Galleria d'Arte l'Incontro
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Agostino Bonalumi
dal 7/12/2012 al 30/1/2013
mar-ven 16-19 sab-dom 10-12 e 15.30-19, lunedi' chiuso

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7/12/2012

Agostino Bonalumi

Galleria d'Arte l'Incontro, Chiari (BS)

Se l'arte dice l'indicibile. La pittura tridimensionale di Bonalumi e' un luogo dove rigore razionale, forte sensorialita' e immaginazione s'inseguono e s'intrecciano instancabilmente, imprevedibilmente.


comunicato stampa

A cura di Silvia Pegoraro

Lo Stalker del film omonimo di Andrej Tarkovskij (1979) è una guida che accompagna nella cosiddetta “Zona” coloro che vogliono giungere alla “Stanza”, dove i più profondi desideri di ognuno saranno esauditi. Nella Zona le regole consuete di movimento nello spazio-tempo non valgono: il percorso più logico da un punto all’altro non è necessariamente la linea retta - o il suo opposto - ma un intreccio complesso, imprevedibile e inspiegabile, di punti e linee in tensione. L’allontanamento da un percorso lineare, prospettico, centrato sulla certezza del prossimo passo e sull’assoluto controllo progettuale, caratterizza anche la ricerca artistica di Agostino Bonalumi.

La sua arte è celebre come espressione di quella che Gillo Dorfles definì al suo apparire, nei primissimi anni ’60, “Pittura Oggettuale” : il versante “oggettuale” del Neoconcretismo, che vede protagonisti, con Agostino Bonalumi, Enrico Castellani, Paolo Scheggi, e almeno in parte Lucio Fontana e Piero Manzoni. Si tratta di una complessa e sottile interazione, nata da un sofisticato substrato culturale, tra astrazione, geometria, materia, finalizzata alla creazione di un inedito rapporto spazio-luce-forma.

Bonalumi si è subito appropriato in modo alquanto originale di questa idea di superamento della pittura, di questo bisogno di rifondazione del concetto di pittura, che trasforma i mezzi espressivi nella sostanza stessa dell’opera: ha coniato una personalissima versione di quadro-oggetto, in cui la particolare tecnica costruttiva genera sofisticati effetti tridimensionali attraverso uno studiato rapporto tra introflessione ed estroflessione, con esiti sempre differenti ed imprevedibili. Del resto, per Bonalumi – come afferma Lotman a proposito della poesia moderna - “da condizione per rappresentare oggetti concreti, lo spazio diviene esso stesso oggetto di rappresentazione” .

Quindi la pittura tridimensionale di Bonalumi non è tanto oggetto quanto luogo: è la “Zona” o la “Stanza” immaginate da Tarkovskij, dove rigore razionale, forte sensorialità e inarginabile immaginazione s’inseguono e s’intrecciano instancabilmente, imprevedibilmente.

“Se l’arte dice l’indicibile – ha scritto Bonalumi – io sto parlando del luogo dove è detto l’indicibile, che tale rimane”: una perfetta metafora della sua stessa arte, fondata sull’antitesi, sull’ossimoro, sulla coincidentia oppositorum. In vari suoi scritti teorici Bonalumi ha espresso quest’idea di arte come tensione continua fra pensiero e realtà fisica, tra esattezza progettuale e vivida immaginazione: un percorso sempre nuovo e stimolante benché estraneo all’effimero delle mode e delle pseudo-novità . Un percorso coerente, puntiglioso e coraggioso, quello dell’artista milanese, che lo ha portato a risultati di eccezionale rilevanza, sul filo di un’emozionalità controllata e velata , ma non per questo meno intensa e vibrante. Un’emozionalità che scorre sotterranea in uno spazio intensamente “corporeo”, dove la luce di cui s’imbevono i suoi celebri monocromi, tridimensionali e aggettanti, dilata all’infinito il tempo della percezione e si scioglie in infinite modulazioni.

Già intorno al ’58-’59 Bonalumi supera una fase operativa di tipo informale-materico, mentre l’eroica sperimentazione dell’Informale va sempre più impaludandosi in uno sterile e manierato accademismo. Da questo momento in poi la sua ricerca sarà rivolta alla tridimensionalità, coinvolgendo una molteplicità di materiali diversi, dalla tela alla carta, al ciré (tessuto gommato elastico, in grado di sopportare una tensione di grado variabile), al vetroresina….

Poche metamorfosi nell’ambito dell’espressione artistica emozionano come il passaggio, nel lavoro di Bonalumi, dal fare soggettivo-informale a quello, iniziato nel ’59-’60, dei cosiddetti “quadri-oggetto”, in cui viene a perdersi la nozione di “supporto”, a favore di un’idea di “opera totale”, dove moltissime componenti, materiali e ideali, letterali e metaforiche, convivono e s’intrecciano.

“L’ essenzialità del suo operare si rivela infatti nel continuo variare del rapporto superficie-oggetto”, scriveva Germano Celant, a proposito del lavoro di Bonalumi, nel 1966 [2] . In realtà nel suo operare emergono altre coppie “dualistiche”: linea e colore; energia e materia, corpo e pensiero, concetto e immagine…Lo spazio reale si concretizza nel “quadro” attraverso il rilievo plastico della superficie, mantenuta in tensione grazie a sottostanti strutture in metallo o legno che producono “estroflessioni” della superficie stessa, quindi calibrati giochi di luce ed ombra, che generano esperienze ottico-percettive sempre nuove.

Dal risalto che acquisiscono i rilievi si ottiene come risultato finale un’entità artistica del tutto particolare. Rilevanza del rilievo significa centralità del tattilismo nella concezione-percezione di queste opere. Una sorta di tattillismo prima ancora concettuale che fisico, il quale ci fa pensare alle teorie di Bernard Berenson (riprese poi anche da Henri Focillon), che fanno della mano e del tatto non solo il luogo nel quale si innerva il movimento coscienziale, ma il mezzo per rendere presenti quegli schemi materiali, concreti e vitali nei quali si esplica la forma artistica.

I valori tattili, afferma Berenson, sono dati concretamente dalla massa, dallo spazio, dalla luce, dall’ombra e dalla materia, connessi con le condizioni essenziali dell’esistenza fisica di ciascun uomo. Il sentimento estetico diventa quindi una componente attiva del corpo-mente .

L’artista, dunque, non solo percepisce l’oggetto ma lo vive e s’identifica con esso. Per questo l’immagine esterna e superficiale dell’oggetto non può bastargli : fondamentali sono i valori tattili e il movimento, che danno origine alla forma, in cui Berenson riconosce quella “qualità” che “conferisce all’oggetto intensità di vita.” [4]. E forme intensamente vitali e perennemente in movimento sono le opere “oggettuali” di Bonalumi.

A partire dai rigonfi “cuscini” degli anni ’60, prodotti da una sagomatura naturalmente incentrata sulla linea curva e su una sorta di organicismo “barocco”, traccia vitale che si reitera mai identica a se stessa. Spazio curvilineo imparentato col contrarsi-dilatarsi dello spazio di Borromini, e con le magistrali riletture barocche di Fontana. L’imprevedibilità vitalistica di questo spazio resiste anche al sorgere di una predominanza, negli anni ’70, della linea retta.

Ancora più movimentati gli anni ’80, quando si evidenzia nel lavoro di Bonalumi una nuova complementarità di estroflessione e pittura, mediante l’insitente oscillazione tra lo spazio tridimensionale e quello illusorio del dipingere, grazie all’uso calibrato di diverse tonalità e intensità cromatiche. Negli anni ’90 l’intrigante fisicità del curvilineo torna a dominare, mentre, grazie all’aggetto creato da fili metallici sotto la superficie dell’opera, si affaccia nel lavoro di Bonalumi una nuova dimensione gestuale. E’ quella che l’artista ha definito “una sorta di scrittura in corsivo”, sempre accompagnata da una forte vibrazione mono-cromatica.

L’oscillazione fascinosamente ossessiva che caratterizza la sua poetica torna a manifestarsi all’inizio del terzo millennio, con un nuovo ritorno della linea retta a un ruolo principe, ma secondo una configurazione inedita: la configurazione sempre più geometrica delle strutture spaziali (evidente , ad esempio, nel motivo della “griglia” emerso intorno al 2005), intorno al quale si gioca una sempre più evidente e capziosa moltiplicazione dei piani e delle superfici.

Ma del tutto nuove, nei lavori recenti, sono anche certe sottili, inquietanti interferenze: per esempio la coesistenza ossimorica di uno spazio costruito sulla base della linea retta con un altro fondato sulla linea curva e sulla superficie curva; o ancora, l’ “interferenza” tra geometria estroflessa, tridimensionale, e geometria dipinta, planare. L’artista esaspera così l’idea della problematicità, dell’oscillazione, crea nodi di piani e direzioni diverse, domìni dell’obliquitas, che in latino significa anche ambiguità, termine chiave della sua poetica, come lui stesso ha più di una volta affermato.

Lungo il suo viaggio nella “Zona” della creazione artistica, Bonalumi trasforma la monocromia in poesia, esprime lo spazio attraverso la luce/ombra, grazie anche all’intuizione sintetica e musicale della superficie estroflessa, che rende elastico lo spazio e abolisce il centro, il punto di vista privilegiato. Inventa forme misteriose ma volitive, così potenti da modificare lo spazio che occupano, e insieme indifferenti ad esso, perché venute da un altrove. Può venire alla mente ciò che Georg Simmel scrive sulla natura tragica della scultura: sul suo appartenere solo a se stessa; sul suo coinvolgimento solo apparente nel reale, verso cui si tende per subito ritrarsi; sul suo attrarre e poi rifiutare lo spettatore, giocando sulla propria impenetrabilità.

Sospese tra pittura e scultura, le opere di Bonalumi sono soggetti-oggetti complessi e metamorfici, che ci fanno respirare l’indeterminazza del limite, situati come sono in una Zona liminale. Forme pure, ritmiche, tese, che esercitano un forte potere emozionale, offrendosi in tutta l’intensità di un enigma percettivo. Tutto sta tra le pieghe del visibile. La superficie è una soglia porosa , costantemente mobile - come avrebbe voluto Berenson - tra il dentro e il fuori, o tra le differenti stratificazioni e addensamenti del visibile.

L’opera di Bonalumi si ammanta dunque di un rigore che è nello stesso tempo inquietudine e ossessione. E’ animata da una tensione costante, dall’inizio degli anni ‘60 ad oggi . Ed è sul filo di questa tensione che l’artista modella lo spazio secondo infinite variazioni, in cui i giochi di luce/ombra ottenuti attraverso le introflessioni/estroflessioni si trasformano in inesauribili domande/risposte sul senso dello spazio e della corporeità, in cui di continuo l’uno rimanda al molteplice, e viceversa. Lo spazio affonda nell’altrove, nel mistero, e contemporaneamente si protende a invadere il luogo concreto eppure inafferrabile della nostra fisicità.

La presenza del mistero è sottolineata dallo splendido uso che Bonalumi fa delle ombre, perché, come scrive Tanizaki nel suo Libro d’ombra, “La nostra immaginazione indugia su ogni raggrumarsi dell’ombra…” . Nelle ombre mutevoli e inafferrabili delle sue estroflessioni ci mostra l’invisibile, Focalizzando l’attenzione sull’”altra parte” del reale, e del visibile, carica le sue immagini di forza visionaria e “straniante”, e rinvia a quella “polivalenza metaforica del segno” che i Metafisici attribuivano all’architettura. Non per nulla sono molti i caratteri e gli elementi propriamente architettonici presenti in queste architetture in cui la luce e l’ombra giocano a costruire le ombre del visibile.

Nel suo ultimo scritto, L’occhio e lo spirito, Maurice Merleau- Ponty dice che “la visione è il mezzo che mi è dato per essere assente da me stesso”[6]. Rendendo in gran parte protagoniste della visione le ombre prodotte dalle estroflessioni, Bonalumi ci rende in qualche modo “assenti a noi stessi”, ci distanzia cioè dalla nostra realtà ordinaria, o meglio dal nostro percepire la realtà in modo ordinario, e così ci avvicina all’”essenza propria del visibile” che, come dice ancora Merleau-Ponty, è quella di “avere un doppio invisibile in senso stretto, che il visibile manifesta sotto forma di una certa assenza”.

Di quest’idea di “doppio” può essere eletto a emblema un particolare di un capolavoro della pittura occidentale, La ronda di notte di Rembrandt: la mano destra del capitano Frans Banning Cocq è immersa nell’ombra. Qui, ci troviamo all’inizio della storia di uno sguardo che oltrepassa il visibile, la datità del vedere, il concetto stesso di presenza, una storia di cui l’opera di Bonalumi è uno degli attuali punti di arrivo. Il senso di disorientamento che ci coglie spesso di fronte alle sue opere – o dentro di esse, se si tratta di opere-ambiente - ci dice che la percezione è qui privata dei suoi punti d’ancoraggio : tutta la realtà è pronta a levare l’àncora…E noi con lei.

Inaugurazione: 8 dicembere 2012

Galleria d'Arte l'Incontro
via XXVI Aprile, 38 , Chiari
Orari: lunedì chius, mar-ven 16-19
sab-dom 10-12 e 15.30-19
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