Non ci sono omaggi al passato, ma la consapevolezza di poter comunicare la propria maniera e il proprio tempo attraverso soluzioni linguistiche tutte da riordinare secondo le proprie esigenze espressive. La citazione perde così la sua rigidità quando si comprende questo gioco di rimandi e rielaborazioni e si notano altri livelli di appropriazione dove entrano, nella brillantezza e nella vivacità di colori così poco ''naturali'' come il bluette, il verde acido, l'arancione, le suggestioni del gioioso espressionismo di Matisse, o addirittura echi iperrealistici, nella precisione fotografica di certi scorci.
Ricomponendo questi elementi nel suo personale linguaggio, Veneziani ci racconta delle storie. Quegli angoli di città e di paese, quelle case perdute nella luce estiva o autunnale, quei paesaggi colti in tutte le stagioni e anche i vasi di fiori dai colori psichedelici, non descrivono ma narrano. Dietro a ogni scena uno si immagina un prima e un dopo, le situazioni non sono gelate in uno scatto ma emergono da una narrazione dove le imponderabili pennellate blu o fucsia delle case, le sfumature violette o turchesi dell'erba parlano di sentimenti ed emozioni.La geometria si scioglie allora nella tenerezza, il cromatismo traduce i contenuti interiori, la tecnica è giustificata dal coinvolgimento.
La modernità sta in questo alfabeto ricreato dove il valore eminentemente visivo si ridimensiona a favore della fabula e il primato della pittura si afferma quando cede alla forza letteraria del racconto.
Donatella Donati
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ANTEPRIMA DARIE DUP SCULTURA
dal 6 al 15 giugno
Negli ultimi anni troppo spesso sono stati assegnati angusti spazi d'attenzione alla scultura, che si è resa scomoda e inattuale per la sua stessa essenza di mestiere e fisicità , contro l'ascesa della tecnologia facile e dell'astrattezza concettuale. Eppure, la forza immaginativa che la scultura ha mantenuto nel corso del tempo, assicurandosi la fermezza di identità e specificità , è anche dimensione etica nel ritorno al sacrificio del mestiere, alla figura del modellatore, alla manipolazione della materia.
Un richiamo forte all'essenziale eticità della scultura e al rigore assoluto di una capacità tecnica che non permette incertezze, arriva dal lavoro di Darie Dup, le cui opere sono realizzate con la tecnica della fusione a cera persa. Tutti pezzi unici, dunque, sottratti fin dall'inizio alla condanna della serialità e segnati dalla fatica di lavorare il bronzo, che Dup sa modellare fino a conferire alla materia un inaspettato cromatismo.
Con l'alterno trapassare dal lucido all'opaco e le superfici lisce interrotte da scabrose grumosità , le sculture di Dup intrattengono un dialogo continuo con la luce. Il riferimento storico non rimanda ad esempi di arte plastica, ma alla pittura senese del '300: la sinuosità delle linee curve che sembrano ritrarre la propria lucentezza all'intromissione di un'altra qualità luminosa, quella dell'aria, si sovrappone alla flessuosità di Simone Martini. Quando è modulato secondo questa cifra stilistica, il bronzo è solo lamina, onda, stupefacente effetto dinamico e luminoso in totale assenza di corporeità . Le esili figurine compongono grafismi nello spazio e lo qualificano attraverso il rapporto con la luce.
Molti dei soggetti emergono da un mondo circense che, fellinianamente, si propone come metafora della vita ma anche dell'arte. Saltimbanchi e ballerine si animano nella rappresentazione di un'esistenza vissuta sul filo dell'equilibrio, della definizione di sé, della leggerezza giocosa e della nostalgia. Arlecchino attraversa questa realtà parallela con la forza del simbolo e come controfigura dell'artista racconta di volta in volta la sua capacità di interpretare il mondo modellandolo o l'amputazione delle sue capacità espressive.
Le sculture di Dup sono creature di una nuova mitologia in cui la funzione simbolica determina la forma: muse, dee e danzatrici contraggono il loro lato antropomorfo per estendersi e terminare in lucide appendici che ricordano splendenti strumenti musicali.
La ruota è motivo insistente e ricorrente, compare come cerchio, carrozza, protesi, a volte spezzata, segno e referente di una chiara operazione metaforica: l'eterno ritorno dell'esistente, nel ripetersi di situazioni che vincolano a un destino sempre uguale, riserva comunque lo scarto dell'imprevisto, come in ogni cammino. La condanna del guitto girovago al viaggio sigla il senso di un più universale andare ed errare.
L'affinamento progressivo dell'antica tecnica plastica del bronzo consente a Darie Dup di inserirsi nella tradizione che ha costituito lo specifico di questa pratica, la ritrattistica, ma con intenti espressivi profondamente moderni. Volti segnati, sorpresi ognuno nella propria cifra emotiva ma non congelati, vividamente esposti nella loro qualità di persone, nel doppio ambiguo significato, comune ed etimologico, bergmaniano, di maschera.
Dalle finestre aperte sulle pareti di solidi geometrici, le facce trovano definizione soltanto nella propria fisiognomica espressionista, astratte da qualsiasi relazione con un corpo o un contesto. Cubi e piramidi sono presenze da interpretare, ma lo scultore rifiuta di fornirne la chiave. La loro monolitica sostanza allude allo stesso tempo alla prigione o all'ordine universale: la geometria come limite dell'umanità creatrice o l'umanità che trova il suo senso e la sua giustificazione ultima in una geometria che la sottrae al caos?
La questione della rappresentazione della condizione umana attraverso la scultura e della sua percezione nella storia dell'arte viene affrontata soprattutto nella serie dei Soldati. Qui il rapporto con l'arte classica emerge nell'impianto strutturale della statua, che richiama i kouroi del periodo arcaico, ma svuotati di dignità e soprattutto della funzione celebrativa. Il corpo è possente, ma flaccido, con la pancia prominente. I lineamenti del volto scompaiono, così come ogni riferimento all'individuo. La testa è un elmo, con corregge che nascondono la bocca, gli occhi diventano feritoia, il tronco è segnato da placche come una corazza. La funzione marziale metabolizza gli attributi dell'essere umano, la guerra cancella l'umanità e sigilla ogni possibilità di dialogo. Il corpo stesso perde la propria unitarietà , è tenuto insieme dalle cinghie della corazza, le gambe come sorrette da strumenti ortopedici, il bronzo è opaco, non reagisce alla luce. Solo la protesi dell'arto amputato, elemento estraneo, liscia e lucida nella sua meccanica e geometrica solidità , sembra vitale.
Eppure, proprio nella dissoluzione estrema dei valori e della dignità Darie Dup afferma che l'arte riscatta se stessa e l'universo umano, la persona non è più maschera e la statua si riappropria della sua funzione monumentale, nel senso primario del termine: monito, ammonimento, affermazione di memoria e speranza.
Donatella Donati
Abraxas Gallery
p-zza calamatta ,11
Civitavecchia (Roma)